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La sensazione di colore è frutto di una lunga evoluzione e la sua modellizzazione matematica, completa o parziale, rimane ancora un problema aperto. Edoardo Provenzi, professore all’Université de Bordeaux, ci guida in un sorprendente percorso, lungo più di tre secoli, ricostruendo le tappe fondamentali dello studio matematico del colore, terminando con un racconto del suo particolare cammino scientifico. Le puntate precedenti le trovate su questa pagina

Il lavoro della CIE al quale abbiamo accennato nell’articolo precedente ha pervaso talmente tanto lo studio del colore a partire dagli anni ’30 del secolo scorso che è rarissimo trovare documenti che non facciano riferimento agli spazi di colore della CIE. Esistono, naturalmente, delle eccezioni. Le più lodevoli, secondo chi scrive, sono quelle rappresentate dal fisico relativista Yilmaz e dall’analista armonico Resnikoff, che descriveremo in questo articolo.

Yilmaz: “il relativista riottoso”

Hüseyin Yilmaz, 1924-2013, fisico teorico (relativista). Yilmaz fu una figura atipica nel panorama della fisica teorica del ventesimo secolo: malgrado fu capace, come vedremo, di brillanti intuizioni, non seppe formalizzarle in modo matematicamente convincente, il ché, unito ad un carattere non proprio conciliante, lo isolò dal gotha della ricerca (poco male…) e, soprattutto, portò a far sì che le sue idee furono quasi sempre ridicolizzate ed additate come opera di un eccesso d’anticonformismo.

Queste considerazioni, nel bene e nel male, valgono anche per il suo lavoro sulla percezione del colore. Nel 1962, Yilmaz pubblicò un articolo nel quale sostenne un parallelismo quantomeno ardito: la percezione dei colori ha molti punti in comune con la relatività speciale di Einstein (!!). Per capire l’analogia tra le due teorie occorre ricordare che, in relatività, due osservatori inerziali (ovvero non sottoposti a forze che ne accelerano il moto) misurano la velocità di propagazione della luce nel vuoto esattamente con lo stesso identico valore, indipendentemente dalla loro velocità relativa. Questo valore è la velocità di propagazione massimale di qualsiasi segnale. Yilmaz sostenne che, nel caso della percezione visiva, la sensazione di saturazione provocata da un colore spettrale è misurata come costante e massimale da tutti gli osservatori umani adattati all’illuminante della scena visiva nella quale sono immersi.

Purtroppo, la formulazione matematica che Yilmaz propose di questa affermazione è  poco rigorosa, basti pensare che, nelle sue elucubrazioni, si permise di scrivere delle equazioni con una saturazione negativa…avendola precedentemente definita come una quantità positiva. Questo semplice esempio, uno tra tanti, mostra come mai i contemporanei di Yilmaz usarono l’artiglieria pesante per attaccarlo: alcuni errori “veniali” o degli innocenti abusi di notazione sono soliti essere accettati in fisica, ma trattare una quantità positiva come negativa fa molto più male…

Ancora peggio, Yilmaz nascose dietro a tre “esperimenti” dei risultati che, di fatto, postulò: difatti non riportò alcun dato sperimentale, né tantomeno una descrizione dell’apparato utilizzato per condurre questi fantomatici esperimenti. Per di più, la precisione di certe formule descritte come il frutto di test psico-visuali è praticamente impossibile da ottenere, soprattutto con la tecnologia a disposizione nel 1962. Il relativista Yilmaz, molto semplicemente, “voleva” che vi fosse un parallelismo tra relatività speciale e percezione dei colori e costruì all’uopo una modello per ottenere quello che voleva. Le pochissime citazioni del suo articolo, se ne contano solo 16 in 60 anni, mostrano che la flagranza del reato di aver ottenuto tautologicamente ciò che si voleva ottenere non ha convinto quasi nessuno. 

