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Verso la fine degli anni Sessanta una particolare specie di bambù, Phyllostachys Bambusoides, fiorì improvvisamente ovunque, nello stesso momento. Le foreste di questa pianta sbocciarono tutte insieme, in diverse parti del mondo, in perfetta sincronia anche quando erano separate da migliaia di chilometri.

Il ciclo di fioritura di questi bambù è molto lungo e perciò tra una fioritura e l’altra possono passare molti anni. La nuova generazione di questi bambù è ormai vicina ai 50 anni di età, e non ha ancora messo nemmeno un fiore. Né lo farà prima del 2090.
Questi dati sul ciclo di fioritura di queste piante sono noti grazie a degli studiosi cinesi che hanno tenuto traccia di queste fioriture per secoli. Nel 999 d.C., per esempio, registrarono una fioritura di bambù cinese continentale. Probabilmente fu uno spettacolo sorprendente, dal momento che nessuno in vita in quel momento aveva mai visto il fiore di quella specie prima di allora. Le piante di bambù morirono, i loro semi germogliarono, e le foreste non fiorirono più fino al 1114. Dopo che la specie fu importata nel loro paese, i giapponesi documentarono nuove fioriture agli inizi del Settecento, e poi di nuovo tra il 1844 e il 1847. La fioritura avvenuta alla fine degli anni Sessanta era insomma solo la nuova esplosione di un ciclo lungo 120 anni.

L’esistenza di un ciclo di fioritura così inusuale è già abbastanza affascinante di suo, ma negli anni si è scoperto che esiste un certo numero di altre specie di bambù che sbocciano su cicli della durata di decenni. Una specie chiamata Bambusa Bambos fiorisce ogni 32 anni, per esempio. Quella Phyllostachys nigra f. Henonis ce ne mette 60.

Tre biologi di Harvard, incuriositi da questi cicli, hanno recentemente cercato una spiegazione per la loro evoluzione, e sono giunti all’ipotesi che i bambù avrebbero “scelto” cicli così lunghi per la propria fioritura dopo aver fatto alcuni semplici calcoli aritmetici.

Carl Veller, Martin Nowak, e Charles Davis, i biologi autori dello studio, hanno iniziato la loro ricerca basandosi sulle osservazioni del biologo evoluzionista Daniel Janzen.
A metà degli anni Settanta Janzen propose una spiegazione della fioritura in sincronia delle piante di bambù. Ratti, uccelli, maiali e altri animali divorano numeri enormi di semi di bambù. Ogni seme trangugiato rappresenta la perdita di potenziale progenie per la pianta. Se in giro ci sono abbastanza predatori di semi, e se sono anche abbastanza affamati, l’intera produzione di semi di una pianta di bambù rischia di venire spazzata via. Rispetto a questo scenario, un modo in cui le piante di bambù possono cavarsela, sostiene Janzen, è proprio quello di fiorire contemporaneamente. Mettendo una quantità sovrabbondante di cibo a disposizione, infatti, anche se i predatori dovessero rimpinzarsi fino a scoppiare alcuni semi rimarrebbero comunque intatti. E quei semi sopravvissuti possono così avere abbastanza tempo per crescere fino a diventare piante.
Una volta che i bambù si sono coordinati per fiorire in sincronia, è molto difficile che una pianta spezzi le fila. Se alcune piante di bambù dovessero fiorire con qualche anno di anticipo, infatti, gli animali potrebbero banchettare senza problemi con i loro semi, e i loro geni “fuori sincrono” non riuscirebbero ad arrivare alle generazioni future.

Alcuni scienziati avevano già trovato delle prove a supporto delle ipotesi di Janzen, verificando per esempio che inondare i nemici con un gran numero di semi abbassa il danno complessivo che i mangiatori di semi causano a ogni singola piantagione.

Veller e i suoi colleghi hanno provato a rispondere a qualche domanda ancora irrisolta: come hanno fatto le piante di bambù a entrare in questi cicli di fioritura, tanto per cominciare? E come hanno fatto le varie specie a sviluppare così tanti ritmi di fioritura, così lunghi e così diversi tra loro?
Gli scienziati hanno ideato un modello matematico, sulla base delle informazioni note sulla biologia dei bambù. Hanno cominciato prendendo in esame un’ipotetica foresta in cui quasi tutte le piante fioriscono ogni anno, come fanno alcune specie di bambù.

