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Cosa succede quando un divulgatore si ritrova a tenere un corso di storia della matematica? È quello che è successo ad Alberto Saracco questo semestre. Qui prova a raccontarci il corso e perché secondo lui la storia della matematica può avere un ruolo fondamentale nella divulgazione e nella didattica della matematica.

Sono sempre stato appassionato di storia della matematica, e ritengo che la storia della matematica dia un punto di vista molto interessante per la divulgazione e la didattica della matematica. Quest’anno mi sono ritrovato a tenere un corso di storia della matematica, senza avere le competenze dello storico della matematica. Devo ammettere di essermi imbarcato in questa avventura dapprima (quando l’impegno era lontano nel tempo) con entusiasmo e curiosità per la sfida, e poi (quando l’inizio del corso si avvicinava drasticamente) con angoscia e paura di non essere all’altezza.

L’argomento del corso

La prima difficile scelta è stata quella dell’argomento del corso… Meglio parlare della storia della geometria, più vicina alla mia formazione e su cui sono più ferrato? Oppure concentrarmi su un argomento ancora più specificico, come la nascita delle geometrie non euclidee o del calcolo infinitesimale? Meglio trattare un periodo storico limitato o estendere lo sguardo su tutta la storia della matematica? Analizzare giusto qualche figura fondamentale? Parlare dei matematici o della storia delle idee? Che fonti avrei dovuto usare?

Dopo un po’ di studio e vari ripensamenti, ho deciso di trattare tutta la storia della matematica nel suo sviluppo cronologico, prendendo come testo di riferimento il libro di BoyerA history of mathematics ha certamente il vantaggio di essere un classico sull’argomento, ma ha l’indubbio svantaggio di non essere un testo particolarmente aggiornato (è del 1968). Ovviamente avrei dovuto discostarmi dal Boyer per l’ultima parte, quella sulla matematica del XX secolo, integrando in altri modi.

Inoltre tratta molto poco la storia della matematica non occidentale (un capitolo dedicato all’India, uno alla Cina e poco altro) e di non trattare minimamente l’apporto delle donne alla matematica. Insomma, è un libro datato, che mostra i suoi limiti.

L’ho scelto fondamentalmente per ragioni affettive, dato che l’avevo vinto alla gara distrettuale delle Olimpiadi della Matematica e letto quando avevo 18 anni. Ho voluto sfruttare l’occasione di questo corso per rileggerlo a distanza di 25 anni, con occhi diversi.

Il grande vantaggio per un dilettante come me, nel seguire un libro, è stato nell’organizzare la scansione temporale del corso: i 27 capitoli del Boyer avevano una quasi perfetta corrispondenza con le 24 lezioni che avrei dovuto tenere.

Le digressioni e la “mia” filosofia della matematica

Con la struttura e i contenuti del Boyer a darmi sicurezza e tranquillità, ho potuto concentrarmi su quello che più mi piace fare a lezione: le digressioni. Nei corsi che ho seguito quando ero studente la parte che ho sempre trovato più affascinante sono state le considerazioni euristiche e le osservazioni “filosofiche” del docente: cosa vuol dire questo teorema, perché è vero, perché ci interessa…

Ovviamente la matematica è fatta di definizioni, teoremi e dimostrazioni. Ma una cosa è imparare i risultati matematici, un’altra è imparare la matematica, ovvero come si fa matematica. E i matematici non ragionano direttamente con le definizioni, i teoremi, le dimostrazioni. Partono da idee, analogie, sensazioni, che guidano la loro scoperta del variegato paesaggio matematico. Innanzitutto si convincono di un risultato e solo poi provano a dimostrarlo.

Molto spesso si rischia di sottovalutare questo aspetto, nella didattica della matematica. Dando una grande importanza ai risultati e dando poco risalto a come e perché questi risultati sono stati trovati. Si rischia di dare così un’immagine della matematica come di qualcosa scolpito nella pietra, che è così e non può essere diversamente, quando invece le definizioni e i concetti cardine sono mutati più volte nel corso dei secoli, alla ricerca di un miglior modo di costruire l’intero edificio.

Quando si impara la matematica è di grande importanza non solo conoscere i risultati, saperli ricavare e applicare, ma anche capire a fondo cosa vogliono davvero dire. L’intervento del docente in questo senso è fondamentale. Già ho parlato qui su MaddMaths di quanto trasmettere l’essenza dei teoremi e delle teorie matematiche sia fondamentale.