Eppure, come detto sopra, malgrado i disastri nell’implementazione, Yilmaz aveva delle intuizioni brillanti e la sua idea che il colore fosse un fenomeno relativistico si è dimostrata  perfettamente compatibile con un modello matematicamente rigoroso attualmente allo studio. In particolare, il fatto che i risultati della relatività siano connessi con la geometria iperbolica, sottolinea ancora una volta quanto la colorimetria sia intimamente correlata con le strutture iperboliche, come vedremo più in dettaglio a breve.

Prima però, è interessantissimo sapere che una delle conseguenze dell’idea di Yilmaz è che, per connettere la percezione dei colori da parte di due osservatori umani adattati a due illuminanti differenti, occorre adattare dalla relatività speciale una trasformazione chiamata “boost di Lorentz”. Un’applicazione di questo è il risultato mostrato dalle immagini seguenti.

La fotografia a sinistra di “Panko” è stata scattata con una macchina fotografica digitale privata della funzione di bilancio di bianco, ovvero dell’operazione che permette di eliminare, o quantomeno ridurre, la presenza di una patina colorata, in questo caso arancione, sovrapposta agli elementi della scena fotografata, ripristinando quindi il bianco delle zone acromatiche, da cui il suo nome. L’immagine di destra è stata ottenuta applicando un boost di Lorentz per far sì che il pelo attorno alla bocca di Panko tornasse ad essere bianco e non di una tinta arancione. Il fatto che un boost di Lorentz possa operare un bilancio di bianco è qualcosa di veramente straordinario e molto poco intuitivo.

 Le macchine fotografiche più avanzate hanno un sensore capace di capire quella che in gergo si chiama la “temperatura di colore” di un illuminante e di operare intrinsecamente un bilancio di bianco basato sull’illuminante che è stato rilevato. Tuttavia, le tecniche normalmente utilizzate tengono conto solo parzialmente della percezione visiva umana e molto di più di una modellizzazione fisica della fotografia. Questo può portare a spiacevoli artefatti o ad un bilancio del bianco non ottimale. 

Resnikoff: “la sostenibilissima leggerezza dell’omogeneità”

Howard L. Resnikoff, 1937-2018, matematico (analista armonico). La più importante conseguenza del lavoro di Yilmaz fu, senza ombra di dubbio, l’impatto che l’idea di collegare percezione del colore con strutture iperboliche ebbe su Resnikoff che, nel 1974, pubblicò uno splendido articolo intitolato “Geometria differenziale e percezione del colore”, ringraziando Yilmaz per averlo ispirato. A differenza di Yilmaz però, Resnikoff  procedette con altissimo rigore matematico e, per la prima volta, mostrò come una una struttura iperbolica potesse “emergere” in modo naturale dalle proprietà intrinseche del nostro modo di percepire i colori, messe in evidenza dagli esperimenti visuali e dalle teorie di Newton, Maxwell, Young, von Helmholtz e Grassmann.

Senza entrare in dettagli troppo tecnici, vediamo come questo sia possibile attraverso una metafora: più o meno tutti conoscono il gioco “indovina chi”, nel quale, ponendo una serie di domande sulle caratteristiche della persona che si deve indovinare, si scartano le opzioni che non soddisfano queste caratteristiche, rimanendo solo con una sparuta scelta, o, nel caso migliore, con una sola persona. Questo, naturalmente, vale in linea generale: più criteri vengono richiesti da soddisfare, meno scelte si hanno a disposizione. 

Resnikoff voleva andare oltre la descrizione banale dell’insieme dei colori percepiti, indicato col simbolo P: non gli interessava descrivere P come una semplice collezione di elementi accomunati da una certa proprietà, voleva renderlo uno “spazio strutturato”, ovvero dotato di una o più strutture compatibili tra di loro che danno informazioni sui colori. In particolare, Resnikoff era interessato alla struttura metrica e geometrica di P. Purtroppo, gli assiomi di Schrödinger non sono sufficienti per questo scopo in quanto ci sono troppe strutture metriche e geometriche compatibili con questi assiomi. Occorreva quindi “irrigidire” le richieste aggiungendo almeno un ulteriore assioma. 

