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In questa intervista con Bertrand Maury, professore all’Université Paris-Saclay e all’École normale supérieure de Paris, si discute di quale possa essere il ruolo dei matematici applicati in questa emergenza Covid al di là dei modelli epidemiologici. Ma si parla anche del ruolo attuale della matematica nella considerazione di questioni concrete e del rapporto tra ricerca fondamentale e ricerca applicata. Intervista a cura di Jérôme Buzzi per il sito Images des Mathématiques, realizzata in collaborazione con la SMF (Société Mathématique de France). Traduzione dal francese a cura di Roberto Natalini. Il testo originale lo trovate qui.

Jérôme: Prima della crisi, in tempi normali, su cosa lavorava e con chi? 

Bertrand: Come per la maggioranza dei matematici applicati, conduco una specie di “doppia vita”. Una prima parte della mia attività si svolge su metodologie generali che cercano di costruire e analizzare alcuni strumenti concettuali che permettono di calcolare delle approssimazioni a certe equazioni. Tipicamente, possono essere le equazioni alle derivate parziali che intervengono in meccanica dei fluidi, o le equazioni che descrivono i movimenti di palline rigide, con un orientamento generale verso le scienze della vita (sistema respiratorio, flussi sanguigni, movimenti collettivi di cellule…). L’altra, diventata sempre più importante negli ultimi anni, è di natura “reattiva”, spinta dalla considerazione di questioni concrete, a volte lontane dai terreni solitamente battuti dal matematico applicato. Il lavoro qui consiste nel modellizzare, nel senso forte del termine. Si tratta di scegliere le variabili che sembrano più rilevanti, di costruire le equazioni che codificano meglio i fenomeni che si cerca di riprodurre, di studiare in modo comprensivo i sistemi risultanti: carattere ben posto delle equazioni, dipendenza rispetto ai parametri, sviluppo di metodi numerici adatti, validazione di calcoli numerici, ecc.

Bertrand Maury

Ovviamente questi due compartimenti sono in stretta comunicazione tra di loro: può capitare che gli strumenti necessari alla modellizzazione di un particolare fenomeno siano già tra quelli che conosco meglio, cosa che non è che mi faccia particolarmente piacere  (è molto più eccitante doverne trovare di nuovi). Al contrario, il desiderio di tenere conto di determinati fenomeni può portare a scoprire campi meno familiari, che possono diventare centrali nell’attività di ricerca, al di là dell’applicazione che li ha generati. È così che il desiderio di sviluppare modelli macroscopici di movimenti di folla mi ha portato alla teoria del trasporto ottimale, a seguito di un incontro piuttosto fortuito con uno specialista del settore, Filippo Santambrogio. Quest’area della matematica appare da allora in quasi tutte le mie ricerche.

La maggior parte del lavoro di modellizzazione viene svolto in collaborazione. Collaborazioni accademiche da un lato, con colleghi universitari, ma anche con figure più tecnologiche (attualmente Sylvain Faure e Hugo Leclerc). Questi ultimi sono specializzati nella parte che riguarda l’implementazione efficiente. In effetti, stiamo sviluppando dei codici che vanno ben oltre i semplici prototipi e che sono destinati ad essere utilizzati da altri. Questo lavoro prevede anche collaborazioni al di fuori della matematica (biologi, fisici, epidemiologi), o anche al di fuori del mondo accademico (aziende, laboratori di ricerca applicata, ecc.).

J.: Come e perché è stato coinvolto in questa crisi sanitaria? Che tipo di collaborazioni si sono attivate?

B.: Molto concretamente, i colleghi della piattaforma MODCOV19  ci hanno chiesto (a Sylvain Faure e a me) alla fine di aprile se saremmo stati d’accordo a sviluppare uno strumento per monitorare l’evoluzione dell’epidemia all’interno di una scuola. Ci chiedevano di usare la nostra esperienza nel modellizzare i movimenti delle folle. Ho formato un piccolo gruppo intorno a questi problemi con Sylvain Faure e Félicien Bourdin, uno studente di dottorato che lavora sul movimento cellulare utilizzando l’approccio del trasporto ottimale. Sarebbe poco ragionevole per un ricercatore basare la propria attività interamente su richieste così improvvise e urgenti, ma il progetto ci ha entusiasmato. In realtà abbiamo iniziato a lavorare già poche ore dopo i primi scambi.

