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Dal cervello positronico dei robot di Asimov al modello di Tononi, passando per Turing: si può “calcolare” la coscienza?

 

“Is Consciousness Computable? Quantifying Integrated Information Using Algorithmic Information Theory”

Il termine inglese consciousness fa riferimento a quello che noi chiamiamo stato di coscienza, che è opportuno distinguere da ciò che noi intendiamo come coscienza morale, che in inglese viene denotata con un termine diverso, conscience. Nel seguito con il termine “coscienza” intenderemo il primo significato.

Il tema della coscienza – considerato per tanto tempo elusivo – viene individuato da autorevoli riviste scientifiche, quali Science e Nature, come una delle sfide scientifiche del terzo millennio.  Alcuni lavori recenti cercano di caratterizzare e di descrivere lo stato di coscienza secondo paradigmi scientifici collaudati, quale ad esempio la teoria dell’informazione. E’ il caso del modello dell’integrazione dell’informazione di Tononi [1] di cui parleremo nel seguito.

La possibile comprensione della coscienza in termini scientifici porta subito a un ulteriore interrogativo, cioè se è possibile riprodurre artificialmente la coscienza, o quantomeno costruire macchine coscienti. Il tema della coscienza artificiale [2] è anch’esso molto dibattuto e trova le sue origini in passati dibattiti sull’intelligenza artificiale. I sostenitori della cosiddetta tesi forte dell’intelligenza artificiale ritengono che sia possibile riprodurre con tecniche computazionali tutte le facoltà mentali dell’uomo. Contro tale approccio riduzionistico sono state portate varie argomentazioni, come quelle del filosofo Searle e quelle del fisico Penrose, il quale evoca i teoremi di incompletezza di Gödel per dimostrare la limitatezza dei sistemi basati sulla computazione, in contrasto alle capacità intuitive della mente umana [3].

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Recenti sviluppi cercano di superare i limiti riduzionisti imposti dal concetto di computazione con approcci più olistici o con altri basati sull’embodiment, secondo i quali è necessaria la presenza di un corpo fisico [2]. Al solito, come del resto è successo per altri campi della scienza, queste problematiche sono state già affrontate in modo quasi profetico in passato dalla fantascienza. L’approccio computazionale lo troviamo nel computer Hal 9000 di 2001 Odissea nello Spazio, mentre quello olistico nel cervello positronico dei robot di Asimov.

Alan Turing [4] nell’affrontare il problema se le macchine sono in grado di pensare, ritiene la domanda come priva di senso e propone al suo posto il famoso gioco dell’imitazione, noto storicamente come Test di Turing: ci si deve chiedere se esse sono in grado di ingannare un intervistatore, spacciandosi per esseri umani.

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In modo analogo, il modello di Tononi [1] non fa riferimento alla domanda su che cosa sia la coscienza in sé, alla quale forse non saremo mai in grado di rispondere, come del resto non conosciamo la natura intrinseca delle particelle elementari in fisica. Piuttosto la descrive come esperienza integrata e unitaria e definisce una quantità ϕ con cui misurare questo livello di integrazione.

La differenza tra un’esperienza cosciente e una non cosciente sarebbe proprio in questo grado di integrazione e di unitarietà. Quando percepiamo una scena, la nostra esperienza è globale e particolare allo stesso tempo. Ci accorgiamo subito di eventuali incoerenze. Riconosciamo ad esempio un volto nella sua globalità e nello stesso tempo nei suoi particolari, (gli occhi, la bocca, etc.). Questi particolari messi assieme devono avere un senso. Una fotocamera digitale acquisisce i bit di un’immagine e ogni bit è indipendente dagli altri. La macchina non ha alcuna conoscenza della scena rappresentata. L’informazione in questo caso è completamente non integrata. Si potrebbe obiettare che in genere l’immagine viene compressa in un certo formato, quale ad esempio il jpeg, ma questa compressione serve solo a risparmiare bit ed è caratterizzata da perdita dell’informazione. Anche se l’immagine può essere poi analizzata con tecniche di visione artificiale, allo stato attuale delle tecnologie queste tecniche analizzano separatamente parti dell’immagine alla ricerca di pattern.

La quantità che Tononi chiama ϕ è associata a una singola entità caratterizzata da un gran numero di stati distinguibili.  Essa può essere misurata chiedendosi quanta informazione (in bit) tale entità contiene al di là e oltre quella complessiva contenuta dalle sue singole parti. ϕ, per un’entità, è quindi una misura della capacità di integrazione dell’informazione, ovvero della non riducibilità di un sistema a una semplice collezione delle sue parti. Un alto livello di ϕ esprime un alto livello di integrazione e quindi di coscienza.

La coscienza è computabile?

Maguire, Moser, Maguire e Griffth nel loro articolo [5] propongono, come modello di integrazione dell’informazione, una forma di sinergia basata sul concetto di compressione senza perdita. Nella compressione di dati, infatti, succede che se rappresentiamo dell’informazione non compressa con una stringa di bit, ogni singolo bit fornisce dell’informazione indipendente riguardo all’intera stringa. Quando la stringa è fortemente compressa ogni bit è completamente dipendente da tutti gli altri. Proprio per questo, l’informazione codificata dai bit della stringa compressa risulta maggiore della somma delle sue parti. La compressione deve essere senza perdita, perché altrimenti assisteremmo a una continua distruzione di informazione e non potremmo accedere anche alle sue singole parti, come nel caso dell’esempio citato prima della percezione di un volto.

