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Valutare una scelta non è semplice. Ci sono diversi elementi da considerare. Ma farlo a risultato noto ci espone al bias di risultato. Ce ne parla Marco Menale.

 

Siamo di continuo chiamati a fare scelte nel corso della vita. Dal liceo all’università, dal lavoro ai nostri risparmi, fino alla salute. Eppure, capita di pensare “per come sono andate le cose, è stata proprio una scelta sbagliata!”. Ecco, siamo di fronte al bias di risultato.

Il bias di risultato (in inglese, outcome bias) è l’errore che commettiamo quando valutiamo la positività o negatività di una decisione sulla base del risultato. La valutazione è influenzata dal dato presente, sconosciuto al momento della decisione. E così ci ritroviamo con una visione distorta di quanto successo.

Questo bias è descritto nel 1988 da Jonathan Baron e John C. Hershey, nell’articolo “Outcome Bias in Decision Evaluation”. I due ricercatori discutono i risultati di alcuni studi in cui chiedono ai partecipanti di valutare una decisione presa, noto però l’esito a cui quella stessa decisione ha condotto.

Una delle situazioni investigate è la seguente. Un uomo di 55 anni ha un problema al cuore. Questo disturbo compromette non solo il lavoro, ma anche il suo tempo libero. È possibile intervenire chirurgicamente, con un’operazione di bypass. Tuttavia, quest’intervento ha esito fatale nell’\(8\%\) dei casi. Si decide per l’operazione. Ai partecipanti allo studio è chiesto di valutare questa scelta, noto l’esito. Sono presentate diverse situazioni, come mostra la tabella in Figura 1. In particolare, nei casi 1 e 2, la decisione di operare è stata presa dal medico, con esito positivo e negativo, rispettivamente. Mentre, nei casi 3 e 4, la decisione è del paziente, ancora con esito positivo e negativo. I partecipanti valutano la scelta con un punteggio da \(-3\) (decisione sbagliata e senza scuse) a \(3\) (decisione pienamente corretta).

 

risultato

Figura 1. Media dei punteggi delle valutazioni in 4 casi. Fonte: Baron, J., & Hershey, J. C. (1988). Outcome bias in decision evaluation. Journal of personality and social psychology, 54(4), 569.

 

I risultati dello studio sono raccolti nella Figura 1. Con \(M\) è indicata la media dei punteggi rispetto a ciascun caso. Se l’operazione è andata a buon fine, allora la media \(M\) è positiva, \(0,85\) e \(1,00\) rispettivamente nel caso di scelta del medico e del paziente. Mentre, se l’operazione fallisce, la media dei punteggi si abbassa in entrambi i casi, indipendentemente da chi prende la scelta. Tuttavia, il calo è più marcato quando la scelta è presa dal medico. A detta dei ricercatori, in questo caso i partecipanti sono influenzati dall’idea che il medico non può sbagliare. Siamo in presenza di bias di risultato. Le valutazioni risentono dell’esito dell’operazione, in particolare nel caso di successo. Per verificarlo i due ricercatori misurano il p-value, tramite test esatto di Fisher.

Nello stesso lavoro e con gli stessi strumenti, alcuni partecipanti sono chiamati a scegliere tra due opportunità di investimento, ognuna con un certo esito. Anche in questo caso, danno valutazione positiva della scelta fatta quei partecipanti che non hanno optato per la scelta di investimento che ha determinato un impoverimento.

In definitiva, il bias di risultato altera le valutazioni sulle scelte fatte dato che conosciamo già l’esito, che rischia di diventare il nostro unico campione di riferimento. Mentre, per una più completa valutazione vanno presi più fattori, oltre che un più ampio campione di esiti. Per dirla con il calcolo delle probabilità, non stiamo più valutando la probabilità a-priori dell’evento \(A\), \(P(A)\), ma la sua probabilità condizionata rispetto al solo esito \(E\), \(P(A|E)\).

 

 

Marco Menale

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