Questo tipo di progetto richiede, soprattutto nella fase iniziale, un grosso lavoro di riflessione collettiva: videodiscussioni quotidiane tra noi tre e discussioni meno frequenti, ma intense, con esperti esterni o potenziali utenti: epidemiologi, medici, funzionari della sanità pubblica, ispettori generali, presidi di scuola, ecc. La ricerca di contatti con persone con una buona apertura mentale al di fuori della propria disciplina, così come la creazione di un buon rapporto di fiducia, richiedono generalmente molto tempo, ma la presenza di un intermediario dinamico interessato a facilitare questi scambi ha permesso di velocizzare il processo: la piattaforma MODCOVID19, e in particolare Amandine Veber, che ha seguito e supportato il progetto fin dall’inizio, ci ha fornito un supporto essenziale.

J.: Potrebbe descrivere in cosa consiste esattamente il progetto scientifico e il modo in cui si è precisato andando avanti nel suo svolgimento?

B.: La richiesta iniziale prevedeva la modellizzazione della diffusione di un’epidemia di tipo Covid-19 al livello di un edificio scolare. Abbiamo scelto di separare i tre aspetti del problema:

1. studio dei movimenti di diverse popolazioni all’interno dell’edificio;
2. stima dei contatti diretti o indiretti tra queste popolazioni;
3. modellizzazione della diffusione di un’epidemia usando la conoscenza di questi contatti.

Il primo aspetto si basa su principi abbastanza semplici, anche se l’effettiva implementazione risulta essere piuttosto complessa. Il primo passo è costruire il grafo dell’edificio, i cui vertici siano i luoghi di interesse (aule, parco giochi, mensa, ecc.)  e gli archi corrispondano al percorso tipico da un punto all’altro. L’integrazione degli orari permette poi di stimare gli spostamenti delle diverse entità (classi, docenti, ecc.) su questa rete. Il secondo aspetto consiste nello stimare i contatti tra le varie entità, contatti diretti (incontri nei corridoi, prossimità tra gli studenti in mensa o nel cortile) o indiretti (tenendo conto della possibile contaminazione dell’aria o delle superfici). Si determina così una “matrice di contatti”. Si noti che questa matrice non è generalmente simmetrica, contrariamente alla situazione usuale. Il terzo aspetto, epidemiologico, è il più delicato in termini di modellizzazione quantitativa, perché si basa su parametri come la probabilità che una persona infetta ne infetti un’altra durante un contatto ravvicinato di durata prefissata.

Abbiamo deciso di costruire uno strumento che consenta di affrontare i primi due aspetti nel modo più completo possibile. Per la terza, abbiamo preferito stimare un “punteggio di rischio” che ci consentisse di quantificare i rischi associati a una particolare scelta organizzativa. Questo per riflettere al meglio la realtà epidemiologica, in particolare la gerarchia delle diverse modalità di propagazione (gerarchia relativamente poco conosciuta …), ma senza pretendere dii fornire uno strumento veramente predittivo in termini di numero dei contagiati. L’obiettivo primario, che è progressivamente emerso, è diventato quello di produrre un software che, insieme agli strumenti per la progettazione degli orari, aiuti i responsabili delle strutture a tenere maggiormente conto del rischio epidemiologico.

J.: Ha cambiato il suo modo di lavorare dal punto di vista della matematica utilizzata, delle collaborazioni o magari dal punto di vista pratico?

B.: In effetti abbiamo una certa esperienza con questo modo di lavorare con “scadenze imminenti”, e la caratteristica principale è che i mezzi e le metodologie vengono messi in atto mentre chiariamo bene gli obiettivi da raggiungere, attraverso il confronto constante con gli utenti. Come accennavo in precedenza, la principale difficoltà, che abbiamo già sperimentato in ambito industriale, è che le reali esigenze, che ovviamente condizionano i mezzi da mettere in atto per soddisfarle, vengono individuate inizialmente solo in modo confuso. All’inizio è un cosa un po’ disorientante per un matematico: non solo il problema non è “ben posto”, ma semplicemente non è posto in nessun modo!

