Venerdì scorso è venuto a mancare, nella sua casa di Manhattan, il matematico Peter Lax. Aveva 99 anni. Ha studiato problemi matematici all’intersezione tra la teoria e le applicazioni, ridefinendo il modo con cui gli scienziati avrebbero usato le nuove tecnologie computazionali per risolvere problemi tecnologici, dalla progettazione di velivoli alle previsioni del tempo. Per ricordalo ripubblichiamo un’intervista raccolta a Roma da Marco Motta e Roberto Natalini, in occasione della Picone Lecture tenutasi presso la sede centrale del Cnr il 27 giugno 2007. [1 ]Un estratto di questa intervista è andato in onda nel corso della trasmissione radiofonica Radio3Scienza di Radio3 del 2 luglio 2007. Il testo è stato precedentemente pubblicato come “M. Motta e R. Natalini, Intervista a Peter Lax: ‘La Matematica pura? Una branca di quella applicata’, Lettera matematica Pristem 65, ottobre 2007”.
“È l’impersonificazione, che si realizza solo molto raramente, della sintesi tra l’analisi matematica astratta e la più grande capacità concreta nel risolvere i singoli problemi”. Sono le parole usate da Richard Courant per definire il suo allievo Peter Lax. In carne ed ossa, questo gigante della matematica applicata, vincitore del Premio Abel nel 2005, ha l’aspetto di un gentile signore di 81 anni. Un intellettuale ebreo ungherese, approdato negli Stati Uniti con la famiglia nel 1941, come molti altri scienziati europei scampati al nazismo. Lo abbiamo incontrato all’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “M. Picone” di Roma in occasione della Quarta Picone Lecture da lui tenuta il 27 giugno scorso.
Professor Lax, dal giudizio che di lei ha dato Richard Courant, sembra che lei sia riuscito a unire nella sua opera la matematica pura e quella applicata, che molti vogliono considerare come rigidamente separate. Secondo lei c’è una reale differenza tra le due?
Beh, uno dei più noti matematici applicati del mondo, il mio collega e amico Joe Keller, quando gli fu chiesto di definire la differenza tra matematica pura e applicata, rispose: “ma la matematica pura è una branca della matematica applicata!”, e in effetti storicamente è avvenuto proprio così. Per quanto riguarda il mio lavoro, devo dire che ho potuto piacevolmente praticare entrambe, sia la matematica pura che quella applicata, e personalmente non riesco a vedere nessuna differenza essenziale tra le due.
Ci può spiegare perché i suoi studi sulle equazioni differenziali alle derivate parziali rivestono un ruolo così importante in molti settori del mondo contemporaneo?
Anni fa scrissi un libro sul calcolo che però si è poi rivelato un colossale insuccesso. Ora sto cercando di rivederlo con l’aiuto di un collaboratore: lì penso di esporre, nel primo capitolo, le ragioni dell’importanza del calcolo. Per dirla in poche parole, questa importanza risiede nel fatto che tutte le leggi di natura sono espresse come equazioni differenziali alle derivate parziali. E no, non c’è una specie di “mafia del calcolo” – passatemi l’espressione – che abbia costretto la fisica a formulare le proprie leggi in quella maniera…no, semplicemente le leggi della fisica sono locali, cioè esprimono la relazione di quantità fisiche come la pressione, la temperatura, la velocità, l’accelerazione o la forza in un punto. E le quantità che sono locali in questo senso sono proprio i valori delle funzioni e delle loro derivate. Ecco perché nella formulazione delle leggi fisiche sono sempre coinvolte le derivate e vengono espresse con delle equazioni differenziali.
In quali campi hanno trovato maggiori applicazioni i suoi risultati?
Qui ha giocato molto il caso. Durante la seconda guerra mondiale, mentre ero arruolato nell’esercito degli Stati Uniti, fui assegnato al Los Alamos Laboratory. Questo lavoro mi appassionava, e così, dopo aver conseguito il mio Ph.D., feci ritorno a Los Alamos per un anno e poi per diverse estati successive da consulente. I problemi che dovevo risolvere mi appassionavano perché coinvolgevano proprio le equazioni differenziali alle derivate parziali. Lì nacque anche il mio interesse per l’informatica: non si potevano sperimentare le bombe nucleari per tentativi ed errori, ma si dovevano calcolare con precisione i loro effetti, e questo richiedeva un bel po’ di calcoli matematici, soprattutto di fluidodinamica, visto che si trattava di esplosioni che generavano enormi onde d’urto. Probabilmente fu John von Neumann il primo a comprendere che per risolvere questi problemi c’era bisogno dei computer. Ecco perché von Neumann dedicò gran parte dei suoi ultimi anni alla progettazione di nuovi computer e programmi informatici.
Come pensa che reagirebbe von Neumann, che lei ha conosciuto e frequentato, di fronte all’impressionante sviluppo e diffusione dei computer oggi?
