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Lo scorso 11 gennaio si é spento Sir Michael Francis Atiyah (1929-2019), da molti considerato il più grande matematico Britannico dai tempi di Newton. Pubblichiamo un suo profilo scritto da Francesca Arici.

Il matematico britannico Michael Atiyah, che ci ha lasciato poco più di una settimana fa, all’età di 89 anni, non solo è stato insignito della medaglia Fields (1966) e del premio Abel (2004), i massimi riconoscimenti in matematica, ma ha anche contribuito a rivoluzionare la matematica moderna, e ad influenzare e ispirare generazioni di matematici e fisici in tutto il mondo.

Studente di William Hodge, già dal titolo della sua tesi di dottorato—“Some applications of topological methods to algebraic geometry”— traspare quella interdisciplinarità che caratterizzerà la sua lunga e prolifica carriera matematica. Nella sua tesi, metodi di topologia, branca della matematica che studia proprietà geometriche che rimangono invariate sotto deformazione, trovavano applicazione nell’ambito della geometria algebrica, lo studio di oggetti geometrici e loro proprietà attraverso equazioni polinomiali.

Pur essendo un geometra algebrico di formazione —fino alla fine degli anni ’50 i suoi lavori sono principalmente in questo ambito— Atiyah si trova ben presto a trasformarsi in un topologo, capace di rivoluzionare questa materia.

Essenziale in questo senso una sua visita all’Institute for Advanced Studies di Princeton nel 1955, in cui, dopo l’incontro con matematici del calibro di Borel, Bott, Hirzebruch, Serre e, ovviamente, Singer, Atiyah inizia ad occuparsi di questioni di topologia. Va detto che quelli erano anni di grande fioritura di questa area della matematica, e in un certo senso l’influenza di Hirzebruch si fece sentire profondamente nella ricerca di Atiyah.

Alla base della topologia risiede la questione di assegnare a oggetti geometrici delle quantità numeriche che permettano di stabilire se possiamo o meno deformare uno spazio in un altro; questi numeri vengono chiamati invarianti. Se due oggetti non posseggono gli stessi invarianti, non vi è speranza di poterli deformare l’uno nell’altro.

Atiyah e Hirzebruch nel 1977 a Bonn. Fonte: https://opc.mfo.de/detail?photoID=7491

Il matematico tedesco Friedrich Hirzebruch era riuscito, utilizzando una classe di invarianti chiamati classi caratteristiche, a proporre una nuova e più generale dimostrazione del teorema di Riemann–Roch, uno dei teoremi fondamentali in geometria. Questo gli aveva permesso di estendere il risultato del teorema al regno della geometria algebrica. Non solo: Hirzebruch era anche stato in grado di dimostrare che certe combinazioni di classi caratteristiche davano sempre origine a numeri interi. C’era qualcosa di sorprendente nel fatto che queste espressioni avessero valori interi, e risultò presto chiaro che ci dovesse essere una ragione profonda dietro questo fenomeno.

I numeri interi hanno un posto speciale nel panorama matematico. È famosa una citazione del matematico tedesco Kronecker, secondo il quale “Dio ha creato i numeri interi, tutto il resto è opera dell’uomo”. Molti concetti matematici, come ad esempio quello di dimensione di uno spazio, sono numeri interi. I numeri interi formano un insieme di misura nulla dentro i numeri reali, e la probabilità che un numero reale arbitrario sia un intero è nulla. Conseguentemente, se una certa quantità assume valori interi in tutti gli esempi a nostra disposizione, è naturale domandarci se questa apparente coincidenza non sia la manifestazione di un fenomeno più profondo. Fu proprio questa osservazione a portare Atiyah da un lato a sviluppare, insieme a Hirzebruch, la K-teoria topologica, e dall’altro al celeberrimo teorema dell’indice, frutto di lavoro congiunto con il matematico americano Isadore Singer.

K-teoria e invarianti topologici

Per capire la portata dei contributi di Atiyah alla topologia, dobbiamo tornare alla questione fondamentale degli invarianti, e lo faremo considerando un esempio.