È anche essenziale, affinché l’approccio scelto sia sensato, non cercare a tutti i costi di utilizzare gli strumenti e le idee che si conoscono meglio. Per riassumere, l’esercizio consiste nell’individuare e implementare strumenti che siano perfettamente adatti a un problema non ben definito. Questo approccio può darci qualche sorpresa. Ad esempio, è venuto subito fuori che era essenziale poter definire una sorta di punteggio di rischio per permetterci di confrontare, in termini di rischio epidemiologico, diversi scenari progettati dai responsabili degli edifici. La stima di tali indicatori a partire dalle matrici di contatto che ho già menzionato è un campo molto complesso. Uno degli approcci che stiamo attualmente studiando si basa sullo studio spettrale di una matrice di tipo laplaciano discreto che può essere associata a questa matrice di contatti. Gli autovalori grandi e i relativi autovettori associati descrivono l’inizio dell’epidemia, mentre gli autovettori associati agli autovalori più piccoli danno indicazioni su possibili cluster che potrebbero apparire in caso di sviluppo dell’epidemia.

Questa domanda ci ha portato a studiare gli approcci spettrali recentemente introdotti nelle tecniche di Machine Learning. In questo contesto, consideriamo una rete resistiva canonicamente associata a una nuvola di punti in uno spazio euclideo e il corrispondente laplaciano, per cercare di isolare delle strutture geometriche[1 ]R.R. Coifman, S. Lafon, Diffusion maps, Applied and computational harmonic analysis 21 (1), 5-30.

In un registro più “da fisico”, questo studio aveva qualcosa a che fare con un progetto a cui avevo partecipato sulla stima dell’area della parete alveolo-capillare (quella che delimita gli alveoli polmonari) mediante inalazione di aerosol. A quanto pare, le goccioline che abbiamo usato per quel progetto hanno all’incirca le stesse dimensioni di quelle emesse quando si parla o si urla e che possono trasmettere malattie. Questa analogia ci ha fatto ripensare allo studio condotto all’epoca e indirettamente ha portato uno di noi, il mio collega fisico Benoît Semin, a progettare un modo indiretto per stimare la quantità di aerosol che galleggia in una stanza. È stato costruito un nuovo dispositivo di misurazione con cui attualmente stiamo effettuando i primi test.

J.: Tutto ciò si basa su una stretta collaborazione con medici, fisici, ecc. in breve, con non matematici. Come sta andando ?

B.: L’interazione con i non matematici, che dobbiamo sempre ricordarci costituiscono la schiacciante maggioranza degli abitanti di questo pianeta, e anche in qualche modo con persone lontane dalla ricerca in generale, richiede sforzi permanenti da entrambe le parti, sforzi che a volte non portano a nulla (almeno in termini di valorizzazione accademica). La frustrazione è abbastanza comune e in massima parte inevitabile. Ma può essere superata abbandonando, almeno a livello puntuale, l’idea di una pratica di ricerca incrementale, che tipicamente consiste nel progredire estendendo la portata di strumenti o metodologie già ben padroneggiate. Dopo alcuni anni di esperienza in questo tipo di interazioni, sono arrivato a pensare che spesso è necessario, affinché il processo sia fruttuoso e superi la frustrazione, che il matematico abbandoni il suo campo specifico e partecipi attivamente allo sviluppo dei modelli con la sua propria intuizione, al fine di poter poi utilizzare gli strumenti matematici più adatti al fenomeno studiato. Questa è una pratica molto stimolante che sono convinto possa arricchire la parte più teorica del lavoro di ricerca, e in un certo senso renderla ancora più significativa.

J.: Secondo lei, le risposte e gli strumenti che avete sviluppato sono o verranno utilizzati?

B.: Questa è una buona domanda. Anche se abbiamo fatto molti sforzi per creare un software che potesse essere utilizzato da un non specialista, l’applicazione effettiva dello strumento che stiamo sviluppando è, nel momento in cui sto rispondendo a queste domande, ancora incerto. Il suo effettivo utilizzo dipende da un gran numero di fattori che sono al di fuori del nostro controllo. In ogni caso, le interazioni dirette che abbiamo avuto con alcuni dirigenti scolastici, che ci hanno informato del loro interesse per questo tipo di strumento, ci spingono a continuare lo sviluppo di software utilizzabile senza richiedere troppo lavoro. Ad esempio, stiamo attualmente lavorando per rendere più semplice l’interazione tra il nostro approccio e i software di progettazione degli orari che sono già in uso. Senza questa possibilità di innestare dinamicamente la considerazione degli aspetti epidemiologici nella progettazione assistita dell’orario, il progetto rischia di perdere il suo “pubblico”.

J.: Ha un messaggio complessivo da trasmettere ai colleghi matematici? 

