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Più siamo convinti di un’idea, più vediamo sue conferme in giro. Non c’è proprio nulla che possa contraddirla, o metterla alla prova. È il bias dell’evidenza incompleta. Ce ne parla Marco Menale.

“In questo periodo va tutto male!”. Capita, o ci è capitato, di dire questa frase. Da un lato come sfogo personale, ma dall’altro a confermare che di buono non c’è proprio nulla. E appena un’altra sventura si aggiunge, la convinzione si rafforza. Anche un temporale di ritorno da lavoro acquista la sua importanza. Ma è davvero tutto negativo? Non c’è proprio nulla da salvare? Forse ci stiamo focalizzando solo sulle cose negative. E, più o meno inconsciamente, trascuriamo quelle non-negative. Siamo di fronte al bias dell’evidenza incompleta.

Il bias dell’evidenza incompleta è la tendenza delle persone a vedere solo fatti, dati ed eventi a conferma di una particolare idea, ignorando quanto possa contraddirla. L’incompletezza si riferisce proprio alle informazioni che potrebbero fornire un quadro più ampio su un certa situazione. E magari spingerci a cambiare idea, o quantomeno a smussarla. Questo bias è noto anche come “cherry picking”, cioè “selezionare le ciliegie”. Per spiegare il motivo, consideriamo proprio una persona che coltiva ciliegie. Al momento del raccolto seleziona solo le perfette, scartando quelle con qualche difetto oppure andate a male. Così facendo, al momento della vendita, l’acquirente vedrà un cestino di ciliegie perfette, e potrebbe convincersi che tutte le ciliegie di quel coltivatore sono perfette. Ecco, l’evidenza è incompleta.

Come per altri bias, come il bias della conferma,  anche in questo caso sono stati avviati studi per descriverlo e comprenderlo. E anche le sue conseguenze. Ad esempio, è responsabile nei social network della camera dell’eco (echo-chamber, in inglese). È il fenomeno per cui tendiamo ad avere amici e leggere post che propongono contenuti a conferma della nostra idea su di un argomento. Non vediamo quanto possa contraddirla, o almeno metterla alla prova. Un po’ come un buon evento in un periodo nero. Ancora, c’è la bolla di filtraggio di Google, per cui l’algoritmo non ci mostra informazioni in contrasto con il nostro punto di vista, al punto da guidarci verso contenuti affini alle nostre idee.

Questi effetti sono descritti e studiati anche in ambito politico. Nell’articolo “Public Discourse and Social Network Echo Chambers Driven by Socio-Cognitive Biases”, del 2020, un gruppo di ricercatori valuta le conseguenze di questi bias nella discussione politica a mezzo social. Utilizzando un modello agent-based, gli autori mostrano che una campagna elettorale aggressiva determina una polarizzazione del dibattito e la formazione di camere d’eco. La causa? Tra le altre, il bias dell’evidenza incompleta.

Non solo la politica. Gli effetti di questo bias riguardano anche la negazione delle cause antropiche del cambiamento climatico, così come altre questioni di natura scientifica. E allora attenti alle informazioni che riceviamo. Anzi, soprattutto a quelle che non riceviamo.

 

Marco Menale

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