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La velocità di crescita di un fenomeno può influenzare le conclusioni. È questione di bias della lunghezza del tempo. Ce ne parla Marco Menale.

La quantità di dati raccolti è in costante aumento. Progrediscono le tecniche di estrapolazione e analisi. E l’impatto sulle nostre vite diventa più grande giorno dopo giorno. Tra i vari, la salute e la medicina sono i più colpiti da questo cambiamento. L’analisi di insiemi di dati può aiutare a scoprire la predisposizione verso certe patologie. Pensiamo ai tumori e alle tecniche di screening. Una diagnosi precoce può salvare la vita, come nel caso del carcinoma mammario (qui i dati ISTAT 2018). Ma lo sviluppo di tecniche sempre più raffinate di screening deve fare i conti con un bias da cui sono affetti questi dati. È il bias della della lunghezza del tempo (length-time bias, in inglese).

È un bias nato proprio in ambito medico nello studio dell’efficacia delle tecniche di screening. E ne è diventato uno dei principali metri di giudizio. Bisogna ricordare che un programma di screening su di una popolazione ha un impatto sulle casse pubbliche. Spendere soldi per qualcosa che non serve può essere un deterrente.

Un esempio può chiarirci le idee. Riportiamo i risultati del lavoro “Length time bias in surveillance for hepatocellular carcinoma and how to avoid it”. Gli autori trattano un particolare tumore del fegato, l’HCC (hepatocellular carcinoma). In particolare provano a stimare l’efficacia degli esami di screening per questa particolare patologia. Infatti una diagnosi precoce può ridurre sensibilmente la mortalità.

Gli autori partono da un insieme di dati di pazienti italiani. \(850\) hanno avuto una diagnosi di HCC durante uno screening semestrale, previsto per predisposizione o altre problematiche epatiche. Mentre \(298\) hanno avuto una diagnosi di HCC a seguito della comparsa di specifici sintomi. A partire da questi dati i ricercatori sviluppano uno scenario teorico con \(1000\) pazienti soggetti a screening semestrale. Le simulazioni realizzate con il metodo montecarlo presentano un \(72,5\%\) di pazienti con diagnosi di HCC durante uno degli screening. Tuttavia un \(18\%\) del campione riceve la stessa diagnosi a causa della comparsa dei sintomi.

A questo punto i ricercatori usano come parametro il tempo medio di raddoppio del tumore. Partiamo dai pazienti con diagnosi da HCC nel corso di uno screening. In questo caso il tempo di raddoppio è circa \(100\) giorni. Mentre nel secondo è di circa \(42\). Dunque il primo gruppo è soggetto ad un tumore a crescita lenta, mentre il secondo ad uno a crescita veloce. Quindi lo screening semestrale tende a scoprire soprattutto tumori a crescita più lenta e con una minore mortalità.

Siamo incappati nel bias della lunghezza del tempo. L’errore di valutazione è legato ai diversi tempi di progresso delle due malattie. Ecco l’origine del bias. Infatti stiamo confrontando i dati di un tumore a crescita lenta con uno a crescita veloce. Il primo ha una fase di sviluppo dei sintomi più lunga e, generalmente, una minore mortalità. Mentre quello a crescita veloce è già troppo avanzato alla comparsa dei sintomi. Dunque uno screening rischia di guardare soprattutto ai primi, con un’efficacia limitata (figura 1).

L’importanza degli screening periodici resta intatta. Infatti assistiamo ad un continuo aumento dell’aspettativa di vita a seguito di diagnosi di tumori. Tuttavia bisogna tener presente il bias della lunghezza del tempo. Il rischio è sovrastimare i benefici di un certo screening quando in realtà è solo l’effetto di un bias ben nascosto. Riconoscerlo significa migliorare l’efficacia di queste procedure, con un vantaggio per l’intera collettività.

 

bias della lunghezza del tempo

Figura 1. Bias della lunghezza del tempo per le diagnosi di cancro, Screening for Cancer: Evaluating the Evidence

 

 

Marco Menale

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