Ogni anno cadono sul nostro pianeta diverse tonnellate di materiale proveniente dallo spazio. Gran parte di questi oggetti sono di piccole dimensioni e si disintegrano quando attraversano l’atmosfera terreste, provocando un fenomeno luminoso (le meteore). Quelli abbastanza grandi non si consumano del tutto e riescono ad arrivare al suolo (i meteoriti). Giovanni Federico Gronchi ci spiega come possiamo calcolare con ottima precisione le traiettorie di questi e altri oggetti presenti nello spazio.
Le dimensioni degli oggetti celesti che arrivano sulla superficie terrestre provocando un impatto sono molto diverse: fortunatamente nella maggior parte dei casi questi non sono troppo grandi e cadono nell’oceano senza fare danni (più del 70% della superficie terrestre è ricoperta dalle acque). D’altra parte, come mostrano i crateri presenti sulla Terra, ci sono stati anche impatti di corpi celesti di grandi dimensioni che hanno provocato una catastrofe globale. È ormai accettata da molti la tesi che la scomparsa dei dinosauri sia stata causata dall’impatto di un grande asteroide (con diametro di circa 10 Km) 65 milioni di anni fa: un cratere da impatto che può corrispondere a questo evento è stato trovato a Chicxulub, in Messico. Al giorno d’oggi abbiamo gli strumenti per difenderci, a patto però di prevedere tali eventi con un certo anticipo. Per questo dobbiamo conoscere le orbite di tutti i corpi celesti abbastanza grandi e che possono passare vicino alla Terra. In effetti, possiamo conoscere queste proprietà solo se conosciamo le orbite stesse, infatti per questi oggetti possiamo osservare solo la direzione della loro posizione nel cielo (e non la distanza) e la luminosità (o magnitudine) apparente. Quest’ultima si può tradurre in un’informazione sulla grandezza dell’oggetto osservato solo se conosciamo la distanza dall’osservatore.
Le comete
Ci sono dei piccoli corpi celesti del sistema solare che sono stati osservati fin dall’antichità: le comete. Esse passano la maggior parte del tempo in regioni remote del sistema solare e quando arrivano in prossimità del Sole si riscaldano e si attivano, cioè sviluppano un fascio di emissioni gassose (a volte anche più di uno), la cosiddetta ‘coda della cometa’. Questi oggetti sono di grande interesse scientifico sia per la loro dinamica che per la composizione chimica, poiché ci possono dare informazioni sull’origine del sistema solare e della vita sulla Terra.
Molti di noi probabilmente hanno osservato la cometa C/1995 O1 Hale-Bopp, passata vicino al Sole nel 1997 e rimasta visibile dalla Terra per molti mesi, oppure C/2006 P1 Mc Naught, visibile tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007. Più di recente, nel 2013, abbiamo potuto osservare le comete C/2011 L4 Pan-STARRS, e C/2012 S1 ISON. Alcune di esse sono periodiche, cioè ripassano in prossimità del Sole a intervalli regolari: la più nota al pubblico è la cometa di Halley, il cui ultimo passaggio risale al 1986, e non si rivedrà da queste parti del sistema solare prima del 2061.
Come ha fatto Edmund Halley a scoprire che questa cometa, osservata nel 1682, era la stessa che Petrus Apianus osservò nel 1531 e Johannes Kepler nel 1607? E come è riuscito a prevederne il passaggio successivo, nel 1758? Halley disponeva solo di alcune osservazioni di comete fatte al momento del loro passaggio in prossimità del Sole e riuscì a risolvere un problema di determinazione orbitale, calcolando un’approssimazione per le loro orbite che permetteva di confrontarle e di fare previsioni. Vediamo quali strumenti matematici poteva utilizzare per affrontare questo problema.
La rivoluzione scientifica di Newton
- introdusse le leggi della dinamica;
- trovò la legge di attrazione gravitazionale tra due corpi puntiformi (punti materiali);
- dimostrò che l’attrazione gravitazionale al di fuori di una sfera piena omogenea è uguale all’attrazione di un corpo puntiforme che ha massa uguale a quella della sfera e si trova nel suo centro: in questo modo aveva senso considerare i pianeti come punti materiali;
- ridusse il problema dei due corpi al problema di Keplero, che consiste nel determinare il moto di un corpo solo che si muove in un campo centrale nel quale l’intensità della forza è proporzionale all’inverso del quadrato della distanza del corpo dal centro;
- risolse completamente il problema di Keplero, mostrando in particolare che le traiettorie delle soluzioni sono sezioni coniche.
Newton propose anche un metodo per calcolare l’orbita delle comete, approssimando la loro traiettoria con una parabola. Halley nel 1705 determinò l’orbita di 24 comete con il metodo di Newton e osservando la somiglianza tra le traiettorie paraboliche calcolate per 3 di esse, il cui passaggio vicino al Sole era avvenuto a circa 75 anni l’uno dall’altro, congetturò che fossero stati osservati 3 passaggi di una stessa cometa periodica (la cometa di Halley).