Certo, il suo pensiero era così veloce, molte volte più veloce di quello di qualsiasi altro essere umano, che gli sarebbero sufficienti pochi minuti per mettersi al passo con tutte le innovazioni informatiche degli ultimi anni, ma penso che rimarrebbe molto sorpreso dall’ubiquità dei computer, dalla loro impressionante velocità e capacità di calcolo. E penso che sarebbe piacevolmente sorpreso del fatto che Stati Uniti e Unione Sovietica non si siano annientati reciprocamente, e soprattutto del fatto che il sistema sovietico sia collassato.
Ci dica qualche buona ragione per spingere i governi a finanziare la ricerca matematica.
Le farò due esempi. Nessuno negherebbe che l’aeronautica moderna, la possibilità per tutti di viaggiare in aereo, abbia portato benefici enormi a tutta l’umanità: ha consentito a persone senza molti soldi a disposizione e senza la possibilità di prendersi lunghi periodi di vacanza, di raggiungere località distanti e vivere nuove esperienze. E tutto questo è possibile perché abbiamo aerei che volano molto veloci, anche oltre la velocità del suono, il biglietto non costa un occhio della testa e tuttavia sono velivoli assolutamente affidabili. Come si è giunti a tutto questo? Progettando e realizzando aeroplani che possono volare veloci e trasportare una gran quantità di persone. Come vengono progettati questi velivoli? Tutti gli aeroplani realizzati negli ultimi 10-15 anni, senza eccezioni, sono stati progettati in primo luogo al computer. La metodologia è la seguente: si progetta una sagoma di velivolo in base alla quale si calcolano le equazioni dei flussi aerodinamici attorno a quel profilo per una velocità data. È un calcolo estremamente complicato, che coinvolge milioni di punti e un numero elevatissimo di passaggi di calcolo, che è possibile risolvere non solo perché abbiamo computer potenti e veloci, ma soprattutto perché abbiamo sviluppato dei moderni metodi matematici di risoluzione per questo tipo di equazioni. Senza matematica, tutto ciò non sarebbe stato possibile.
Quindi si troverà d’accordo con la scherzosa provocazione lanciata da Ian Stewart nel suo recente libro “Com’è bella la matematica” di cominciare ad applicare un’etichetta “contiene matematica” sugli oggetti…
Ah, beh, certo, e penso che avremmo dei risultati sorprendenti!…ma eccole un altro esempio che dimostra come la matematica sia dappertutto. Probabilmente ai lettori sarà capitato di fare un esame ai raggi X, una TAC, oppure una risonanza magnetica: ebbene tutti questi esami medici sono possibili grazie alla matematica. Ma in che modo? Spesso nei resoconti divulgativi vengono spiegati così: gli strumenti “scattano” le immagini e poi il computer ricostruisce quello che viene osservato nell’organismo. Ora, questa descrizione ignora una componente fondamentale di questi processi, cioè la matematica utilizzata per ricostruire l’immagine anatomica a partire per esempio da quanto ha rilevato lo strumento a raggi X. Senza un’intensa applicazione della matematica, non avremmo potuto avere tutto questo. Ma mi lasci aggiungere un’ultima osservazione. La bomba atomica e lo sputnik furono dei grandi stimoli per i finanziamenti statali alla ricerca matematica, perché divenne chiaro che queste innovazioni vitali e mortali erano impossibili senza matematica. Oggigiorno, i governi hanno tali e tanti problemi che spesso sono tentati di recuperare risorse tagliando i finanziamenti alla scienza e alla matematica. Spero che in Italia non stia avvenendo questo…, dopotutto il fratello di Romano Prodi è stato un matematico di grande valore…
Quali sono le principali differenze tra la matematica applicata degli anni ’50 – ’60, all’inizio della sua carriera, e quella dei giorni nostri? E quali sono i risultati più straordinari conseguiti dalla matematica applicata negli ultimi cinquant’anni?
Forse il fattore più importante nel trasformare l’immagine della matematica applicata è stato il gigantesco sviluppo dei computer. A quei tempi, quando i computer erano primitivi, se volevi ottenere numeri da una teoria matematica per fini applicativi, dovevi semplificare enormemente il problema prima di poterlo risolvere. Questo portava a risultati non molto affidabili e per di più era esteticamente davvero poco gradevole. Oggi invece possiamo affrontare di petto il problema così come si presenta e non siamo costretti a smontarlo. Ecco, penso che questo fattore abbia attratto molte persone ad occuparsi di matematica applicata.
Quali aspetti dell’odierna matematica applicata reputa i più promettenti per il futuro?
Niels Bohr amava molto citare un antico detto danese: “ È difficile fare previsioni, specialmente per il futuro”… quindi direi piuttosto che ci sono alcuni campi che attraggono il mio interesse, per esempio quelli che si basano su sistemi completamente integrabili. In questo settore sono state dimostrate cose straordinarie. La caratteristica principale di questi sistemi è il fatto che si possono risolvere più o meno esplicitamente… ecco, direi piuttosto meno che più…, ma insomma se ci si lavora abbastanza è possibile riuscire ad usare queste soluzioni. Ora, il problema centrale è questo: le proprietà di questi sistemi sono speciali, oppure è possibile estrarre, grazie alla risolubilità, le caratteristiche essenziali di queste proprietà e dimostrare che rimangono vere anche per sistemi più generali? Sono personalmente convinto che queste proprietà eccezionali dei sistemi integrabili siano condivise anche da quelli non integrabili, ma il problema è come provarlo. Beh, la nostra intuizione può essere orientata effettuando precise simulazioni numeriche, e per ora questa congettura è stata verificata numericamente, praticamente per ogni sistema che sia stato studiato.