B.: Posso solo incoraggiare i colleghi, compresi i “più puri” tra loro, a sperimentare questo vero e proprio salto nell’ignoto che spesso riserva qualche buona sorpresa e aiuta a far sentire maggiormente il peso dei matematici nella comunità. Questa non è in alcun modo una messa in discussione dell’essenza stessa delle attività di ricerca in matematica teorica, che ovviamente conservano tutto il loro significato, si tratta semplicemente di costruire dei ponti, di confrontare la propria intuizione astratta con dei problemi reali.

Aggiungo che questo approccio mi sembra più naturale ora rispetto a qualche decennio fa. Storicamente, la matematica applicata si è sviluppata attorno allo studio dei fenomeni fisici (meccanica dei fluidi e dei solidi, sistemi di particelle, elettromagnetismo, chimica quantistica, ecc.). Queste aree rimangono ovviamente molto attive e portatrici di innovazione, ma richiedono importanti investimenti preliminari e una lunga esperienza nello studio dei fenomeni interessati. Insomma: non ci si improvvisa su certe tematiche. Invece, le nuove problematiche, che hanno arricchito il nostro terreno di lavoro tradizionale, mi sembrano affrontabili con occhio matematico in modo abbastanza immediato. Possiamo ovviamente pensare all’esplosione delle attività relative al Machine Learning e all’intelligenza artificiale con la loro formidabile e per il momento inspiegabile efficacia. Nonostante queste attività mi sembrano essere ancora ampiamente percepite dalla comunità matematica come più tecnologiche che scientifiche, credo che sia abbastanza plausibile che strumenti o contesti matematici ancora da definire consentiranno di arrivare ad una migliore comprensione degli strumenti esistenti e futuri. Ma non voglio correre il rischio di dire troppo su questi temi, su cui la mia credibilità è molto limitata.

Rimanendo in un ambito più vicino alle mie attività, la modellizzazione del comportamento umano, in particolare tutto ciò che riguarda i trasporti e le interazioni tra le persone (movimenti collettivi, reti sociali), mi sembra offrire un intero universo di problemi nuovi e affascinanti, che possono in modo naturale far intervenire campi matematici molto diversi. Per fare un esempio semplice del carattere singolare di questi sistemi umani, potrei citare la dissimmetria delle interazioni: i modelli cosiddetti “agent-based” si basano su di una visione degli individui come particelle fisiche in movimento o, per quanto riguarda i social network, come recipienti di una sostanza virtuale (un’opinione, per esempio) che si diffonde attraverso la rete. I sistemi fisici ai quali si può pensare per analogia, studiati da secoli, obbediscono a un principio di simmetria (principio di azione-reazione per i sistemi meccanici, reversibilità dei processi di diffusione, linearità delle leggi di Ohm, di Fick, …). Nel caso di entità con facoltà cognitive e decisionali, la simmetria delle relazioni individuo-individuo si rompe (possiamo vedere qualcuno che non ci vede, ascoltare qualcuno che non sa della nostra esistenza). Questo ci porta a modelli che si discostano in modo molto significativo dai principi fondamentali su cui si basa la nostra intuizione. Questi modelli infatti hanno proprietà matematiche molto diverse. Ad esempio, le matrici di “rigidità” coinvolte in questi modelli, a differenza dei modelli meccanici, possono ammettere autovalori complessi, che cambiano completamente il comportamento delle soluzioni[2 ]H. Lavenant, B. Maury, Opinion propagation on social networks : a mathematical standpoint, ESAIM : Proceedings and Surveys, 2020, Vol. 67, p. 285-335..

Per tornare alla domanda iniziale, la cosa più importante mi sembra sia quella di superare la visione tradizionale del “trasferimento tecnologico” a senso unico, che consiste nel tenere separati da un lato gli strumenti e gli ambiti formali, e dall’altro le problematiche reali che non aspettano altro che di essere incasellate in un contesto predefinito. Sono inoltre molto convinto che affrontare problemi applicativi possa portare a un arrichimento molto significativo anche del nucleo centrale della nostra ricerca fondamentale.

Intervista raccolta da Jérôme Buzzi

 

Immagine di copertina di Alexandra_Koch da Pixabay
 

Roberto Natalini [coordinatore del sito] Matematico applicato. Dirigo l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr e faccio comunicazione con MaddMaths! e Comics&Science.

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Note e riferimenti

Note e riferimenti
1 R.R. Coifman, S. Lafon, Diffusion maps, Applied and computational harmonic analysis 21 (1), 5-30
2 H. Lavenant, B. Maury, Opinion propagation on social networks : a mathematical standpoint, ESAIM : Proceedings and Surveys, 2020, Vol. 67, p. 285-335.
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