Recensione di Roberto Natalini di “Un genio nello scantinato” di Alexander Masters (Adelphi 2013, trad. di Andrew Tanzi), la strana biografia di uno strano talento matematico.
Come funziona una TAC? Semplificando molto, si fissa una retta che passa attraverso un corpo che si vuole esaminare e si fa partire in quella direzione un fascio di raggi X, e poi si misura la loro intensità dopo l’attraversamento, che è attenuata in modo esplicitamente correlato con la densità totale dei tessuti attraversati. Si ripete questa operazione per un numero molto grande di direzioni diverse. Esiste allora un oggetto matematico, chiamato trasformata di Radon inversa, che permette di calcolare la distribuzione interna della densità del corpo a partire dall’insieme totale dei valori misurati di intensità. Insomma, possiamo “vedere” qualcosa di inaccessibile e invisibile, a partire da tante misurazioni esterne e indirette. Forse non è poi così tanto sorprendente, ma non è facile e spesso si commettono errori. Però, pensandoci un po’ meglio, a me sembra che quasi tutto nella nostra vita si svolga seguendo questa modalità. Se vogliamo conoscere una cosa qualsiasi, persona o particella subatomica, dobbiamo interagire con essa, farle emettere segnali, e poi unire i puntini, tanti o pochi che siano, cercando di capire cosa c’è dietro. Quando parliamo con qualcuno o guidiamo la macchina, elaboriamo continuamente segnali che ci permettono di ricostruire le intenzioni degli altri, esseri nascosti di cui captiamo solo le manifestazioni più esteriori. È come seguire le tracce di un animale nel bosco, non è facile e spesso si commettono errori. E ci sono due attività che sono particolarmente, se non esclusivamente, segnate da questa modalità di ricostruzione indiretta, e sono la matematica e la letteratura.
In cosa consiste l’attività di un matematico? Spesso cerca solo di rendere visibile qualche cosa di altrimenti inaccessibile, di renderlo conosciuto e familiare. La dimostrazione di un teorema è la strada per esibire gli argomenti che supportano questa nostra convinzione. Non è un fatto formale, ma è proprio parte integrante del nostro processo conoscitivo. A priori non c’è niente di evidente, se no non servirebbe una dimostrazione, nel teorema di Pitagora, o in quello dei 4 colori, nel fatto che i fluidi abbiano o meno dei vortici singolari o che esistano o meno infinite coppie di numeri primi gemelli. C’è una realtà sfuggente che sta lì da qualche parte e, da matematici, ci muoviamo a tastoni nel buio, collezionando piccoli progressi e tanti insuccessi, aggirando gli ostacoli con l’intuito e a volte con un po’ di fortuna. Ma sempre come se fossimo bendati e incappucciati. Pensate: un ipercubo in duecentomila dimensioni, dei numeri che superano di miliardi di volte il numero dei secondi trascorsi dall’inizio dell’universo moltiplicati per quello di tutti gli atomi esistenti, uno spazio di dimensioni infinite di cui studiamo le valli e i passi di montagna (e sono tutte cose vere). Ma no, non ci pensate, perché queste cose, in realtà, sono percepibili solo in modo indiretto, attraverso similitudini, ossia le tracce che lasciano nella nostra percezione ordinaria, e che a volte, ma forse non per i matematici, si confondono davanti ai nostri occhi. E queste tracce ci danno il potere, o forse l’illusione, di conoscere l’oggetto che le ha prodotte.