Nella popolazione in esame sono stati inseriti però anche dei mutanti, con mutazioni proprio nei geni che ne regolano il tempo di fioritura: alcune piante avevano bisogno di due anni per fiore, invece di uno. E alcuni dei mutanti biennali fiorivano negli anni pari, altri negli anni dispari. Metterci due anni per la fioritura, invece di uno solo, può avere alcuni vantaggi per le piante di bambù, perché c’è più tempo per raccogliere energia dalla luce del Sole, energia che le piante potrebbero utilizzare per creare più semi, o dare ai propri semi difese più robuste contro gli eventuali predatori. E così, mentre la foresta in esame diventa sempre più popolata da piante dalla fioritura biennale, diminuiscono le piante che rilasciano i loro semi ogni anno.
Alla fine Veller e colleghi hanno trovato che con l’andare del tempo si arriva ad un momento in cui le piante di bambù annuali non riescono a produrre abbastanza semi per sopravvivere all’assalto degli animali, e vengono perciò spazzate via.
Se si tratta di un anno dispari, allora anche le piante biennali dispari possono venire spazzate via. Se si tratta di un anno pari, le piante a fioritura pari rischiano la scomparsa. In entrambi i casi, l’intera foresta viene bruscamente sincronizzata nella fioritura ogni due anni.

È anche possibile che una foresta non abbia piante mutanti con fioritura a due anni, ma altri mutanti che impiegano tre anni o più per fiorire. Veller e i suoi colleghi hanno scoperto che nel loro modello matematico, piante di bambù con cicli di fioritura più lunghi potrebbero a loro volta prendere il sopravvento. Stabilire quale ciclo esattamente finisca per prendere il sopravvento è difficile da dire sin dall’inizio. Perché in parte è una questione di fortuna: il numero di semi di bambù prodotti con successo in un dato anno da una determinata specie può variare a causa del clima e di altre condizioni imprevedibili. Ma qualunque dei cicli di fioritura emerga come quello dominante, l’intera foresta si evolve poi per rimanere sincronizzata con quel ciclo. Tutti i valori anomali della fioritura fuori sincrono vengono spazzati via, proprio come aveva immaginato Janzen.

Il bambù, sottolineano i ricercatori, non può evolvere in senso inverso. Se una foresta di quattro anni dovesse produrre un mutante di due anni, fiorirebbe per metà del tempo negli anni in cui non ha alcuna protezione dai predatori. L’unica direzione che la mutazione può avere è verso cicli più lunghi.

Sviluppato il modello teorico, Veller e colleghi si sono resi conto che avrebbero potuto facilmente testarlo. Se i calcoli sono giusti, questo il loro ragionamento, nel corso di milioni di anni le varie specie oggi esistenti dovrebbero aver effettivamente moltiplicato i loro cicli di fioritura. Ed è probabile allora che lo abbiano fatto a piccoli passi, perché il passaggio da un ciclo di due anni a un ciclo di duecento anni richiederebbe alcuni cambiamenti drastici nella biologia di una pianta di bambù. Pertanto, gli anni totali del ciclo di un bambù dei giorni nostri dovrebbe essere il prodotto di piccoli numeri moltiplicati insieme.
E infatti andando a controllare i dati, nella pratica la matematica del bambù sembra offrire davvero qualche promettente riscontro. Bambusoides Phyllostachys ha un ciclo di 120 anni, per esempio, che è uguale a 5 x 3 x 2 x 2 x 2. Phyllostachys nigra f. Henonis impiega sessanta di anni a fiorire, e 60 è 5 x 3 x 2 x 2. Il ciclo di 32 anni di Bambos Bambusa equivale invece a 2 x 2 x 2 x 2 x 2.

Può essere solo una coincidenza che queste specie nascondano moltiplicazioni così eleganti? Veller ed i suoi colleghi hanno effettuato un test statistico sulle specie di bambù con cicli di fioritura ben documentati, e hanno scoperto che i cicli sono strettamente raggruppati attorno a numeri che possono essere fattorizzati in numeri piccoli. È un modello, una ricorrenza, che non ci si aspetterebbe dal caso.

Ci saranno ora diverse occasioni per mettere alla prova questo modello matematico. Molte specie di bambù hanno cicli di fioritura lunghi che nessuno ha mai misurato con molta precisione. Gli scienziati potrebbero da oggi controllare se i cicli che verranno scoperti si inseriscono nel modello di Veller. Se per esempio dovessero trovare una nuova specie di Phyllostachys con un ciclo di 23 anni, cadrebbe l’ipotesi di un antenato comune con cicli quinquennali. Una cosa è certa, però. Se questo modello richiede che gli scienziati stiano lì ad aspettare che i bambù sboccino, ci vorranno diverse generazioni di scienziati per venirne a capo.

[a cura di Alice Sepe]

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