A questo proposito vorrei ricordare che fu von Neumann a notare questo fatto già nel 1945 quando i computer erano ancora un prodotto della sua immaginazione. I computer non sono solo pura forza bruta per risolvere i problemi degli ingegneri, ma sono uno strumento per i teorici, forniscono indizi, proprio come fanno gli esperimenti, per capire che strada seguire. In sintesi si potrebbe dire che il computer è uno strumento che il teorico deve usare come si fa in fisica con gli esperimenti.
Nell’immaginario collettivo i matematici vivono sempre un po’ in una dimensione parallela. Un’immagine rafforzata da storie come quella di John Nash, il grande matematico per decenni affetto da schizofrenia, protagonista del film “A beautiful mind”. La sua biografia, al contrario, sembra decostruire quest’immagine. Si dice per esempio che lei abbia sempre avuto un buon rapporto con i suoi studenti.
Può essere vero che alcuni matematici siano affetti non tanto da schizofrenia, ma direi piuttosto dalla sindrome di Asperger, ma personalmente credo di non mostrarne i sintomi. Ho sempre avuto ottimi rapporti con i miei studenti, ne ho portati 55 fino al Ph.D., e circa un terzo di loro sono diventati matematici di successo, e anche esseri umani ben integrati nella società. Mi piacerebbe però raccontarle dei miei anni da studente. Il mio docente Richard Courant amava molto sciare e portava spesso sulle montagne alcuni dei suoi studenti, tra i quali me, Joe Keller e la mia futura moglie Anneli. A quel tempo non c’erano molti skilift e quindi salivamo in montagna sugli sci, applicando delle pelli sugli sci…forse molti tra i lettori non avranno la più pallida idea di cosa siano queste pelli, di solito erano pelli di foca che impedivano di scivolare mentre si scalavano i pendii. Queste scalate mi fecero entrare in intimità con Courant e con gli altri docenti che facevano parte del gruppo, tra cui Friedrichs e Stoker. Furono esperienze emotivamente coinvolgenti e io ho cercato di imitare i miei docenti di allora nel mio rapporto con i miei studenti.
Lei è venuto a Roma per tenere la quarta edizione delle Picone Lectures. Ha mai conosciuto Mauro Picone?
Sì, certo, ho incontrato Mauro Picone qui a Roma circa cinquant’anni fa, grazie al mio docente Richard Courant che era un suo amico. In un certo senso le loro carriere si sono svolte in parallelo: entrambi erano ottimi matematici ma in realtà erano ben più di questo. Erano grandi insegnanti, e Picone aveva degli studenti eccellenti (come per esempio Gaetano Fichera, che divenne mio amico) e fondò l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo, quello stesso nel quale ci troviamo oggi, che si è sviluppato conservando lo spirito del suo fondatore, che credeva profondamente nelle possibilità della matematica applicata.
Lei è un grande amante della musica. Potrebbe dirci come vede il rapporto tra quest’arte e la matematica?
È vero, nell’immaginario popolare matematica e musica sono legate fra loro, ed è vero che la maggior parte dei matematici sono spesso grandi amanti della musica, come me, ad esempio, che amo molto le opere di Verdi, e quasi tutte le parole che conosco di italiano le ho imparate grazie all’opera. Se però chiedererete ai musicisti la loro opinione sulla matematica, sarà difficile trovarne qualcuno disposto a confessarvi il suo amore per questa materia.
Intervista raccolta da Marco Motta e Roberto Natalini
Immagine di copertina: Peter Lax, @Roberto Natalini 2007
Note e riferimenti
⇧1 | Un estratto di questa intervista è andato in onda nel corso della trasmissione radiofonica Radio3Scienza di Radio3 del 2 luglio 2007. Il testo è stato precedentemente pubblicato come “M. Motta e R. Natalini, Intervista a Peter Lax: ‘La Matematica pura? Una branca di quella applicata’, Lettera matematica Pristem 65, ottobre 2007”. |
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Apprendo con profondo dispiacere la notizia della scomparsa di Peter Lax.
Conservo un ricordo vivo e grato dell’incontro avuto a Milano, in un periodo per me particolarmente significativo: ero immersa nella stesura della tesi di dottorato, il cui percorso prese avvio proprio a partire dai suoi contributi. Il titolo del lavoro è infatti: Una caratterizzazione geometrica dei sistemi che ammettono la rappresentazione di Lax estesa.
La sua figura, tanto sul piano scientifico quanto umano, resterà per me indimenticabile.