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La vita più o meno segreta di Isaac Newton, grandissimo matematico, fisico, filosofo naturale, astronomo, teologo ed alchimista inglese raccontata da documenti inediti, sottratti ingiustamente al vaglio della Storia semplicemente perché immaginari.

Sir Isaac Newton nacque a Woolsthorpe-by-Colsterworth il 25 dicembre 1642 e morì a Londra il 20 marzo 1727. Forse. Perché la data si riferisce al calendario Giuliano a quel tempo vigente in Inghilterra. Secondo il calendario Gregoriano, attualmente in vigore, Isaac Newton è nato invece il 4 gennaio 1643 e deceduto il 31 marzo 1727. Si racconta che quando Newton, in punto di morte, realizzò di non essere nato il 25 dicembre 1642 ma il 4 gennaio 1643, si alzò improvvisamente dal letto urlando: “non voglio morire! Sono ancora un ragazzino!”. Ma ormai la cattedrale di Westminster era prenotata. È stato un grandissimo matematico, fisico, filosofo naturale, astronomo, teologo ed alchimista inglese.

Newton nacque dunque a Woolsthorpe-by-Colsterworth (città famosa per essere un ottimo riempitivo negli articoli in cui non si sa cosa scrivere) in una famiglia di allevatori. Suo padre, anch’egli di nome Isaac, morì tre mesi prima della sua nascita, lasciandogli il nome tutto per sé. Tre anni dopo, sua madre Anna Ayscough si accorse della dipartita del marito e si risposò con un vicario, Barnabas Smith, di 64 anni, lasciando il piccolo Isaac alle cure dei nonni materni. In quegli anni egli fu molto infelice: odiava il suo patrigno e pare che una volta sia giunto a minacciare di incendiare la sua casa.  Nel 1653, quando Isaac aveva dieci anni (o 441, secondo il calendario Klingon), il patrigno morì lasciandogli un’eredità non indifferente con cui poté pagarsi l’istruzione alla King’s School, a Grantham, e cremare il padre personalmente.

Alloggiava presso la famiglia Clark, imparentata con i Newton. In questo periodo, il ragazzo si fece una reputazione quale costruttore di aquiloni, lanterne, giocattoli, modelli funzionanti di piccoli mulini, lanciafiamme. La scuola di Grantham, dove la matematica era pressoché ignorata, interessò ben poco Isaac che sviluppò le sue qualità di autodidatta leggendo i libri ereditati dal patrigno e quelli del farmacista Clark. In particolare, fu affascinato dalle preparazioni del farmacista e qui nacque il suo duraturo interesse per la chimica. A Newton interessava soprattutto un prodotto chimico spesso esposto da Clark, la figliastra Catherine Storer. Con Catherine, Isaac ebbe l’unica relazione della sua vita. In vecchiaia, ripensando teneramente a quella storia, soleva ricordare: “Vista una, viste tutte”. Il ragazzo aveva un carattere spigoloso, chiuso e altezzoso. Non amava il contatto con gli estranei e spesso minacciava chiunque lo avvicinasse per salutarlo di bruciargli la casa.

Alla fine del 1658, la madre lo costrinse a abbandonare gli studi e lo richiamò a casa per accudire i campi ma Newton si rivelò un pessimo agricoltore. Alla fine il suo maestro convinse sua madre a fargli proseguire gli studi al Trinity College di Cambridge dove si trasferì nel 1661. A quel tempo gli insegnamenti del College erano basati su Aristotele, ma Newton preferiva filosofi più moderni come Cartesio, Galileo, Niccolò Copernico e Keplero. Nel 1665, scoprì il teorema binomiale. Poco dopo il College fu chiuso per via della peste che si stava diffondendo nella zona partendo da Londra. Newton approfittò di essere finalmente solo per proseguire gli studi per conto suo. Durante questo periodo in cui la morte nelle benigne vesti della peste bubbonica gli portava via tutti quelli che lo circondavano, a soli 22 anni scoprì “il metodo di Newton” (meravigliandosi di non averlo scoperto prima, tanto più che portava anche il suo nome) e approssimò le serie armonica usando i logaritmi, dato che sottomano non si trovava nient’altro.

