Elena Giorgi è da un anno Assistant Professor alla Columbia University. Negli ultimi mesi ha pubblicato un preprint, insieme a Sergiu Klainerman e Jérémie Szeftel, in cui viene presentata la prima dimostrazione completa della stabilità non lineare dei buchi neri di Kerr che ruotano lentamente. Roberto Natalini l’ha intervistata per saperne di più.
Roberto: Buongiorno Elena, intanto complimenti veramente per il tuo articolo che, anche se per adesso è solo un preprint[1 ]E Giorgi, S Klainerman, J Szeftel, Wave equations estimates and the nonlinear stability of slowly rotating Kerr black holes, arXiv preprint arXiv:2205.14808, 2022. non ancora accettato per la pubblicazione, sembra contenere un risultato molto interessante. Per iniziare, ci descrivi brevemente il percorso che hai seguito per arrivare fino a qui?
Elena: Grazie! Allora, prima ho preso il dottorato alla Columbia nel 2019, poi ho fatto due anni di postdoc a Princeton, durante una iniziativa molto bella che si chiamava Gravity Iniziative, una serie di eventi in comune tra i dipartimenti di matematica, fisica e astrofisica, per mettere insieme persone provenienti da questi tre dipartimenti in modo che possano parlare e condividere aspetti degli stessi problemi studiati in questo settore della gravitazione, ma di solito da diversi punti di vista. Ed è stato molto interessante per me entrare in contatto con fisici teorici e persone nell’ambito delle simulazioni numeriche. Dopo il postdoc a Princeton ho iniziato la posizione attuale di tenure track alla Columbia University.
R.: E prima dove hai studiato?
E.: Ho fatto la triennale di matematica all’Università di Pisa e poi ho fatto la magistrale in Francia, il primo anno a Paris Sud a Orsay e il secondo anno invece a Lione presso l’École Normale Superieure, dove mi sono spostata perché c’era un Master di fisica matematica che mi interessava.
R.: E come mai hai fatto questo percorso così variato? Qual era la tua motivazione?
E.: Andare all’estero dopo aver fatto la triennale a Pisa è stato motivato dal voler fare un’esperienza all’estero come penso sia comune a moltissime persone. In Francia mi sono trovata molto bene, ma tutto sommato era ancora molto simile all’Italia. Per cui ho sentito il bisogno anche di andarmene dalla Francia per fare un’esperienza in un paese anglofono. Gli Stati Uniti sono sempre stati attraenti per me come posto per studiare, ma a quel punto non avevo ancora una chiara visione di cosa voleva dire andarci. Ho inviato varie domande, ed essendo stata presa alla Columbia University, ho scelto di venire qui. Dal punto di vista invece degli interessi, quello di fare matematica c’è da quando ero al liceo, e direi anche prima. Insomma è sempre stata la mia materia preferita, la cosa che mi interessava, quello che facevo nel tempo libero. Però mi è sempre piaciuta tantissimo anche la fisica, e quindi dopo la triennale, ho pensato fosse entusiasmante fare una magistrale in fisica matematica
Però, fino al primo anno di dottorato, ero ancora incerta su che tipo di matematica avrei voluto fare. Mi piaceva molto la geometria differenziale e a Lione ho scoperto come si applicava alla relatività generale, che poi è diventato il mio settore di interesse per il dottorato. Per fortuna c’erano due professori molto esperti in questo settore alla Columbia, Mu-Tao Wang e Sergiu Klainerman, quest’ultimo con una posizione di Visiting Professor. Quindi insomma, è stata l’unione dei miei interessi in geometria differenziale e in fisica che mi ha portato alla relatività generale.
R.: Passando a parlare del risultato che avete ottenuto, si tratta se capisco di un teorema importante di stabilità dei buchi neri di Kerr lentamente rotanti. Ci racconti qual era il punto di partenza per i vostri studi, quali erano i risultati conosciuti, e anche quale pensi sia il salto concettuale più importante che avete compiuto.
