Storie che contano è un progetto per esplorare la matematica e le sue tantissime branche con una lente diversa: quella della scrittura. Inauguriamo, con uno scritto di Massimo Ferri, la nostra nuova raccolta di racconti che omaggia, con il suo nome, un omonimo libro dei Rudi Mathematici. Buona lettura!
Massimo Ferri, “La dea sdegnosa”
All’improvviso. Occhi spalancati nel buio. Guardo la sveglia: le tre passate. Sorrido. Da quanti anni non mi succedeva? Sveglio, devo essere sveglio. Ma lo sono. Non deve scappare non deve scappare non deve scappare. Mi alzo in silenzio, per non svegliare mia moglie. Vado a passi cauti nello studio, accendo la lampada del mio tavolo. Carta. Matita. Bisogna provare. Subito. Non è stato un sogno. Mi sono svegliato così, con l’idea. Mica che mi fossi addormentato pensandoci! Eppure l’idea mi ha svegliato come un cagnolino affamato. E ora la metto alla prova.
Sono decenni che inseguo questo problema; quando avevo trent’anni gli dedicai praticamente un anno intero; senza successo. Trovare un invariante dei graph-encoded-manifolds (gem, per gli amici) che passi attraverso alle trasformazioni inventate da me e Carlo. Possibile che una parte del mio cervello sia andata avanti per conto suo? Poincaré capì tutto sui gruppi fuchsiani entrando in una carrozza, durante una gita. Non pensarci aiuta? Forse questa è la volta buona per me?
Bella la notte, per la matematica. Il mondo si tira da parte, lascia la scena alla bellezza misteriosa delle strutture. Tento con un esempio semplice. Ecco, almeno l’idea è coerente. Provo con un esempio un po’ più complesso, un gem che rappresenta la 3-sfera in modo strano. La “sfera giapponese”, lo chiamavamo, perché ottenuto da un esempio di due ricercatori di Yokohama. Ehi! Sembra che funzioni!
Mi rilasso un attimo. Come sarebbe bello. Niente di eclatante come la Congettura di Poincaré, niente premi danarosi o altro, ma uno strumento nuovo per esplorare le varietà tridimensionali, un nuovo ariete per tentare di sfondare il loro muro di segreti. Facile sognare la stima dei colleghi, le citazioni, i risultati che io o altri potremmo tirarne fuori.
Prendo coraggio. Ora facciamo le prove più serie. Attacco col gem più classico dello spazio proiettivo. Sì! Funziona! Calma. Calma calma calma. Ripasso meticolosamente il conto fatto sulla sfera giapponese. Tutto bene. Ora passiamo al “livello due”. Vediamo come si comporta questo invariante sugli spazi lenticolari L(7,1) ed L(7,2): se desse valori diversi, sarebbe già da pubblicazione di prim’ordine.
Mi piace, quando a lezione di Topologia Algebrica parlo di questi due spazi: forse i ragazzi sentono qualcosa nella mia voce, quando dico che sono amici privilegiati dei topologi tridimensionali, esempi perfetti per la ricerca di nuovi invarianti: non omeomorfi, ma omotopicamente equivalenti; bestie strane, affascinanti, meravigliose, eppure di una semplicità abbagliante.
Ecco, mi sudano le mani mentre traccio due coppie di poligoni concentrici di quattordici lati e poi unisco quelli esterni a quelli interni; prima radialmente; poi con scarto di due per L(7,1) e scarto di quattro per L(7,2). Ma quante volte l’ho fatto? Mi sento tutt’uno con quel me stesso di tutte le volte che ho messo alla prova altri candidati su questi due diagrammi; avevo la barba nera e diversi chili in meno, ma sono la stessa persona.
Il tempo sparisce; il mondo è tutto qui, in questi due disegni. È come se entrassi in questi due spazi, universi che non esistono, pure costruzioni mentali che si lasciano imprigionare in due disegnini. Con lenta cura eseguo il mio calcolo. Sull’uno. Sull’altro. È così bello quello che sto facendo. Calpesto neve vergine, guardo un panorama mai visto da occhio umano. Come i fratelli matematici di ogni tempo, che sento vicini qualunque fosse il loro problema; desideroso anch’io di un Eureka liberatorio.
Batto il pugno sul tavolo. No, porco mondo! Stesso numero. Il mio invariante non li distingue. Mi viene un sospetto; anzi, IL sospetto. Possibile che anche questa volta?…
Con calma nervosa provo a ragionarci; mani dietro alla testa, sguardo verso il soffitto buio. Che cacchio di rapporto ci può essere col gruppo fondamentale? Ma ecco, come girando in una casa di specchi, vedo la strada. Sì, accidenti: ora vedo. Quello che ho inventato non è altro che un travestimento del gruppo fondamentale, cioè il più vecchio e conosciuto degli invarianti. Niente, assolutamente niente di nuovo. Delusione nera. Idea del piffero.
Torno al buio in camera da letto. Mia moglie non si è accorta di niente. M’infilo silenzioso nel letto. Peccato, accidenti. Però. Però è stato bello, come sempre, anche se frustrante. La Matematica, dea sdegnosa, amante esigente e sfuggente, mi ha svelato il suo volto seducente ma l’ha nascosto subito, negandomelo anche stavolta. C’è chi ha la fortuna di ammirarlo, accarezzarlo. Io no; non ancora; non stanotte. Ma anche solo il sentore di tanta bellezza è un privilegio. Mi addormento sorridendo.
Note
- I gem sono rappresentazioni di varietà mediante grafi.
- Lo studio delle varietà tridimensionali è particolarmente affascinante, perché è ancora ricco di misteri e perché il nostro spazio ne è un caso particolare.
- Gli spazi lenticolari costituiscono una famiglia di varietà tridimensionali molto interessante, la cui costruzione generalizza una delle possibili definizioni dello spazio proiettivo.
- Il gruppo fondamentale è un invariante molto potente per distinguere spazi topologici.
L’autore
Massimo Ferri è stato Professore ordinario
di Geometria presso l’Università di Bologna.
Si è sempre occupato di topologia e delle sue applicazioni.
Il pensionamento gli consente di ampliare l’attività
di divulgatore e di autore di fantascienza.
Fa parte del comitato editoriale di MaddMaths!.
Il racconto è scaricabile qui nei formati PDF, ePub e AZW3.
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Per maggiori informazioni, contattare Alice Raffaele, curatrice della raccolta.