Inoltre, iniziò a sviluppare il calcolo infinitesimale, che fu per lui motivo di grande orgoglio, dato che questa scoperta gli diede la possibilità di infliggere del dolore a Gottfried Leibniz. I due ebbero infatti una disputa sulla paternità del calcolo infinitesimale. Newton sviluppò il calcolo infinitesimale, ma rese pubblica la cosa con 10 anni di ritardo, sostenendo di non averlo fatto prima per timore di essere deriso. “Vedete – si legge in una sua memoria totalmente inventata – questo calcolo infinitesimale si fa coi numeri piccoli piccoli, che somigliano schiettamente ai miei mulini in miniatura. Non volevo che la gente prendesse i miei scritti, e dopo averli letti me li pigiasse su per le ampie froge, esattamente come avveniva per i mulini”. Fra Leibniz e Newton comincerà uno scontro violentissimo. In realtà la scoperta di Leibniz, risalente al 1674 ma resa nota nel 1684 nel Nuovo metodo per la determinazione dei massimi e dei minimi, avvenne indipendentemente da quella di Newton. Leibniz, successivamente, inventerà inoltre una macchina calcolatrice capace di moltiplicare, dividere ed estrarre radici quadrate dalle orecchie di Newton.

Nel 1699 alcuni membri della Royal Society accusarono Leibniz di plagio, e iniziò una durissima contesa su chi avesse inventato il calcolo. Questa disputa amareggiò le vite di entrambi i contendenti fino alla morte di Leibniz nel 1716. Anche dopo la sua morte Newton continuò a denigrare la memoria dell’avversario fino al punto che, secondo alcuni, sarebbe arrivato a compiacersi di avergli “spezzato il cuore”[1]. La questione rimase incerta per così tanto tempo che al biografo di Leibniz venne un esaurimento nervoso.

 

In quegli anni, Newton diventò prete anglicano e cominciò ad occuparsi di ottica fino al 1672. Il suo impegno per la scienza è chiaramente dimostrato da un particolare esperimento sull’ottica. Avendo l’idea che il colore fosse provocato dalla pressione sull’occhio, egli premette un ago da cucito intorno al suo occhio fino a quando poté dare dei colpetti al retro dello stesso, notando “cerchi bianchi, scuri e colorati fintanto che continuo ad agitarlo. Vedete? Venite pure, colleghi scienziati, date anche voi dei colpetti: io vedrò tanti colori. Ve lo garantisco sto vedendo dei colori, credetemi. Dove siete tutti? Vedo solo il colore nero. Qualcuno prenda delle bende”. Il giorno dopo, Newton ricevette i complimenti di un circo e una proposta di lavoro che rifiutò perché non vedeva dove doveva firmare.

Nel 1671 la Royal Society lo chiamò per una dimostrazione del suo telescopio riflettore. Newton comincio’ a fare i suoi discorsi sulla luce bianca che si scompone e poi si ricompone e poi si scompone di nuovo e poi si ricompone e poi si scompone e poi si ricompone e quando Robert Hooke criticò alcune delle sue idee, Newton ne fu così offeso che si ritirò dal dibattito pubblico borbottando qualcosa sul fatto che avrebbe inventato come scomporre Hooke. I due rimasero nemici, ma solo fino a quando Hooke non perì nell’incendio della sua casa.

 

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Nell’immagine: Newton ritratto durante i suoi studi sull’ottica, mentre cerca di dar fuoco al suo telescopio

 

 

 

Continua…

 

Stefano Pisani

 

 



[1] Nel 1708 il fisico Keill, difese vigorosamente Newton in un articolo su un giornale. Per via dell’insistenza di Leibniz la Royal Society nominò una commissione incaricata di studiare la questione. Sembra che Newton, nella sua carica di presidente, abbia influito sulla scelta della commissione. Ovviamente dunque questa diede ragione a Newton sostenendo la sua paternità dell’invenzione del calcolo e accusando Leibniz di plagio. Probabilmente Newton stesso redasse il rapporto finale senza firmarlo, ma era facilmente riconoscibile per tutti quei riferimenti insoliti alla virtù compromessa della sorella di Leibniz. Leibniz si scagliò allora violentemente contro Newton mettendo in discussione la paternità della teoria della gravitazione universale, la sua ortodossia religiosa e accusandolo di essere, in realtà, una monade con tre porte e due finestre. Newton rispose a tono e la disputa coinvolse la maggior parte dei matematici del tempo trasformandosi in un vero e proprio caso diplomatico che tra l’altro ostacolò la diffusione delle teorie newtoniane nel continente. Ancora nel 1726, dieci anni dopo la morte di Leibniz, Newton eliminò dai Principia ogni accenno al fatto che i due avessero sviluppato indipendentemente il calcolo infinitesimale. Oggi gli storici della scienza tendono a riconoscere a Newton una priorità nelle applicazioni fisico-meccaniche del calcolo, e a Leibniz una priorità sugli aspetti logico-matematici e sui trattini usati per le “t”.

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