E.: Per dare una prospettiva più ampia posso dire che negli anni ‘80, tutta la comunità dei fisici era molto attiva in quella che oggi si chiama “Black Hole Perturbation Theory” [teoria della perturbazione dei buchi neri] che veniva affrontata attraverso una decomposizione in modi armonici principali. La premessa ancora precedente è che i buchi neri sono soluzioni dell’equazione di Einstein, che è un’equazione iperbolica, e ci sono alcune soluzioni esplicite. In particolare la soluzione di Kerr è stata trovata nel 1963 e rappresenta un buco nero che ruota ed è stazionario, ossia non cambia col tempo. Ed è questa la soluzione che uno vorrebbe usare per rappresentare i buchi neri che esistono in astrofisica. Però ovviamente per essere qualcosa di fisicamente ragionevole devono essere stabili nel senso che se le perturbi in qualche modo, magari piccolo, l’evoluzione non deve essere completamente diversa. Se così non fosse sarebbero difficilmente osservabili. Negli anni ‘80 i fisici facevano una specie di decomposizione in modi armonici che si basava su trasformate di Fourier nel tempo e sulla rotazione nella direzione di rotazione del buco nero, per cercare di capire se questi fossero stabili. Di fatto ci sono stati vari risultati ottenuti da Chandrasekhar, Whiting e altri hanno dimostrato la stabilità linearizzata tra le soluzioni ottenute come somme di armoniche. È un risultato importante, ma non basta.
Infatti non implica nemmeno che una soluzione generica dell’equazione linearizzata sia limitata nel tempo. Insomma, valeva solo per per quelle specifiche soluzioni fatte da onde piane oscillanti che si chiamano “mode solutions”. Il lavoro che riassume questa teoria è quello di Whiting del 1989[2 ]B. Whiting, Mode stability of the Kerr black hole, J. Math. Phys. 30 (1989), 1301– 1305 e dopo ci si era un po’ fermati. Questo perché le equazioni di Einstein sono di tipo iperbolico, e la loro parte principale è un’equazione delle onde, e non si sapeva analizzare le soluzioni di queste equazioni in un contesto dato da un buco nero. Solo nel primi anni 2000 la questione è stata ripresa all’interno della comunità matematica, in cui si è sviluppata una corrente di studi di relatività generale che ha iniziato a esaminare proprio l’equazione delle onde nei buchi neri. Quindi inizialmente il caso senza rotazione simmetrico, chiamato del buco nero di Schwarzschild, e poi il caso di Kerr, quello con rotazione. Nel 2014 c’è stato il completamento di questo studio con un articolo di M. Dafermos, I. Rodnianski and Y. Shlapentokh-Rothman[3 ]M. Dafermos, I. Rodnianski and Y. Shlapentokh-Rothman, Decay for solutions of the wave equation on Kerr exterior spacetimes iii: The full subextremal case |a| < m, Ann. of Math. 183 (2016), 787–913 che dimostra che per l’equazione delle onde intorno a un buco nero di Kerr, le soluzioni con energia iniziale finita decadono nel tempo e sono limitate dall’energia iniziale, nel più grande insieme di parametri di massa e rotazione ammissibili, che corrispondono a un buco nero che ruota velocemente rispetto alla sua massa. Qui tuttavia stiamo trattando solo il caso dell’equazione delle onde lineare, che è stato un primo passo importante per considerare le equazioni di Einstein, di cui sono la parte principale, ma comunque è solo un’equazione scalare. In seguito si è iniziato a lavorare sul sistema delle equazioni di Einstein vere e proprie. E qui uno studio è stato fondamentale, quello compiuto nel 2016 da M. Dafermos, G. Holzegel and I. Rodnianski[4 ]M. Dafermos, G. Holzegel and I. Rodnianski, Linear stability of the Schwarzschild solution to gravitational perturbations, Acta Math. 222 (2019), 1–214 che hanno invece dimostrato la stabilità linearizzata delle soluzioni in un buco nero di Schwarzschild (ossia non rotante). Quindi hanno preso l’equazione completa di Einstein nel vuoto di cui il buco nero di Schwarzschild è una soluzione. L’hanno linearizzata intorno a questa soluzione Schwarzschild e hanno studiato la sua stabilità nella classe generale di tutte le soluzioni, non solo onde piane, usando e ampliando le tecniche usate precedentemente. Un altro importante passo avanti è stato un articolo di S. Klainerman and J. Szeftel[5 ]S. Klainerman and J. Szeftel, Global Non-Linear Stability of Schwarzschild Spacetime under Polarized Perturbations, Annals of Math Studies, 210. Princeton University Press, Princeton NJ, 2020, xviii+856 pp. che è stato il primo studio sull’intero sistema delle equazioni di Einstein, ma nel caso del buco nero di Schwarzschild. In questo lavoro gli autori devono assumere una classe di simmetria che permette loro di dedurre che anche se la soluzione è perturbata, alla fine della sua evoluzione finale deve tornare a essere un buco nero Schwarzschild, ossia non può ruotare.