È evidente anche a una persona non pratica di matematica che i due oggetti qui sopra, un cilindro e un nastro di Möbius, sono profondamente diversi: tale diversità si palesa nell’atto di costruirli a partire da una strisciolina di carta. Cilindro e nastro di Möbius sono due degli esempi più semplici di quello che viene chiamato un fibrato vettoriale su uno spazio topologico: a patto di assumere che la lunghezza dei segmenti sia infinita, ci troviamo di fronte a fibrati in linee su un cerchio. Un fibrato non è che un modo di incollare degli spazi (in questo caso delle linee) ad un secondo spazio (nel nostro caso il cerchio), in maniera continua.

Il problema di distinguere due fibrati vettoriali assegnandovi dei numeri è la domanda al centro della K-teoria topologica. La questione va oltre l’esempio elementare dei fibrati in linee su cerchi, e le sue applicazioni, trascendono l’ambito strettamente geometrico, spaziando dall’algebra alla fisica teorica.

Il nuovo linguaggio della K-teoria topologica, sviluppata da Atiyah e Hirzebruch a partire da una costruzione di Alexander Grothendieck [1 ]vedi per esempio questo articolo https://maddmaths.simai.eu/divulgazione/la-lunga-marcia-in-salita-di-alexandre-grothendieck/., permetteva di riformulare in maniera elegante quelle domande di integralità scaturite dal lavoro dello stesso Hirzebruch sulle classi caratteristiche. Mancava ancora, tuttavia, una spiegazione vera e propria sul perché di questi fenomeni. Atiyah stesso riassume la situazione in maniera concisa:

…avevamo la risposta, ma non sapevamo quale fosse il problema. [2 ]Michael Atiyah: Mathematician, 2005. Web of Stories [Peoples Archive], London. https://www.webofstories.com/story/search?q=atiyah [3 ]N. J. Hitchin. Mathematics and culture: Geometry in Oxford 1960–1990, in: Celebratio Mathematica. http://celebratio.org/Atiyah_MF/article/44/ (2007)

Il teorema dell’indice

Per varie coincidenze e motivi familiari, Singer si trovò a visitare Atiyah ad Oxford per l’anno accademico 1961/1962, visita che diede luogo a una delle più fruttuose e sorprendenti collaborazioni matematiche di quegli anni. In una lettera del 2003 [4 ]I. M. Singer, Letters to Michael, Raoul, and Fritz pp. 337–343 in The founders of index theory: Reminiscences of and about Sir Michael Atiyah, Raoul Bott, Friedrich Hirzebruch, and I. M. Singer, 2nd edition. Edited by S.-T. Yau. International Press (Somerville, MA), 2009. Also found in the 2003 edition of the book. lo stesso Isadore Singer ricorda la nascita della teoria dell’indice nel gennaio 1962:

… durante il mio secondo giorno all’istituto di matematica, sei salito all’ufficio del quarto piano dove mi stavo scaldando vicino alla stufa elettrica. Dopo le solite formalità, hai chiesto “Perché il genere è un numero intero per varietà di spinoriali?” “Che succede, Michael? Conosci la risposta molto meglio di me. ” “C’è una ragione più profonda”, hai detto.

Questo breve scambio di battute può essere visto come il momento che segna la nascita della teoria dell’indice. Se Atiyah era un geometra a tutti gli effetti, essendosi occupato prima di geometria algebrica e poi di topologia, Singer, d’altro canto, era un vero e proprio analista funzionale. Studente di Irving Seagal, uno dei maggiori esperti del formalismo matematico della meccanica quantistica, Singer masticava oggetti quali spazi di Hilbert, algebre normate, operatori differenziali. Fu cosi che in breve tempo i due trovarono, proprio nel mondo analitico, un candidato naturale, l’indice di Fredholm di un operatore di Dirac.

Atiyah e Singer a Edimburgo nel 2009, in occasione dell’80esimo compleanno di Atiyah.
Fonte: https://opc.mfo.de/detail?photoID=12854

Un operatore di Dirac è un caso speciale di operatore differenziale, ossia un oggetto che, presa in pasto una o più funzioni, restituisce una combinazione delle derivate della funzione stessa. Deve il suo nome al fisico britannico Paul Dirac, che lo introdusse per studiare le meccanica relativistica dell’elettrone. Si tratta di un operatore del primo ordine (contiene solo derivate prime) e, formalmente, può essere visto come una radice quadrata del operatore Laplaciano.