Storia, filosofia, didattica e comunicazione della matematica

Sulla base della mia esperienza personale da studente, cerco sempre a lezione di fare delle digressioni per far catturare questo o quell’aspetto fondamentale di una definizione o di un teorema. Ovviamente, avendo a disposizione un corso di storia della matematica, ho provato a portare questa mia tendenza all’estremo, arrivando a fare meta-riflessioni sull’utilità di questo approccio alla matematica.

Ho quindi mescolato alla storia la mia personale visione della matematica e le mie idee sulla comunicazione e sulla didattica della matematica. Visione e idee necessariamente di parte e che sono figlie della mia formazione e del mio essere un divulgatore.

La storia della matematica fornisce molti spunti interessanti che possono essere usati a lezione (a vari livelli, dalla scuola primaria all’Università) per mostrare le cose in maniera diversa. Che si tratti del concetto di numero, di quello di uguale, di regole algebriche o della nozione di limite, l’utilizzo di diversi approcci nella didattica non può (o almeno spero) che dare come risultato una comprensione migliore.

Storia delle idee, delle notazioni, delle persone

La storia dell’evoluzione delle idee matematiche è fondamentale da questo punto di vista. L’algebra geometrica dei Greci permette di “vedere” con maggiore chiarezza le formule algebriche. La lunga storia del calcolo, da Newton e Leibniz, fino all’aritmetizzazione dell’analisi nell’Ottocento, fa luce sulle difficoltà nascoste in certe nozioni. Non posso che concordare con il motto latino Historia magistra vitae, almeno se siamo disposti ad imparare le lezioni che la storia ci vuole fornire.

Anche la storia delle notazioni è particolarmente interessante: perché una buona notazione ci suggerisce un teorema o un’idea, e perché una buona notazione non nasce dal nulla, ma è frutto di uno sforzo di vari matematici nel corso dei secoli.

Infine, la storia dei matematici (e delle matematiche, ahimè poco presenti nel Boyer) permette di umanizzare la matematica. La matematica non è una scienza atratta e lontana da noi, ma è un prodotto culturale figlio del lavoro di molte persone, più e meno note. E le loro storie personali, di successo o particolarmente sfortunate, possono catturare l’attenzione degli studenti.

Come esseri umani siamo particolarmente attratti dalle storie, dai racconti. La storia della matematica ci fornisce moltissimi racconti avvincenti, sui singoli personaggi, sulle notazioni, sulle idee, sui teoremi e sulle congetture. Sarebbe un peccato non sfruttare queste frecce nella nostra didattica.

I miei studenti, reali e virtuali

Un corso non ha senso di esistere senza studenti. Ho tenuto questo corso per la Laurea Magistrale in Matematica all’Università di Parma, ma tra gli studenti frequentanti la metà erano iscritti al corso di Laurea Magistrale in Informatica.

Il background matematico dei miei studenti era quindi molto disomogeneo, il che ha avuto due effetti positivi. Il primo, quello di prestare una maggiore attenzione a spiegare gli argomenti in modo chiaro, senza presupporre una conoscenza matematica al livello di un laureato triennale in matematica. Il secondo, quello di prestare anche molta attenzione agli aspetti algoritmici della matematica e a tutti quegli aspetti che hanno favorito la nascita dell’informatica.

Ma ho avuto anche studenti virtuali. Alcuni miei studenti mi hanno scritto prima del corso per sapere se avrei messo a disposizione on-line le mie lezioni. Anche da chi mi segue su Facebook, Instagam o YouTube ho avuto una richiesta simile. Non avevo intenzione di farlo. Non sono uno storico, come ho detto, e avevo una grande paura di dire cose sbagliate o imprecise.

Date le richieste, mi sono però convinto a farlo. Avrei registrato e messo a disposizione tutto il corso su YouTube. Questa decisione ha sicuramente contribuito a migliorare il corso. Una volta deciso di renderlo disponibile, mi sono forzato a produrre delle slide di buona qualità, tutte le volte, e di correggere le slide sbagliate subito dopo il corso. L’impegno è stato gravoso, ma penso abbia dato dei risultati.

Conclusione

Nel tenere questo corso ho imparato molto. E mi sono divertito. Ho riscoperto (o scoperto per la prima volta) alcune parti della matematica (e dei suoi protagonisti). Ho riflettuto a fondo su come sia possibile usare le conoscenze che ci derivano dalla storia della matematica per raccontarla meglio, al grande pubblico o ad una classe di studenti.

E tutto ciò che si impara non può far male! Sicuramente contribuisce a formarci come parsone, come ricercatori o come docenti. Spero che questo corso possa essere d’utilità a qualcuno. E che siate gentili e comprensivi verso le mie imprecisioni e i miei errori.

 

 

Alberto Saracco

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