A seguito di questo risultato, arriviamo alla parte più recente. Nel 2021 esce il primo articolo sul caso di Kerr non lineare da parte sempre di S. Klainerman and J. Szeftel[6 ]S. Klainerman and J. Szeftel, Kerr stability for small angular momentum, arXiv:2104.11857 e contemporaneamente è uscito un articolo di 500 pagine di M. Dafermos, G. Holzegel, I. Rodnianski e M. Taylor[7 ]M. Dafermos, G. Holzegel, I. Rodnianski and M. Taylor, The non-linear stability of the Schwarzschild family of black holes, arXiv:2104.0822 sulla stabilità non lineare delle equazioni di Einstein nel buco nero di Schwarzschild . A seguire c’è stato questo nostro articolo[8 ]E Giorgi, S Klainerman, J Szeftel, Wave equations estimates and the nonlinear stability of slowly rotating Kerr black holes, arXiv preprint arXiv:2205.14808, 2022. sul caso di Kerr generale. Insomma, ci sono stati diversi gruppi che hanno lavorato negli ultimi anni. Se devo dirti quale sia stato il nostro contributo più originale, è sicuramente quello di aver affrontato il caso non lineare nel caso della rotazione del buco nero, cosa che ci costringe a cambiare abbastanza la tecnica usata. Per provare a spiegare cosa succede tecnicamente, una delle ostruzioni più grandi nello studio delle onde nei buchi neri, è che fuori del buco nero c’è una sfera, la sfera di fotoni, dove le geodetiche, ossia le traiettorie che percorre la luce, tendono a rimanere lì per sempre: non cadono nel buco nero, ma nemmeno si disperdono. Si crea quindi una concentrazione di energia che produce una degenerazione su questa sfera di tutte le stime a priori che vengono fatte. Il problema di passare da Schwarzschild a Kerr è che nel caso Schwarzschild questa sfera è proprio una sfera, mentre nel caso di Kerr diventa uno spazio aperto, con sfere di diversi raggi, e questo complica notevolmente l’analisi. Mentre nell’analisi lineare questo si poteva risolvere usando la trasformata di Fourier e decomponendo le singole frequenze, nel caso non lineare questo non è più possibile.
R.: Quindi voi avete ottenuto questa stabilità per perturbazione del buco nero rotante e avete fatto vedere che la soluzione esiste e piano piano torna a ridiventare un buco nero dello stesso tipo, giusto?
E.: Sì, ma a meno di cambiare i parametri. Infatti non è un solo buco nero a essere stabile, ma è l’intera famiglia a due parametri, massa e momento angolare, e noi dimostriamo che se parti da un buco nero con un certa massa \(m\) e momento angolare \(a\), con momento angolare piccolo rispetto alla massa, e lo perturbi, questo andrà a convergere verso un buco nero dello stesso tipo con una nuova massa \(m_1\) e momento angolare \(a_1\), che sono vicini a quelli iniziali ma in generale diversi.