Dato un operatore differenziale, il suo indice di Fredholm è un numero, un intero, legato alle soluzioni del sistema di equazioni differenziali associato: la differenza tra il numero di parametri necessari a descrivere le soluzioni meno il numero di relazioni esistenti tra le equazioni che appaiono nel sistema.

Questo numero fornisce informazioni sul problema che vogliamo risolvere, senza dovere necessariamente risolvere il problema in maniera esplicita.

Per capire meglio la questione, consideriamo un’applicazione lineare \(L:V \to W\) tra spazi vettoriali di dimensione finita, e supponiamo di voler risolvere l’equazione \(Lx=y\). Il sistema ammette soluzioni se e solo se \(y\) vive nell’immagine di \(L\). Se il nostro spazio vettoriale \(W\) è dotato di un prodotto scalare, come avviene nel caso Euclideo, possiamo scrivere \[W= \mathrm{Im}(L)+ \mathrm{coker}(L),\] dove il conucleo \(\mathrm{coker}(L)\) è definito come lo spazio ortogonale all’immagine di \(L\). Affinché \(y\) appartenga all’immagine, dobbiamo imporre tante condizioni quante la dimensione del conucleo. Una volta stabilito che il sistema ammette soluzioni, lo spazio in cui esse vivono ha dimensione pari a quella del nucleo. In questo caso, l’indice dell’operatore \(L\) é proprio la differenza tra queste dimensioni:

\[\mathrm{Ind}(L)=\dim(\ker(L))-\dim(\mathrm{coker}(L)).\]

Dato un operatore differenziale del tipo dell’operatore di Dirac, il teorema dell’indice stabilisce un’uguaglianza tra l’indice analitico di un operatore di Dirac, definito formalmente come la differenza qui sopra, e un indice topologico, ottenuto come combinazione di classi caratteristiche.

Chiaramente, il semplice esempio degli operatori lineari non racconta tutta la profondità del teorema dell’indice: nel caso finito dimensionale, per \(V=W\) l’indice è sempre zero. È passando a dimensione infinita, utilizzando spazi di Hilbert, che le cose cominciano a diventare più interessanti. Possiamo ad esempio riformulare il teorema di Gauss–Bonnet, che esprime la caratteristica di Eulero di una varietà compatta come integrale della curvatura che realizza una classe caratteristica topologica, la classe di Eulero del fibrato tangente, utilizzando un opportuno operatore differenziale sulla nostra varietà compatta. Nel caso di varietà spinoriali, l’operatore di spin-Dirac è l’oggetto naturale da considerare per rispondere alla domanda di Atiyah a Singer accanto alla stufetta! Anche il teorema di Hirzebruch–Riemann–Roch, a cui abbiamo accennato più sopra, può essere visto come un altro caso particolare di questo enorme risultato: l’indice di un operatore differenziale, in questo caso l’operatore di Dolbeault–Dirac su una varietà complessa, restituisce la classe di Eulero della varietà, e questa a sua volta uguaglia una quantità topologica, ottenuta calcolando un integrale di classi caratteristiche.

Da tutti questi esempi traspare come il teorema dell’indice costituisca un ponte, una connessione, tra l’analisi (in particolare gli operatori pseudo-differenziali su varietà) e la topologia (classi caratteristiche di fibrati vettoriali), ed è pertanto naturale che venga considerato uno delle pietre miliari della matematica moderna.