Gli asteroidi
La sera del 1 Gennaio 1801 Giuseppe Piazzi, mentre lavorava all’osservatorio di Palermo per produrre un catalogo stellare, scoprì il primo asteroide e lo chiamò Cerere.
Orbite preliminari
Per calcolare un’orbita è importante avere una buona approssimazione iniziale, cioè una buona orbita preliminare. Esaminiamo alcuni aspetti del problema: un asteroide viene osservato da un punto sulla superficie della Terra, che ha un moto di rotazione propria e di rivoluzione attorno al Sole. Il centro del Sole è anche il centro di forza del campo gravitazionale che agisce sull’asteroide nel nostro modello e corrisponde quindi ad un fuoco della sezione conica che vogliamo calcolare, che rappresenta la traiettoria dell’asteroide.
Nello schema di Gauss si usano 3 osservazioni, cioè 3 direzioni a 3 tempi diversi, abbastanza vicini tra loro. Ciascuna direzione è individuata da una coppia di angoli \((\alpha, \delta)\), tipicamente l’ascensione retta e la declinazione dell’oggetto. Non si conosce però la distanza dell’asteroide dall’osservatore (e quindi nemmeno quella tra l’asteroide e il Sole). Il problema è ulteriormente complicato dal fatto che la luce ha velocità finita, per cui l’epoca dell’orbita calcolata dipende dal valore di questa distanza. Imponendo che i vettori che danno la posizione eliocentrica dell’oggetto ai tre tempi siano su uno stesso piano, usando la dinamica a due corpi, e facendo delle approssimazioni, Gauss riuscì a scrivere un’ equazione polinomiale di grado 8 per la distanza dell’asteroide dal Sole al tempo intermedio delle osservazioni. Da questo dato descrisse poi come calcolare un’orbita, sempre tramite le leggi del problema di Keplero.
Prima di Gauss anche Pierre Simon de Laplace inventò un metodo di determinazione orbitale, nel quale si assume per semplicità che le osservazioni siano fatte dal centro della Terra, e anche in questo caso si ottiene un’equazione di grado 8 per la distanza dell’asteroide dal Sole. Una descrizione completa dei metodi di Laplace e Gauss e di alcune successive modifiche di essi si trova nel libro ‘An Introduction to Celestial Mechanics’ di Forest Ray Moulton, dove si accenna anche al contributo di Lagrange a questo problema.
Laplace versus Gauss
I metodi di Laplace e di Gauss per il calcolo di orbite preliminari sono stati rivisitati e modificati nel corso degli anni e c’erano sostenitori dell’uno e dell’altro. Notiamo che anche Henri Poincaré scrisse una memoria molto interessante sull’argomento, pubblicata nel 1906. Questa disputa tra i due metodi arrivò persino all’International Congress of Mathematicians del 1912, tenutosi a Cambridge (UK), dove Armin Leuschner presentò una comunicazione nella quale asseriva la superiorità del metodo di Laplace con le modifiche da lui apportate. Probabilmente a quel tempo il giudizio in favore di un metodo piuttosto che di un altro dipendeva molto dal fatto che il metodo permettesse di calcolare una soluzione in un tempo ragionevole. Ricordiamo che, prima dell’introduzione del calcolatore elettronico, negli osservatori astronomici c’era la figura professionale del calcolatore: una persona che faceva calcoli lunghissimi a mano.
Intermezzo: satelliti artificiali e space debris
A partire dal lancio dello Sputnik (1957) il cielo si è popolato di satelliti artificiali, che orbitano intorno alla Terra. Tra questi c’è la stazione spaziale internazionale (ISS), che ha un’altezza dal suolo tra i 320 ed i 400 Km; a volte il suo passaggio può essere osservato a occhio nudo. . Per chi fosse interessato Sul sito Heavens Above si trova un elenco dei passaggi visibili della ISS.
Nuovi problemi di determinazione orbitale
Con i progressi fatti nella progettazione e costruzione dei telescopi ottici, l’introduzione prima delle lastre fotografiche e poi, negli anni 90, dei CCD (Charged Coupled Devices) si può adesso ottenere un numero enorme di osservazioni di asteroidi per notte. I telescopi più potenti (per esempio Pan-STARRS 1, sul monte Haleakala nelle isole Hawaii) usati per le surveys, cioè per una scansione sistematica del cielo, possono ottenere più di 10.000 osservazioni per notte (vedi la pagina web di AstDyS-2) e quelli in fase di progettazione (per esempio LSST) dovrebbero superare abbondantemente le 100.000. Si ha dunque il problema di identificare osservazioni fatte in notti diverse come relative allo stesso oggetto celeste. Per far questo si può tentare di verificarne la compatibilità provando a calcolare delle orbite. Bisogna però tenere sotto controllo la complessità computazionale del procedimento di identificazione, per questo servono nuovi metodi. Tra gli obiettivi attuali in questo campo c’è quindi quello di riuscire a utilizzare con profitto il numero enorme di osservazioni, cioè far sí che i nuovi metodi di determinazione orbitale stiano al passo con le nuove tecniche osservative.
Giovanni Federico Gronchi, Dipartimento di Matematica, Università di Pisa