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Paolo Alessandrini è un insegnante e da anni ha un blog che si chiama Mr. Palomar. Qualche tempo fa ha pubblicato un libro Matematica rock, Storie di musica e numeri dai Beatles ai Led Zeppelin. Oggi ci parla di matematica ed emozioni. Questo post fa parte della campagna #lascuolaconta.

Può la scuola emozionare? E lo può fare, in particolare, la matematica? Intendiamoci: “emozionare” in senso positivo. Sappiamo che la matematica è da sempre una delle materie più temute e odiate dagli studenti. Ma non penso a emozioni negative, come la paura, il disgusto, o, peggio, l’indifferenza. Mi chiedo se la matematica possa generare emozioni belle, stimoli utili a crescere: good vibrations insomma, come cantavano i Beach Boys. Io dico di sì. E ne ho le prove.

Come insegnante, mi è capitato spesso (non tutti i giorni, lo ammetto), mentre spiegavo qualche argomento di matematica, di cogliere sui volti e sulle labbra dei ragazzi il sorriso compiaciuto della comprensione profonda, l’a-ha! della rivelazione, gli occhi sgranati dello stupore, il sussulto della meraviglia. L’abbiamo provata tutti, no? La conosce bene soprattutto chi si occupa di matematica, ma non solo. Quella forte emozione che si sperimenta quando nella nostra mente tutti i tasselli che prima erano in disordine si mettono miracolosamente a posto, e il puzzle che si forma ci sembra bellissimo. Ecco, quella è secondo me la bellezza matematica. Se la proviamo noi, è una fantastica esperienza; ma se la vediamo provare ai nostri studenti, magari “per merito nostro”, be’, è qualcosa di assolutamente indimenticabile. E vi racconterò un episodio.

Una mattina a scuola, l’anno scorso. Sto facendo lezione in una delle mie prime. Sto parlando dei numeri naturali, e faccio notare alcune proprietà. Per esempio, mostro loro la successione dei quadrati dei primi numeri naturali: 1, 4, 9, 16, 25, eccetera. Chiedo loro di calcolare a mente come varia, andando avanti nella successione, la distanza tra un quadrato e il suo successore. 3, 5, 7, 9… sono saltati fuori i numeri dispari!
Vedo alcune espressioni indifferenti ma anche alcuni sguardi davvero sbalorditi. Uno di loro alza la mano ed esclama:
“Prof, guardi!” – e mi mostra l’avambraccio – “mi è venuta la pelle d’oca!”

Ecco. Sono questi i momenti supremi in cui si ha la conferma inequivocabile di fare un mestiere che serve. Serve davvero. Serve disperatamente. Non tanto perché la matematica (o qualsiasi altra disciplina) sia utile in vista del lavoro. Anche questo, certo. Ma soprattutto la matematica (e qualsiasi altra disciplina) serve perché è bella. E perché, se ogni tanto ci accorgiamo che è bella, tutto si sblocca: la matematica appare più amica, più facile, più utile. Mi sforzo quotidianamente di far intravedere anche soltanto un milionesimo di quella bellezza. Magari ci riesco solo di tanto in tanto, ma sono convinto che sia una sfida terribilmente seria che va giocata sempre. E poi sono consapevole che il confronto quotidiano con gli studenti aiuta spesso anche me a scoprire tanti altri generi di bellezza, che prima non conoscevo. Come quei brividi sul braccio provocati da un gioco, semplice ma effettivamente bello, con i numeri.

Nel 2014, alcuni neuroscienziati dell’University College London, guidati da Semir Zeki, svolsero un’indagine per comprendere i meccanismi cerebrali legati alla bellezza matematica. Invitarono sedici matematici a dare un voto a sessanta equazioni: la scala di valutazioni possibili andava da “orribile” a “bella”. Due settimane dopo, domandarono ai matematici di assegnare ancora una valutazione, ma stando all’interno di uno scanner per risonanza magnetica funzionale (fMRI): gli scienziati si accorsero così che in corrispondenza delle formule valutate con voti alti, si attivava la stessa area cerebrale chiamata in causa quando siamo emozionati da un’opera d’arte. I ricercatori londinesi riuscirono anche a isolare le caratteristiche che una formula matematica deve possedere per poter essere giudicata bella. E scoprirono che, a differenza di quanto accade con i prodotti artistici (come musiche, dipinti, e così via), una formula viene percepita come “bella” soltanto quando l’osservatore ha un certo livello superiore di preparazione matematica (plausibile, certo, anche se quella pelle d’oca su un quattordicenne da poco uscito dalle medie e iscritto a un istituto professionale, molto intelligente ma non certo un matematico esperto, sembrerebbe suggerire altro).

Un anno fa avevo tenuto alla rassegna “Dolomiti in Scienza” organizzata dal Gruppo Divulgazione Scientifica Dolomiti di Belluno, una conferenza proprio sul tema della bellezza in matematica e sull’immancabile identità di Eulero (eterna vincitrice nelle competizioni tra belle formule). Ho pensato di trasformarla in un video, riutilizzando le slide e aggiungendo una narrazione vocale. Lo potete trovare sul mio canale Youtube.

In questi giorni di quarantena forzata, forse proprio la bellezza ci può salvare: quella c’è sempre, anche se siamo bloccati a casa e le scuole sono chiuse.

Paolo Alessandrini

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