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Ciao a tutti e benvenuti in un nuovo episodio di Radice di Pop! Questa volta esploreremo il confine tra cinema e scienza, per capire come la matematica e la tecnologia danno vita agli effetti speciali. Tutto parte da una domanda: come ha fatto Jack Sparrow a sfuggire a quel mare in tempesta?

Di cosa parliamo oggi?

Da piccolo amavo guardare i film insieme alla mia famiglia. Rimanevo sempre estasiato quando sullo schermo accadevano cose incredibili: la tempesta nei Pirati dei Caraibi, o i dinosauri che tornavano in vita in Jurassic Park. Ricordo ancora il giorno in cui la curiosità ebbe la meglio: chiesi a mio padre come facessero a creare quelle scene. Fu la prima volta che sentii parlare di “effetti speciali”.

Oggi però la domanda è lecita: è solo una questione di design e creatività, oppure c’entra anche la matematica? Anni fa, la risposta sarebbe stata un deciso “no”. Gli effetti speciali si ottenevano con modelli fisici, miniature e, in alcuni casi, animazioni disegnate a mano. Col passare del tempo, però, l’occhio umano ha smesso di lasciarsi ingannare facilmente e ha iniziato a notare le imperfezioni di questi “trucchi”. Fortunatamente, la matematica non serve solo a risolvere equazioni: serve anche a stupirci. Ed è proprio grazie a lei che i registi di tutto il mondo possono oggi contare su effetti spettacolari e realistici. Seguendo un articolo accademico che vi linkerò qui, vedremo come dietro le onde, le esplosioni e i tornado che vediamo al cinema si nascondano codici numerici in grado di simulare l’evoluzione dei fluidi.

Parliamo di matematica

Le onde, le esplosioni e i vortici che vediamo al cinema nascono spesso grazie alla CFD, la Computational Fluid Dynamics, cioè la fluidodinamica computazionale. In questi modelli, acqua, fumo e gas vengono trattati come fluidi incomprimibili. Per descriverne il movimento si usa un sistema di riferimento euleriano, ossia un punto di vista fisso nello spazio, che non segue il fluido. La matematica entra in gioco proprio qui: la velocità del fluido è governata dalle famose equazioni di Navier–Stokes, che ci dicono come cambiano nel tempo pressione, viscosità e forze che agiscono sul fluido.

In pratica, la velocità del fluido varia continuamente sotto l’effetto delle forze interne, come pressione e viscosità, e di quelle esterne, come la gravità. Per ottenere immagini realistiche, i software di simulazione risolvono approssimativamente queste equazioni milioni di volte al secondo, in ogni punto della scena.

È così che, nel cinema, la matematica finisce per dar vita alla materia.

Due scuole di pensiero

Per simulare un fluido digitale, i matematici e gli ingegneri dei Visual Effects utilizzano due approcci principali:

A griglia: lo spazio viene suddiviso in piccolissime celle cubiche, e in ognuna di esse si calcolano pressione e velocità delle particelle. È il metodo più usato nel cinema, perché consente di ottenere risultati molto precisi e realistici. Anche se richiede un costo computazionale elevato.

A particelle (SPH): in questo approccio il fluido è composto da milioni di gocce virtuali che si muovono e interagiscono tra loro. È una tecnica più veloce ma approssimata, utilizzata soprattutto nei videogiochi, dove conta di più la fluidità dell’animazione che l’estremo realismo.

Qualche esempio

Il fumo, ad esempio, è costituito da minuscole particelle sospese in aria calda e può essere modellato come un fluido incomprimibile e non viscoso. Per riprodurre la turbolenza e i vortici che si formano in un’esplosione si utilizza una tecnica chiamata vorticity confinement, sviluppata inizialmente per simulare i flussi turbolenti attorno alle pale di un elicottero.

In pratica, si reinserisce energia nei piccoli vortici che le approssimazioni numeriche tenderebbero a smorzare. In questo modo, è come se il fumo “respirasse”, mantenendo un aspetto dinamico e realistico. Questa tecnica è stata utilizzata, ad esempio, in Terminator 3 per rendere più credibili le esplosioni e le nuvole di fumo.

Tornando alla domanda iniziale su Jack Sparrow e la tempesta, proviamo a capire come viene modellata l’acqua. L’acqua rappresenta una delle sfide più complesse per gli effetti speciali: la sua superficie si deforma, si spezza, si fonde e riflette la luce in modo imprevedibile. Per gestire tutta questa complessità, gli esperti hanno sviluppato il metodo Particle Level Set, che combina i due approcci visti prima, quello a griglia e quello a particelle.

Oggi questa tecnica è diventata uno standard nell’industria cinematografica, e i suoi ideatori hanno perfino vinto un Oscar per l’impatto che ha avuto nel mondo degli effetti speciali.

Conclusioni

Quello che abbiamo esplorato oggi è davvero solo la punta dell’iceberg. Il legame tra matematica e industria cinematografica è profondo e in continua evoluzione, e va ben oltre le tempeste dei Pirati dei Caraibi. Questo è l’esempio perfetto di come la matematica non sia una disciplina astratta e lontana: è vicina a noi ogni giorno, anche se non ce ne accorgiamo, e contribuisce attivamente a creare la magia e lo stupore che proviamo davanti al grande schermo.

Qualche matematico ha vinto anche due Oscar

Non è un caso che dietro a questa magia ci siano spesso menti scientifiche brillanti. Pensate che un matematico come Ron Fedkiw, professore di informatica alla Stanford University, è stato uno dei consulenti scientifici più richiesti di Hollywood. Il suo lavoro sulla simulazione dei fluidi (acqua, fuoco, fumo) è stato cruciale. Anche se Terminator 2 ha fatto la storia per la computer grafica, è in film successivi come Terminator 3: Le macchine ribelli e Poseidon che le tecniche di Fedkiw hanno reso le esplosioni e l’acqua incredibilmente realistiche. Per questi contributi, ha vinto ben due Oscar tecnici.

Infine

Oggi, questa eredità vive in ogni grande produzione. Quando guardate un film come Oceania (Moana)della Disney, non state vedendo solo un oceano disegnato: state vedendo un oceano *simulato*.

Ogni onda che si infrange, ogni goccia d’acqua che bagna la protagonista, è governata da equazioni della fluidodinamica simili a quelle che abbiamo visto. Lo stesso vale per la Pixar: la fisica che regola i capelli ribelli di Merida in Ribelle o il modo in cui la luce si riflette realisticamente sui personaggi non sono “trucchi” artistici, ma il risultato di complessi algoritmi matematici. In sintesi, la prossima volta che un effetto speciale vi lascerà senza fiato, ricordatevi che dietro la creatività dell’artista c’è quasi sempre il rigore e l’eleganza di un’equazione.

Massimo Martone

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