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Le corse di cavalli sono da sempre momenti sportivi unici, per la loro imprevedibilità e per le emozioni che sanno regalare (soprattutto ai bravi scommettitori). Ora, un gruppo di matematici parigini, che da anni studia come massimizzare le prestazioni di corridori umani, sembra aver sviluppato un modello in grado di suggerire ai fantini la strategia vincente per assicurarsi trionfi su piccole e grandi distanze.

Amandine Aftalion e il suo gruppo della École des hautes études en sciences sociales di Parigi analizzano dal 2013 le performance di atleti campioni del mondo (come il velocista Usain Bolt) e hanno scoperto che i corridori di breve distanza tendono a vincere quando inizialmente partono con molta energia e poi, gradualmente, rallentano avvicinandosi al traguardo. Invece, nelle gare di media distanza, come i 1600 metri, i corridori hanno migliori risultati quando partono forte, si assestano e poi terminano con un’accelerazione finale. Il modello sviluppato per gli esseri umani rivela che sono vincenti quelle strategie che massimizzano la produzione di energia dei muscoli, i quali svolgono un lavoro di due tipi: quello aerobici, di potenza, che richiedono ossigeno, e ha una durata limitata durante una gara, e quello anaerobici, che non richiede ossigeno ma che accumula prodotti di “rifiuto” che conducono alla fatica. E per i cavalli come funzionano le cose?

Amandine Aftalion e Quentin Mercier hanno utilizzato un nuovo strumento di tracciamento GPS incorporato nelle selle dei fantini francesi. Questi tracker consentono ai fan di guardare le immagini digitali dei cavalli che si muovono su uno schermo e hanno fornito agli studiosi dati sulla velocità e sulla posizione degli animali in tempo reale. Studiando numerose gare svolte presso gli ippodromi di Chantilly, a nord di Parigi, i matematici hanno sviluppato un modello che rappresentava strategie vincenti per tre diverse tipologie di corsa: una corta (1300 metri), una media (1900 metri) e una leggermente più lunga (2100 metri), tutte con diversi punti di partenza sullo stesso tracciato curvo. Il modello tiene conto non solo delle diverse distanze ma anche delle dimensioni e della curvatura delle curve della pista e di eventuali pendenze o attriti della superficie.

I risultati, pubblicati su PLOS ONE, parlano chiaro: una buona partenza porta a un finale migliore. Però attenzione perché questo non significa necessariamente che i fantini che trattengono i cavalli all’inizio per poi scatenarli alla fine sbaglino, perché anche una partenza troppo intensa può essere devastante, lasciando il cavallo “esausto alla fine”, spiega Aftalion.
In teoria, il modello potrebbe consentire agli addestratori di inserire parametri relativi ai singoli cavalli, come le loro specifiche capacità aerobiche, per ottenere strategie di corsa personalizzate, ricavando così preziosi consigli sul sul ritmo da tenere oppure su qual è la distanza di corsa ideale per quel destriero. “Gli sviluppatori informatici potrebbero persino creare un’app (magari chiamandola GiddAPP, ndr), aggiunge Aftalion.

C’è da dire però che i cavalli variano così tanto in termini di dimensioni corporee e capacità aerobica che i modelli sviluppati in questi ultimi quarant’anni non si sono dimostrati in grado di spiegare i comportamenti del cavallo. “Per esempio, – spiega Peter Knight, veterinario dell’Università di Sydney con oltre trent’anni di esperienza negli ippodromi – un cavallo potrebbe arrendersi quando un altro lo sorpassa, perché non capisce che deve vincere. Fino a quando i ricercatori non riusciranno a entrare nella testa del cavallo e tenere conto anche delle variabili psicologiche, non possiamo davvero modellare le loro prestazioni”. E forse è proprio per questo che le corse di cavalli resteranno avvincenti per sempre.

 

 

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