R.: In che modo questo tipo di risultati sono interessanti anche per i fisici, che spesso sembrano interessati a cose un po’ diverse?
E.: Ecco, da punto di vista concettuale quello che abbiamo fatto è l’evoluzione naturale di quanto fatto dai fisici nel caso lineare negli anni ‘80. Vogliamo giustificare la realtà di questi oggetti. Il buco nero di Kerr è una soluzione matematica che ti puoi scrivere. Ma chi ci dice che rappresenta i buchi neri che abbiamo visto ad esempio nelle recenti immagini dell’Event Horizon Telescope?
Come dicevo all’inizio, una delle motivazioni che ci fa credere che lo sia è che questa soluzione è stabile, altrimenti non riusciremmo nemmeno a vederla. Quindi semplicemente abbiamo portato a compimento il lavoro iniziato dai fisici, ma con una precisione matematica molto più alta. E non solo per un gusto matematico. Non era infatti sufficiente fermarsi alla stabilità delle onde piane dell’equazione linearizzata perché ormai sappiamo che ci sono vari esempi di equazioni che sono stabili linearmente, ma instabili a livello non lineare, in quanto le soluzioni esplodono in tempo finito. Certo ci si aspettava questa stabilità, sia per i risultati precedenti di D. Christodoulou and S. Klainerman[9 ]D. Christodoulou and S. Klainerman, The global nonlinear stability of the Minkowski space, Princeton University Press (1993) sul caso della stabilità dello spazio-tempo di Minkowski (senza buchi neri), sia per argomenti numerici. Però dimostrarla matematicamente è un’altra cosa e tra l’altro nel dimostrarla si scoprono delle cose che possono essere utili anche in altre situazioni.
Per esempio in un articolo di Christodoulou[10 ]D. Christodoulou,1991 Phys. Rev. Let., 67, 1486 e nel libro di Christodoulou e Klainerman citato prima, loro proponevano quello che poi è stato chiamato il “Memory effect” (effetto di memoria). Questo effetto per cui, se passa un’onda gravitazionale dovuta alla perturbazione dello spazio vuoto, e incontra delle masse che sono a una certa distanza, di fatto queste masse cambiano la loro posizione. E oggi si sta anche cercando di misurarlo questo effetto, anche se per ora è molto difficile da vedere con le antenne tipo Ligo o Virgo, perché troppo debole. Ma magari in futuro si riuscirà a verificarlo con gli interferometri che verranno lanciati nello spazio nei prossimi anni. E questo è un effetto che è venuto fuori solo dopo un’accurata analisi matematica non lineare dell’equazione.
Un altro esempio che vorrei citare riguarda una cosa che sto studiando[11 ]E. Giorgi, Electromagnetic-gravitational perturbations of Kerr-Newman spacetime: the Teukolsky and Regge-Wheeler equations, J. Hyperbolic Differ. Equ., 19 (2022), 1–139, E. Giorgi, The Carter tensor and the physical-space analysis in perturbations of KerrNewman spacetime, arXiv:2105.14379 e riguarda l’interazione delle onde gravitazionali e delle onde elettromagnetiche, e in questo caso la generalizzazione del buco nero di Kerr si chiama Kerr-Newman. Si tratta di un buco nero che ruota e che ha anche una carica. In questo caso negli anni ‘80 la comunità dei fisici non è riuscita a dimostrare la stabilità neanche per delle onde piane, a causa dell’interazione tra onde gravitazionali e onde magnetiche che hanno caratteristiche diverse, e non era quindi possibile usare le tecniche usuali.
In realtà il caso di Kerr-Newman ha tutte le caratteristiche positive del caso Kerr classico, ma è il fatto di decomporre in onde piane che in qualche modo impediva di vedere questa struttura. Per trattarle ho dovuto quindi usare tutte le tecniche sviluppate negli ultimi anni per studiarle nello spazio fisico senza passare in frequenza. Insomma, anche in questo caso lo studio matematico non è solo un accessorio, ma è l’unico strumento che permette di capire cosa sta succedendo e arrivare al risultato.
