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Dagli Usa arriva una provocazione: ma, alla fine, siamo così sicuri che la matematica sia veramente così importante?  

Questa volta il titolo dell’editoriale lo rubo nientemeno che al“Washington Post”. Sì proprio quello del caso Watergate e di “Tutti gli uomini del presidente”. Nell’edizione online del 23 ottobre scorso, mi capita di leggere questo articolo: How much math do we really need? scritto dal matematico G.V. Ramanathan. L’autore dell’articolo si interroga sull’insegnamento della matematica negli Stati Uniti e sostiene che il mercato della matematica sarebbe diventato come quello dei prodotti di bellezza, facendo spendere molti soldi allo Stato nel tentativo di far credere alla gente che la matematica sia essenziale nella vita di tutti i giorni. Secondo lui, come per un prodotto di bellezza, prima si fa credere che una certa cosa (per esempio, i denti bianchi o il fisico asciutto) sia essenziale per una vita di benessere. Poi si comincia a far sentire a disagio chi non la possiede, e infine, dato che il benessere è un diritto, ognuno deve ottenerla a tutti i costi. A questo punto il Prof. Ramanathan si pone due problemi. Il primo è sull’efficacia delle azioni che sono state intraprese dall’epoca del primo report del 1983 che metteva in guardia l’amministrazione americana contro i rischi di un declino nel settore tecnologico a causa della scarsa cultura matematica. Un rischio che, secondo l’Educational Departement americano, è oggi diventato maggiore, rispetto agli anni ’80.
Il secondo problema è ancora più fondamentale. Abbiamo veramente bisogno di tutta questa matematica nella vita di tutti i giorni? Chiedetevelo, dice Ramanathan, e poi ponete la stessa domanda al vostro idraulico, al vostro avvocato, al pizzicagnolo, o a un meccanico. E continua: “A differenza della letteratura, della storia, della politica o della musica, la matematica ha poca importanza nella vita di tutti i giorni. (…). Tutta la matematica di cui abbiamo bisogno nella vita reale può essere imparata nei primi anni senza molto sforzo.”
Ora, a differenza di alcuni lettori del Washington Post che hanno lasciato dei commenti abbastanza irriverenti, tipo che il professore si era alzato male dal letto, o era uscito di testa, vorrei cercare di rispondere seriamente a questo articolo. Perché penso che rifletta bene il pensiero che molte persone, anche in Italia, hanno sulla matematica. Partiamo dal secondo problema. Forse l’idraulico, il pizzicagnolo o l’agricoltore non hanno (ancora) molto bisogno della matematica superiore, ma in realtà siamo in una società in cui sempre meno persone fanno questi lavori (provate a cercare un idraulico…), e quasi nessuno tra quelli che hanno frequentato le scuole superiori. Al contrario, siamo in una società letteralmente saturata di applicazioni avanzate della matematica, dal telefonino che avete in tasca, al computer con cui state leggendo questo articolo, alla centralina di controllo della vostra automobile. E le statistiche, e l’ottimizzazione della produzione, e il controllo automatico della maggior parte dei processi. E qualcuno, non solo i matematici di professione, deve progettare, riparare, sviluppare la tecnologia che c’è dietro, e che richiede una base di conoscenze matematiche superiori e, quel che è più importante, sempre mutevoli a seconda della situazione. Da qui il rischio, già in parte attuale, che la società si divida in una piccola élite tecnologica (che magari lavora in pochi centri di ricerca all’estero) che controlla tutti gli aspetti importanti della nostra vita sociale (la comunicazione, l’innovazione) e il resto, gli utenti, che fruisce di tutto questo in modo opaco, come se fossero magie incomprensibili.
In una società in cui Google, Facebook o Nokia sono sulle prime pagine dei giornali, in cui un giovane programmatore di 26 anni come Zuckerberg non solo è multimiliardario, ma anche l’oggetto di un film di successo, in cui dei “nerds” possono essere protagonisti di una sit-com popolare come “The Bib Bang Theory”, in cui noi, ma anche i nostri figli, appena alzati accendiamo il computer al posto della radio, non conoscere per nulla cosa ci sia dietro, e cosa sia possibile e cosa no, potrebbe essere pericoloso. Per esempio una maggiore conoscenza dei limiti della matematica avrebbe forse evitato alcune delle ultime crisi finanziarie o a una più attenta considerazione delle problematiche del clima. E inoltre questo porta ad un’altra domanda. Se pensiamo di stare spendendo troppo per la preparazione matematica delle persone (e parliamo degli Stati Uniti, dove il governo investe cifre incredibili per migliorare l’apprendimento della matematica ed esistono cose come Family Math o i Math Camps), avremo però sempre bisogno di un gruppo, non troppo piccolo viste le necessità sociali (soltanto Google o Microsoft o IBM hanno già bisogno di un’enorme quantità di personale qualificato), che sia esposto ad una formazione superiore di tipo matematico. E cosa dovremmo fare allora? Creare una società di caste tecnologiche, magari separando le persone con test attitudinali sin dalla prima infanzia?
E qui arriviamo al secondo problema posto dal Prof. Ramanathan. Come mai, nonostante tutti gli sforzi, l’istruzione matematica americana non è ancora sufficiente per le esigenze della società, e in misura maggiore rispetto agli anni ’80? Non lo so, ma azzardo un’ipotesi. È il bisogno di matematica ad essere cresciuto. Oggi un ingegnere o un informatico hanno bisogno di una preparazione molto più ampia rispetto al 1983. Non c’era internet, non c’erano i lettori mp3, le automobili non avevano nessun componente elettronico, i film si facevano con la cinepresa (ricordate Tron?) ed erano appena apparsi i primi personal computer. La quantità di software in giro era minima rispetto a ora. Insomma, lo sviluppo, che una volta si declinava in termini di acciaio e petrolio, è ora sempre più legato al software e alla tecnologia avanzata e non è certo un caso che l’India e la Cina continuino a sfornare persone con un notevole preparazione matematica.
Per cui, caro Professor Ramanathan, alla fine io arrivo alla conclusione opposta. Mi sembra difficile ed anche pericoloso pensare ad un cittadino istruito della nostra società che non abbia una decente preparazione anche in matematica. Sicuramente non di meno, forse anche qualche cosina in più (ok, mi è scappato…), di quanto non ne sappia in letteratura, storia o musica.

 

di Roberto Natalini

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