L’eredità di Atiyah

Durante gli anni 70 le idee di Atiyah e collaboratori, in particolare la K-teoria e la teoria dell’indice, vivono una sorta di seconda giovinezza quando trovano applicazioni in fisica matematica e teorica. È in quegli anni che Atiyah inizia ad occuparsi di teorie di gauge e istantoni. Indimenticabile la costruzione ADHM (che porta, oltre al nome di Atiyah, quelli di Drinfeld, Hitchin, e Manin) dello spazio di moduli (ovvero, spazio dei parametri) dei minimi del funzionale di Yang–Mills usando tecniche di algebra lineare. Il fisico teorico Edward Witten ha ricordato, nel necrologio apparso sul New York Times[5 ]https://www.nytimes.com/2019/01/11/obituaries/michael-atiyah-dead.html, come le idee di Atiyah, in particolare la K-teoria topologica e le tecniche di teoria dell’indice, siano risultate essenziali nello sviluppo della teoria delle stringe:

ha influenzato profondamente l’intero sviluppo contemporaneo del modo in cui la fisica e la matematica interagiscono.

Difficile fare un elenco di tutte le aree in cui il lavoro di Atiyah ha esercitato una profonda influenza, ma per citarne alcune: teoria dell’indice, K-teoria (in tutte le sue forme, compresa la K-teoria per algebre di operatori e la K-teoria bivariante di Kasparov), fisica matematica, geometria algebrica, differenziale, noncommutativa.

Tornando ai giorni nostri, sicuramente non è passata inosservata la notizia della presentazione di Atiyah all’Heidelberg Laureate Forum (HLF) scorso, in cui il matematico ha annunciato di avere dimostrato l’ipotesi di Riemann. Questa affermazione è stata accolta con scetticismo dalla comunità scientifica e ha suscitato ampie discussioni tra i circoli matematici [6 ]Il fisico matematico John Baez ha iniziato su questo tema un lungo thread su twitter: qui.. Non si trattava della prima affermazione di questo tipo da parte di Atiyah, che nell’Ottobre 2016 ha caricato sul server ArXiv un preprint dal titolo “The Non-Existent Complex 6-Sphere”, sostenendo di avere dimostrato che non può esistere una struttura complessa sulla sfera di dimensione sei. La dimostrazione contenuta nell’articolo è solo un abbozzo, e ad oggi la comunità considera il problema delle strutture complesse sulla sei-sfera ancora aperto.

Quello che traspare dalla lezione di Atiyah all’HLF è la sua passione per una materia, la matematica, alla quale ha dedicato tutta la sua vita, e la capacità di stupirsi davanti all’eleganza di certi enunciati e congetture. La sua stessa presenza all’HLF, conferenza in cui premi Abel, Fields, Turing, e Nevallina sono invitati ad incontrare le nuove generazioni, non ha fatto che confermare la sua passione e voglia di ispirare le nuove generazioni di matematici e sognatori.

“Without dreams there is no art, no mathematics, no life”
(Senza i sogni non c’è arte, né matematica, né vita.)[7 ]M. F. Atiyah, The art of mathematics, Notices of the AMS 57:1 (2010), 8. https://www.ams.org/staff/jackson/fea-atiyah.pdf

Francesca Arici
Max Planck Institute for Mathematics in the Sciences, Leipzig

 

 

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Note e riferimenti

Note e riferimenti
1 vedi per esempio questo articolo https://maddmaths.simai.eu/divulgazione/la-lunga-marcia-in-salita-di-alexandre-grothendieck/.
2 Michael Atiyah: Mathematician, 2005. Web of Stories [Peoples Archive], London. https://www.webofstories.com/story/search?q=atiyah
3 N. J. Hitchin. Mathematics and culture: Geometry in Oxford 1960–1990, in: Celebratio Mathematica. http://celebratio.org/Atiyah_MF/article/44/ (2007)
4 I. M. Singer, Letters to Michael, Raoul, and Fritz pp. 337–343 in The founders of index theory: Reminiscences of and about Sir Michael Atiyah, Raoul Bott, Friedrich Hirzebruch, and I. M. Singer, 2nd edition. Edited by S.-T. Yau. International Press (Somerville, MA), 2009. Also found in the 2003 edition of the book.
5 https://www.nytimes.com/2019/01/11/obituaries/michael-atiyah-dead.html
6 Il fisico matematico John Baez ha iniziato su questo tema un lungo thread su twitter: qui.
7 M. F. Atiyah, The art of mathematics, Notices of the AMS 57:1 (2010), 8. https://www.ams.org/staff/jackson/fea-atiyah.pdf
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