In letteratura vi sono personaggi, situazioni, a volte solo un’impressione, un movimento, una fissazione, che vivono di vita propria nella mente dello scrittore. Un romanzo è un generoso tentativo di trasmettere questa attività mentale, e il testo scritto è la traccia che seguiamo, noi e lo scrittore al nostro fianco, cercando di catturare la cosa o l’essere che l’ha disseminata. Chi lo sa cosa sono (e non chi sono) veramente Emma Bovary, Renzo Tramaglino o Anna Karenina e le loro storie. Anna, Renzo, Emma sono cose tradotte nel testo e ricostruite dal nostro atto di leggere. E questa “cosa”, la funzione che, sorretta dai personaggi e dalle situazioni, va dalla mente dello scrittore a quella del lettore, è la base stessa dell’atto letterario. Ci sono dei segni insomma, e qualcuno o qualcosa deve pur averli lasciati. Ma molto resta nel non detto, cose che verranno ricreate nella mente del lettore, e anzi forse leggere alla fine è proprio il lavoro di immaginare le cose non scritte, le cose invisibili e inaccessibili nel testo.
Nel libro che recensiamo, “Un genio nello scantinato”, Alexander Masters decide di occuparsi di entrambe le cose, matematica e letteratura. Ci presenta un’indagine abbastanza letteraria, la ricerca di un personaggio sfuggente, ma in qualche modo atomico e ineludibile, e il fatto che sia una persona realmente esistente a noi poco importa (e forse nemmeno a lui), anche se non smette mai di intervenire nel racconto. E poi c’è lo stesso personaggio sfuggente che è a sua volta il protagonista di un’altra indagine, questa volta a carattere matematico, il tentativo di capire un componente primario e anche lui atomico e ineludibile di una parte importante della matematica, un oggetto sfuggente, ma anche un oggetto matematico realmente esistente, cosa questa volta assolutamente non secondaria.
Ci sono dunque due storie. Quella del personaggio è apparentemente molto semplice. Si chiama Simon Norton, e fin da bambino è sempre stato straordinariamente bravo in matematica. Nonostante un sistema educativo abbastanza rigido, Norton è emerso con facilità, dimostrando un grande talento matematico, vincendo ripetutamente le Olimpiadi internazionali di matematica e riuscendo a laurearsi a soli 17 anni per entrare immediatamente dopo a Cambridge (UK) come dottorando sotto la guida del grande matematico John Conway. La sua passione è la teoria dei gruppi, e partecipa, insieme a Conway e al suo gruppo, alla stesura dell’Atlante dei Gruppi Semplici Finiti, un’eroica impresa di classificazione che conclude una lunga stagione di ricerca di decine di matematici sparsi per tutto il mondo. L’Atlante è pubblicato nel 1985, quando Norton ha 33 anni. Con il trasferimento di Conway a Princeton (USA) nello stesso anno, Norton cessa ogni rapporto lavorativo con l’università. Avendo dei soldi di famiglia, vive da allora in una casa a Cambridge, dando in affitto alcune delle sue stanze e animando campagne civili di miglioramento dei trasporti pubblici inglesi, in realtà il suo interesse principale nella vita. La sua abitazione è immersa in un totale disordine e passa le sue giornate facendo lunghe escursioni attraverso itinerari di bus e treni che solo lui riesce a dominare completamente. Qualche cosa è successo, non sappiamo cosa, ma la vita di Norton sembra stagnare nello scantinato in cui vive e che dà il titolo al libro.