R.: Quali sono i prossimi problemi che pensate di affrontare?
E.: Qualcosa che vorremmo fare è guardare al caso di buchi neri che ruotino più velocemente. Ci sono alcuni studi in questa direzione, ma che ancora sono solo al livello di studio lineare e dell’equazione scalare delle onde. Ma non è chiaro come affrontare il caso non lineare di Einstein.
R.: Per concludere una domanda sociologica. Vedendo questo tipo di lavori molto lunghi, questo supera le 800 pagine, ci si chiede come sia possibile non solo scriverli, ma anche trovare un revisore che possa controllare tutti i passaggi.
E.: In primo luogo vorrei sottolineare che il nostro lavoro è cosi lungo anche perché scriviamo tutti i dettagli. Ci sono almeno duecento pagine di appendici di calcoli. Se per esempio c’è la derivazione di un’equazione che viene usata oppure i termini non lineari vengono usati in un certo modo, noi lo facciamo vedere linea per linea. Insomma, la lunghezza deriva anche dalla precisione con cui riportiamo i passaggi. Comunque, come in molti lavori analoghi, questo tipo di dimostrazioni hanno dei punti fermi ben precisi. Per qualcuno abituato a studiare questi problemi, ci sono solo pochi passaggi cruciali in cui devi controllare che riesci veramente a migliorare le tue stime. E nell’introduzione abbiamo riassunto quali siano questi passaggi principali da controllare con maggiore attenzione.
R.: Bene, grazie Elena, in bocca al lupo a te e ai tuoi … revisori!
Roberto Natalini
Immagine di copertina: ELENA-GIORGI-MATHEMATICIAN @PHOTOGRAPHER APRIL RENAE-2022
Note e riferimenti
⇧1, ⇧8 | E Giorgi, S Klainerman, J Szeftel, Wave equations estimates and the nonlinear stability of slowly rotating Kerr black holes, arXiv preprint arXiv:2205.14808, 2022. |
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⇧2 | B. Whiting, Mode stability of the Kerr black hole, J. Math. Phys. 30 (1989), 1301– 1305 |
⇧3 | M. Dafermos, I. Rodnianski and Y. Shlapentokh-Rothman, Decay for solutions of the wave equation on Kerr exterior spacetimes iii: The full subextremal case |a| < m, Ann. of Math. 183 (2016), 787–913 |
⇧4 | M. Dafermos, G. Holzegel and I. Rodnianski, Linear stability of the Schwarzschild solution to gravitational perturbations, Acta Math. 222 (2019), 1–214 |
⇧5 | S. Klainerman and J. Szeftel, Global Non-Linear Stability of Schwarzschild Spacetime under Polarized Perturbations, Annals of Math Studies, 210. Princeton University Press, Princeton NJ, 2020, xviii+856 pp. |
⇧6 | S. Klainerman and J. Szeftel, Kerr stability for small angular momentum, arXiv:2104.11857 |
⇧7 | M. Dafermos, G. Holzegel, I. Rodnianski and M. Taylor, The non-linear stability of the Schwarzschild family of black holes, arXiv:2104.0822 |
⇧9 | D. Christodoulou and S. Klainerman, The global nonlinear stability of the Minkowski space, Princeton University Press (1993) |
⇧10 | D. Christodoulou,1991 Phys. Rev. Let., 67, 1486 |
⇧11 | E. Giorgi, Electromagnetic-gravitational perturbations of Kerr-Newman spacetime: the Teukolsky and Regge-Wheeler equations, J. Hyperbolic Differ. Equ., 19 (2022), 1–139, E. Giorgi, The Carter tensor and the physical-space analysis in perturbations of KerrNewman spacetime, arXiv:2105.14379 |