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La prima apparizione del punto all’interno di un numero per separare la cifra delle unità dai suoi valori decimali è comunemente attribuita Christopher Clavius in un’opera del 1593. Ora però, in un recente articolo nella rivista Historia Mathematica, lo storico canadese Glen Van Brummelen ha rintracciato le origini di questa notazione in uno scritto del 1440 dell’astronomo ferrarese Giovanni Bianchini. Ce ne parla Riccardo Bellè.

In un mondo in cui impariamo a misurare con il sistema metrico decimale e a spendere denaro che si suddivide in centesimi, potrebbe sembrare che l’uso di un qualche segno che separi le unità dai decimali sia del tutto naturale e immediato: nel sistema metrico si usa la virgola, nei paesi anglosassoni il punto. Ma la storia è più complicata di così.

Nell’Occidente latino la numerazione decimale posizionale a cifre indo-arabiche, cioè quella che usiamo oggi, ha iniziato a diffondersi a partire dalla fine del XII secolo soprattutto grazie all’opera di Leonardo Pisano (più noto come Fibonacci), che aveva raccolto nel Liber Abbaci molta della matematica araba che aveva imparato nei suoi viaggi: una matematica nuova, a partire dal sistema di numerazione. Nell’Europa del XII secolo stavano rinascendo i traffici e i commerci e si stava affermando un’economia di tipo mercantile che aveva bisogno di un sistema di numerazione più efficace di quello romano. Il ceto mercantile emergente venne istruito nella nuova matematica nelle scuole d’abaco, sviluppatesi soprattutto in Italia. Fu però necessario oltre un secolo perché questo nuovo modo di rappresentare i numeri naturali si affermasse, ma l’introduzione dei “numeri con la virgola” avvenne più tardi … e solo quando ce ne fu veramente bisogno.

Nel mondo medievale quasi ogni città aveva la propria moneta e le proprie unità di misura per lunghezza, capacità e peso, ma queste misure non avevano in genere sottomultipli decimali. Per esempio, la lira si divideva in 20 soldi e il soldo in 12 denari. In una società che non era solita suddividere l’unità in dieci parti l’esigenza di usare i decimali non era avvertita. Quando si dovevano scrivere numeri più piccoli dell’unità, si usavano le frazioni; all’epoca si diceva i “numeri rotti” (contrapposti ai “numeri interi”). Se ci si pensa bene, l’uso delle frazioni offre indubbi vantaggi. Se vogliamo dividere in tre parti uguali una certa quantità di denaro, per esempio 8 lire, 13 soldi e 3 denari, la notazione decimale non aiuta; è più comodo trasformare le quantità in gioco nell’unità più piccola, cioè in denari, e considerare 1/3 dei 2079 denari totali e cioè £. 2 s. 17 d. 9 (come si sarebbe scritto allora, abbreviando l’indicazione delle monete). Esempi come questo si presentavano continuamente nella vita di un mercante, di un banchiere o di un artigiano. Il campo in cui erano necessari numeri molto grandi o molto piccoli e si richiedeva la capacità di eseguire calcoli lunghi e complessi era però l’astronomia. Dai tempi di Tolomeo (II secolo d. C.), autore del celebre Almagesto, i matematici avevano costruito tavole numeriche da utilizzare per lo studio dei corpi celesti. In questo ambito si era sempre usata la notazione sessagesimale che sopravvive ancora oggi. Per misurare gli angoli si usava il grado, suddiviso in 60 minuta (in latino, cose piccole) e 60 secunda. Nei manoscritti questa scrittura si trova spesso abbreviata, come per esempio in g. .39. m. .47. s. .12. dove viene comunemente usato il punto, anzi molti punti. Nei manoscritti di carattere matematico i punti servivano per separare il testo dalle lettere che indicavano grandezze matematiche (ad esempio, il segmento .ab.) dai numeri (ad esempio .3.). Servivano inoltre, come abbiamo visto sopra, per indicare l’abbreviazione di una parola ricorrente: g. per gradus, m. per minuta.

By Giovanni Bianchini (Johannes Blanchinus) – Available in the BEIC digital library and uploaded in partnership with BEIC Foundation., Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=40577383

In questo contesto, uno studio dello storico canadese Glen Van Brummelen, recentemente pubblicato sulla rivista Historia Mathematica, individua una significativa interazione fra la tradizione abachistica della matematica pratica e il calcolo astronomico delle tavole. Van Brummelen, dopo aver ricordato che è stato Simone Stevin con l’opera De Thiende (1585) a introdurre l’uso dei decimali (senza però uso del punto), ha individuato nell’astronomo ferrarese Giovanni Bianchini (c. 1410-1469) la figura chiave di questa vicenda. Bianchini, dopo essersi dedicato ad attività commerciali in età giovanile, attorno alle metà del Quattrocento compose alcune tavole astronomiche in cui appare il punto di separazione delle unità dai decimi. Siamo, bisogna dirlo, ancora in una fase molto iniziale: i “numeri decimali” di Bianchini non vanno oltre una cifra dopo il punto e sono usati solo in una particolare operazione legata all’uso delle tavole. Ma Bianchini non si è limitato a questo. Frutto della sua frequentazione del mondo della matematica pratica è la Compositio instrumenti, una breve opera sull’uso di uno strumento per misurare le distanze. Anche se non si utilizza il punto decimale, in quest’opera l’unità di lunghezza (il piede, pes) è suddivisa in dieci parti (untie), ciascuna delle quali viene a sua volta suddivisa in dieci parti (minuta) e così via di dieci in dieci. Bianchini giustifica questa scelta — evidentemente all’epoca non scontata — con una maggiore facilità nelle moltiplicazioni e nelle divisioni: “ut multiplicationes et divisiones … facilius operentur“. Potremmo quindi ipotizzare che prima l’utilizzo dei sottomultipli decimali, molto comodi per i calcoli, e poi l’utilizzo del punto per separare le unità dai decimi abbiano preparato il terreno per la successiva introduzione di questa notazione. Ascrivere a Bianchini la paternità dei numeri decimali è però francamente eccessivo (e del resto non è nemmeno la tesi che Van Brummelen sostiene nell’articolo). Il resto della storia è noto. Quasi un secolo e mezzo dopo, il matematico gesuita Cristoph Clavius nel suo Astrolabium (1593) fece un uso del punto analogo a quello di Bianchini in un’opera a stampa. Ma il punto decimale fece il suo ingresso ufficiale nella scrittura dei numeri solo qualche anno dopo, nel 1619, grazie all’opera di John Napier (Nepero) Mirifici Logarithmorum Canonis Constructio. Qui finalmente troviamo un uso consapevole della nuova notazione, nata da esigenze di semplificazione dei calcoli, con una chiara spiegazione di cosa rappresentasse quel “punto” che da allora è entrato nella pratica comune.

Riccardo Bellè

Immagine di copertina generata di Chat di Bing, con tecnologia DALL-E 3.0

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