E poi c’è un’altra storia. La storia di un problema difficile, che Masters, aiutato dallo stesso Simon, prova lo stesso a spiegarci. Ci sono i gruppi, che sono degli oggetti matematici che permettono di descrivere le simmetrie. Una simmetria è una trasformazione che lascia qualcosa uguale a se stesso. Prendiamo un triangolo equilatero con la punta verso l’alto. Se lo giriamo in senso antiorario di 120 gradi, il nuovo triangolo è indistinguibile dal precedente. Lo stesso se lo giriamo di altri 120 gradi nella stessa direzione. Possiamo comporre questi movimenti tra loro, costruendo così una tavola delle moltiplicazioni di questo insieme composto da un numero finito di oggetti. Questo è un gruppo (molto semplice) delle simmetrie di un triangolo. Possiamo ripetere la cosa con tutte le figure regolari e non del piano e dello spazio, o anche in spazi di dimensioni superiori. Possiamo anche costruire gruppi che descrivono le permutazioni di un insieme finito di oggetti. Insomma, i gruppi sono degli insiemi con un’operazione invertibile (moltiplico e divido) che hanno un’unità (e qualche altra cosetta, ma lasciamo perdere). E poi successe che, mentre era in corso la classificazione dei gruppi elementari (privi di sottogruppi normali, ossia i costituenti fondamentali di tutti gli altri gruppi), ci si accorse che da tutte le classi dei gruppi conosciuti si staccavano 26 gruppi cosiddetti sporadici (perché proprio 26 nessuno lo sa). Quasi tutti furono trovati tra il 1860 e il 1975. Uno di questi ha una cosa come \(10^{54}\) elementi (sic!) e per questo, e anche per la difficoltà di rappresentarlo, fu chiamato il gruppo “Mostro” (di Fischer-Griess). E mentre per gli altri gruppi è stato sempre possibile capire quale fosse una rappresentazione ridotta semplice del gruppo, per questo gruppo la cosa non è stata ancora possibile. E nel libro si fa capire che questo problema in qualche modo si agita ancora nella mente di Norton: trovare un oggetto, che per vari motivi deve vivere in uno spazio che abbia 196.883 dimensioni (sic!), il cui gruppo di simmetria corrisponda al “Mostro”.
Nel testo troviamo delle descrizioni della vita di Norton, delle gite che fa sugli autobus in giro per il Regno Unito, alternate con spiegazioni di base molto suggestive, con dei bellissimi disegni dell’autore, sui fondamenti della teoria dei gruppi. E ad un certo punto l’autore ci suggerisce qualcosa, un qualcosa che andando avanti nella lettura stavamo cominciando a capire anche noi.
“Risposta alla Domanda Biografica Fondamentale n. 74, sottosezione b), nella fattispecie: perché scrivere un libro su Simon? Perché lui sta alla biografia come il Mostro sta alla teoria dei gruppi: un problema ostico che nonostante tutto rappresenta un tipo atomico dell’essere, la particella elementare dei caratteri contorti.
Masters non scrive una biografia canonica, tutta da fuori, con una pretesa oggettività. Masters vive accanto a Simon e gli vuole bene, e questo loro incontro sarà destinato a modificarli entrambi in modo irreversibile. Nel suo saggio “Rhetoric and the Math Melodrama”, apparso su Science nel dicembre del 2000 (e purtroppo non ancora tradotto in italiano), David Foster Wallace analizza l’insorgere di una nuova forma di genere letterario, il melodramma matematico, che ha come centro un nuovo tipo di eroe, il genio matematico (reale o immaginario che sia). E scrive: “La strana paura e il disgusto che la matematica scolastica produce in così tante persone è ciò che rende l’emergere del Melodramma Matematico così avvincente: se questo tipo di narrativa fosse in grado di restituire vivacità alla matematica pura e comunicare al lettore medio l’estrema bellezza e la passione per questa disciplina, ne guadagnerebbero sia il lettore che la stessa matematica.” Poi però si lamenta che i romanzi che sta recensendo, “Lo zio Petros e la congettura di Goldbach” e “I numeri ribelli”, non siano all’altezza di tale missione, sia per la loro scarsa qualità letteraria, sia per l’intrinseca difficoltà di parlare di matematica ad un pubblico eterogeneo. A me sembra che il lavoro di Masters, anche se non proprio melodrammatico, anzi a tratti molto divertente, e con momenti di notevole intensità, qui siamo più dalle parti di una TAC effettuata ad una persona cara, non avrebbe scontentato Wallace. Io farei leggere i capitoli sulla teoria dei gruppi a coloro che dicono di non capire la matematica. Forse capirebbero quanto sia più difficile capire le persone.
Roberto Natalini
“Un genio nello scantinato” di Alexander Masters (Adelphi 2013, trad. di Andrew Tanzi)