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All’interno dell’accademia la posizione di persone appartenenti a  minoranze (di genere, etniche, religiose) può rivelarsi non semplice. Con questo intervento Antonella Perucca, professoressa associata all’Università del Lussemburgo, ci aiuta a renderci conto che possiamo essere vittime di pregiudizi e a riflettere su come creare  un ambiente inclusivo sotto molteplici punti di vista (traduzione di Chiara de Fabritiis, coordinatrice del comitato pari opportunità dell’UMI)

Se oggi si pensa alle “minoranze in matematica”, nel senso di gruppi di persone sottorappresentate nella comunità matematica, si è probabilmente portati a considerare le donne matematiche, i matematici di colore, quelli affetti da una disabilità fisica o mentale, matematici con un passato di povertà o rifugiati, colleghi con orientamenti sessuali o convinzioni religiose rari, matematici part-time con doppia occupazione o carriera  e senza dubbio si potrebbe estendere a piacimento questa lista. 

Il primo messaggio che vorrei comunicare è che le minoranze dovrebbero essere trattate come un tutto, perché altrimenti potrebbero venire più facilmente ignorate in virtù del principio “divide et impera“. Ovviamente non tutte le persone hanno le stesse necessità e non tutti gli appartenenti alle categorie elencate sopra hanno bisogno di particolare supporto. In ogni caso molti di loro hanno bisogno di role-models, di mentoring, di counseling e fors’anche di aiuto concreto in determinanti momenti della loro carriera. Del resto una persona può far parte di varie minoranze: come esempio concreto, mi è capitato di reclutare un matematico nero in sedia a rotelle che proviene da un paese in via di sviluppo e ha più di cinquant’anni. Sarebbe quindi opportuno ribattezzare la “parità di genere” con un più inclusivo “parità delle minoranze”.

Il secondo messaggio è che aiutare le minoranze aiuta la comunità. Infatti escludere in un modo o in un altro una persona di un gruppo sottorappresentato significa perdere forza-lavoro. Consideriamo un semplice esempio: se avessimo escluso dalla scienza  tutte le persone il cui cognome inizia per E, non avremmo avuto Einstein. Sarebbe ridicolo avere un pregiudizio contro le persone che portano un cognome che inizia con E perché non c’è nessuna ragione scientifica per credere che siano meno portate alla scienza delle altre, ma ovviamente se a una persona così viene detto fin dalla nascita che chi ha un cognome che inizia per E non è abbastanza bravo, e questo viene statisticamente confermato dalla  sottorappresentazione di quella categoria, ecco che si crea un problema di una minoranza. Questo particolare esempio è ovviamente scelto perché emerga la sua assurdità ed evitabilità, ma se ci si pensa, lo stesso vale per ogni questione di minoranza.

Se siamo molto inclusivi nella lista delle problematiche di minoranza, vediamo che ci sono molte persone che hanno bisogno di essere supportate in modo particolare. Immaginiamo una persona molto timida: anche se questo tratto del carattere non viene valutato come una “problematica di minoranza di tipo caratteriale”, tuttavia come mentore di uno studente o studentessa di questo tipo sappiamo di dovergli dare appoggio in vari modi: può essere necessario incoraggiarlo/a  e magari fornirgli una rete di relazioni che potrebbe essere deficitaria; dobbiamo inoltre valutare la gravità del problema perché la ricerca e l’insegnamento della matematica sono basati sullo scambio. Se comunque una persona si sente a suo agio parlando con 2-3 persone, questo può probabilmente bastare, nel senso che possiamo pensare a un/a matematico/a che non fa mai seminari (o li tiene soltanto online) e ha una posizione permanente in cui non ci siano obblighi  di insegnamento. 

Ognuno di noi spera che persone con specifiche problematiche o disabilità possano trovare la loro strada e non siano escluse a priori dall’accademia. Ne approfitto per osservare che in generale si avverte la necessità di una flessibilità maggiore: ad esempio, coloro che sono assolutamente contrari a sostituire le lezioni alla lavagna con quelle in cui si scrive su un tablet, hanno mai considerato che una persona in sedia a rotelle non ha altra possibilità? Hanno mai pensato che la loro opinione potrebbe essere per la maggior parte basata su usi e costumi tradizionali e che diverso non è sinonimo di peggiore?

Prima di parlare ulteriormente dei problemi delle minoranze, prendiamo in esame il problema della maggioranza. Immaginate di aver fatto domanda per un posto dove ci sono 100 concorrenti e di essere in cima alla lista, esattamente alla pari di un’altra persona che rappresenta una minoranza. La commissione decide di assegnare il posto all’altra persona a causa della sottorappresentazione della sua categoria nello staff accademico. Siete d’accordo a perdere l’opportunità della vostra vita per un bene maggiore? Vi rendete conto che, a parità di risultato raggiunto, l’altra persona è stata probabilmente più tenace di voi a lottare contro gli stereotipi? Siete contenti che possa diventare un role model? O avreste preferito essere secondo in graduatoria per sorteggio, anche se il risultato sarebbe stato  lo stesso? La decisione della commissione è in un certo senso ingiusta, ma comunque la persona scontenta che appartiene alla maggioranza può godere del fatto che  oggi come oggi c’è una notevole prevenzione contro le minoranze e un inconscio trattamento di favore per gli appartenenti alla maggioranza.  