Tali concetti vengono inquadrati dagli autori nell’ambito della teoria algoritmica dell’informazione [6]. Possiamo, infatti, codificare un qualsiasi oggetto finito in termini di una opportuna stringa di simboli x. Questa stringa può essere completamente descritta per mezzo di un programma p su una macchina di calcolo universale U che la genera. Questa è la definizione di descrizione effettiva della stringa x, e quindi anche dell’oggetto rappresentato. La lunghezza della più breve descrizione effettiva, ovvero del programma p più corto, si definisce come complessità di Kolmogorov della stringa x e si indica di solito con C(x). Il valore di C(x) non dipende dalla macchina universale U scelta, a meno di una costante additiva indipendente da x. Questo concetto di complessità risulta molto utile dal punto di vista teorico, anche se per la funzione C(x) vale un teorema di non computabilità. Essa può essere solo approssimata per eccesso.

La teoria algoritmica dell’informazione permette agli autori di dare una definizione operativa dell’integrazione dell’informazione. Essi fanno riferimento a uno stimolo esterno z e alla sua codifica m(z)  in uno stato integrato nel cervello di un soggetto. A tal proposito, definiscono come integrante una funzione m se la conoscenza di m(z) non è di alcun ausilio per la descrizione effettiva di m(z’), quando z e z’ sono due stimoli vicini. Formalmente ciò viene espresso con l’espressione C(m(z’)|m(z)) ≥ C(m(z’)) – C(z’|z), dove C(x|y) indica la complessità di Kolmogorov di x dato y, ovvero la lunghezza del programma più corto per generare x a partire da y.

Si può così quantificare il grado di integrazione di un processo di codifica di uno stimolo z come la distanza minima tra lo stesso stimolo integrato m(z) e un qualsiasi altro stimolo integrato m(z’) ottenuto a partire dalla trasformazione di z in uno stimolo vicino z’. Questa distanza è quella che viene chiamata distanza di editing.

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Un esempio illustrativo riguarda la modifica di un odore percepito, per esempio di cioccolato, in un altro, per esempio di lavanda. In una macchina automatica che effettua il riconoscimento tramite il confronto di prototipi, è semplice effettuare tale modifica: basta andare a modificare i bit che codificano lo stimolo oppure i prototipi. Per un ipotetico neurochirurgo che opera al cervello di un soggetto, se lo stimolo non è stato ancora integrato, egli potrebbe intervenire in un’area localizzata del cervello allo stesso modo. Se invece lo stimolo è stato integrato, allora esso sarà ampiamente distribuito e difficilmente separabile dall’intero contenuto del cervello del soggetto, per cui sarà impossibile isolarlo e modificarlo.

Il risultato a cui giungono gli autori è la dimostrazione di un teorema di non computabilità di una funzione integrante. Per essi tale risultato implica che “… dobbiamo abbandonare o l’idea che le persone godano di una coscienza genuinamente unitaria o che i processi cerebrali possano essere modellati in modo computazionale”. Un approccio olistico pone però altri problemi. Per evitare che la coscienza sia considerata come qualcosa di magico gli autori la collegano a una sorta di irreversibilità dal punto di vista dell’osservatore, per cui “… il comportamento cosciente è ciò che è resistente ai nostri migliori sforzi di decomporlo”. Le ulteriori considerazioni su ciò che al riguardo ci possono dire le neuroscienze riflettono proprio questa difficoltà a superare una visione meccanicistica. E’ vero che il nostro cervello è attualmente considerato l’oggetto più complesso conosciuto nel nostro universo, ma la non computabilità implica molto di più rispetto alla difficoltà di comprensione dei sistemi complessi. E’ qualcosa di più inerente ai sistemi stessi.

Un’ultima nota riguarda la dipendenza del risultato ottenuto dalla definizione di funzione integrante in termini di complessità di Kolmogorov. Si potrebbe anche pensare di fare riferimento ad altri tipi di complessità, come una complessità computazionale in termini di tempo, come succede nella crittografia. Ma, d’altra parte, dovremmo anche spiegarci come noi stessi, esseri coscienti, saremmo in grado di gestirla. In questo caso forse potrebbero venirci incontro nuovi paradigmi di computazione, come ad esempio la computazione quantistica [7], come suggerisce anche Penrose [3].

di Salvatore Gaglio professore ordinario di intelligenza artificiale 
presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica, Gestionale, Informatica, Meccanica (DICGIM)
dell’Università di Palermo

 

Bibliografia

[1] G. Tononi, Consciousness as integrated information: a provisional manifesto. The Biological Bulletin, 215 (3), 216-242, 2008.

[2] A. Chella e R. Manzotti (eds.), Artificial Consciousness, Imprint Academic, Exeter, 2007.

[3] R. Penrose, La Mente Nuova dell’Imperatore, Rizzoli, Milano, 1992.

[4] A. Turing, Intelligenza Meccanica. A cura di G. Lolli, Boringhieri, Torino, 1994.

[5] P. Maguirem P. Moser, R. Maguire e V. Griffith, Is Consciousness Computable? Quantifying Integrated Information Using Algorithmic Information Theory, Arxiv: 1405.0126.

[6] M. Li e P. Vitanyi An Introduction ti Kolmogorov Complexity and its Applications, Springer, NewYork, 2008.

[7] A. Wichert, Principles of Quantum Artificial Intelligence, World Scientific, Singapore, 2014.

 

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