La grande cultura matematica di Resnikoff gli permise di individuare questo assioma nel concetto di omogeneità, spesso tradotto dicendo che, in uno spazio che possiede questa proprietà, detto spazio omogeneo, non esistono elementi “speciali”. Questo è un modo matematicamente non rigoroso, ma che ha il pregio dell’immediatezza, per dire che, data una arbitraria coppia di elementi di questo spazio, diciamo A e B, esiste sempre la possibilità di trasformare A in B e, se lo vogliamo, di ritornare da B ad A applicando la trasformazione inversa.

Resnikoff mostrò matematicamente che lo spazio dei colori percepiti P possiede questa proprietà, ovvero è uno spazio omogeneo, dopotutto questo non dovrebbe essere sorprendente alla luce della definizione intuitiva: perché mai un arancione dovrebbe essere più speciale per la nostra visione di un blu, un verde, o un grigio? Naturalmente ognuno ha i suoi gusti e i suoi colori preferiti, ma ciò non implica assolutamente nulla sulla natura intrinseca di un certo colore per il nostro sistema visivo. 

Il risultato più importante messo in luce da Resnikoff è che, se si aggiunge l’assioma di omogeneità agli assiomi di Schrödinger, allora la struttura geometrica di P è alleggerita dalle molteplici possibilità lasciate libere dai soli assiomi di Schrödinger e solo due strutture geometriche sono compatibili. Tornando all’esempio di “indovina chi”, è come se gli assiomi di Schrödinger ci avessero fatto rimanere, diciamo, con una dozzina di persone che potrebbero essere colei o colui che cerchiamo, l’assioma di omogeneità di Resnikoff può essere pensato come la richiesta che la persona cercata porti il cappello e che solo due persone tra le precedenti lo portino, risulta chiaro che tutte le altre possibilità verranno scartate e che dovremo decidere solo tra queste due. 

Queste considerazioni spiegano come mai, nell’accompagnare il nome di Resnikoff, si è parafrasato il più famoso romanzo di Milan Kundera: con l’aggiunta dell’assioma di omogeneità, Resnikoff ha alleggerito la struttura dello spazio dei colori dalla pesante zavorra di tutte le possibili geometrie che gli possono essere associate, lasciandone soltanto due. 

Il primo modello geometrico che Resnikoff determinò coincide con quello della teoria tricromatica classica…un sollievo per lui. Tuttavia, è il secondo modello ad essere il più interessante da un punto di vista matematico, in quando estremamente ricco di proprietà: si tratta infatti di uno spazio iperbolico. Ciò significa che, senza esplicitamente introdurre nel suo modello stimoli luminosi o fotorecettori, ma basandosi esclusivamente sulle proprietà algebriche soddisfatte dalla percezione visiva a colori, Resnikoff riuscì a dimostrare che una teoria iperbolica dei colori percepiti è perfettamente plausibile! Il potere investigativo della matematica ha dato per l’ennesima volta i suoi frutti, e lo ha fatto in modo irragionevolmente efficace, citando Wigner.

Purtroppo, l’articolo di Resnikoff era troppo complesso matematicamente per essere capito dai colorimetristi degli anni ’70 del ventesimo secolo e fu ignorato. Probabilmente, se la CIE avesse continuato sul solco rigoroso di von Helmholtz e Schrödinger, i risultati di Resnikoff sarebbero stati apprezzati col dovuto entusiasmo, ma la banalizzazione matematica della colorimetria operata nei precedenti 50 anni aveva lasciato pochissime persone in grado di comprendere a fondo l’importanza capitale del lavoro di Resnikoff nell’ambito della scienza del colore. 

Edoardo Provenzi

#Fine quinta parte

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