Questa affermazione è stata dimostrata scientificamente in esperimenti dove, in breve, le persone valutano diversamente lo stesso curriculum a seconda che sia presentato da Mario Rossi o da Maria Rossi semplicemente perché pensano che il primo è di un uomo e il secondo di una donna. È statisticamente probabile che il lettore stesso sia affetto da un pregiudizio di questo tipo, quindi valutate seriamente la possibilità di affrontare una formazione (ad esempio seguire un corso o fare letture in proprio) per contrastare questa sorta di prevenzioni, in particolare se fate parte di una commissione di concorso.  

Anche le interruzioni di carriera per motivi di salute o altre circostanze vanno prese in considerazione. Se un collega sta via per un anno per una cura oncologica, siamo molto probabilmente (si spera) collaborativi e solidali e pensiamo che non sia un vero problema per il dipartimento, ma piuttosto un inconveniente come tanti altri. Avremmo lo stesso atteggiamento se questa persona fosse assente per una malattia psichiatrica o un disagio psicologico? E nei confronti di un collega che prendesse un anno di congedo di paternità? Tutti tendiamo a sottostimare il fatto che chiunque, anche se sano oggi, potrebbe essere malato domani. Quindi decidere di non reclutare una persona che ha una maggior probabilità di avere un qualche tipo di problemi non è giusto, oltre che essere iniquo. Ad esempio, rifiutereste di assumere un fumatore, perché ha una probabilità maggiore di sviluppare un tumore ai polmoni? Va anche considerato il fatto che una persona con una storia di problemi medici può essere più preparata ad affrontare malattie future di altre che sono sempre state sane. In generale, chi soffre di una patologia cronica è già in contatto con un medico, sa cosa fare, adotta misure di prevenzione per preservare la propria salute e non ha paura di chiedere aiuto. 

Al giorno d’oggi, comunque, i luoghi di lavoro non possono in generale essere considerati solidali. Altrimenti, il mio amico matematico che soffre di diabete avrebbe istruito tutto il dipartimento su cosa fare in caso di problemi, invece di considerare la sua patologia un vergognoso segreto. Le persone tendono a mettersi al sicuro, ad esempio una donna potrebbe rivelare a una collega (femmina), ma non a un collega (maschio), che ha mal di testa a causa del ciclo mestruale, anche se questa informazione non è né vergognosa né importante. In questo caso il punto cruciale è il fatto che che una collega verrebbe vista come solidale a proposito del problema perché lei capisce (cosa che in realtà avrebbe potuto fare anche il collega maschio).

Un ulteriore suggerimento per chi legge è quello di valutare se le attività sociali sui luoghi di lavoro siano veramente inclusive; spesso infatti tali attività sono anche occasioni di scambio e di creazione di una rete informale di conoscenze, e queste opportunità devono essere accessibili a chiunque. Se ad esempio il dipartimento organizza una partita di calcio questo esclude almeno le persone con disabilità o problemi di salute. Scegliere chi gioca bene o è fornito di scarpe da calcio esclude chi non è allenato o non possiede l’attrezzatura adatta. In tal caso, valutate se organizzare un evento annuale in cui la partita di pallone è aperta a tutti (basta correre dietro alla palla e vedere  gli errori come irrilevanti e non come causa di prese in giro). E ovviamente, considerate anche di programmare una serata al ristorante o a un bar (dove nessuno si stupisca se qualcuno ordina un analcolico) o un evento con giochi da tavolo (dove nessuno si debba sentire un esperto, magari scegliendo un atteggiamento inclusivo e giochi cooperativi come Hanabi).

È consigliabile leggere e tenersi informati sulle varie problematiche. Si può ad esempio imparare che la sindrome dell’impostore non colpisce soltanto le donne (o, in generale, le minoranze, anche se queste ne sono ampiamente colpite) e che le giovani scolare hanno difficoltà a identificarsi nei role models e che questi possono essere anche percepiti come intimidatori/minacciosi. Bisognerebbe cercare di fornire esperienze ed emozioni positive, e questo non è immediatamente facile (più si sa, meglio è). 

È utile anche ricordare che una persona che rappresenta una minoranza può avvertire un forte senso di responsabilità nei confronti di tutta la categoria (un fallimento personale viene visto come un fallimento di tutto il gruppo). Il rifiuto di commettere errori può eliminare opportunità di carriera (e può in parte spiegare ad esempio perché ci sono così poche donne che collaborano a Wikipedia).

Al contrario, un atteggiamento favorevole, sia per le minoranze che per la maggioranza, aiuta ad affrontare i problemi di ricerca e ogni altra difficoltà al lavoro o nella vita personale.

Infine, teniamo a mente che occuparsi delle problematiche delle minoranze non è una responsabilità delle minoranze, ma chiunque è coinvolto.

Antonella Perucca (traduzione a cura di Chiara de Fabritiis)

 

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