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Durante la Scuola Estiva di Fisica Matematica di Ravello il nostro Marco Menale ha intervistato Chiara Saffirio, Assistant Professor presso l’Università di Basilea e fresca vincitrice nel 2021 del Premio UPAP.

Marco Menale: Ciao, Chiara, complimenti per il premio che hai ricevuto. Prima di tutto come stai dopo quasi due anni di pandemia?

Chiara Saffirio: A Zurigo, dove vivo, non abbiamo avuto molte restrizioni. Tuttavia è mancata molto l’interazione con i miei studenti dei corsi di fisica matematica ed analisi; sembra che questo semestre riparta tutto in presenza. Nel mio caso l’inizio della pandemia è coinciso con la nascita del secondo figlio, quindi sono stata molto occupata. Fortunatamente anche loro riprenderanno la scuola e la mia ricerca dovrebbe beneficiarne.

MM: Come sei finita a diventare Assistant Professor a Basilea?

CS: Ho studiato Matematica alla Sapienza fino al dottorato in Fisica Matematica con Mario Pulvirenti, e lì mi sono occupata della derivazione di equazioni cinetiche, come Boltzmann e Landau. Già durante il dottorato ho cominciato a spostarmi. Prima sono stata a Parigi da Laurent Desvillettes, occupandomi di PDEs come l’equazione di Vlasov-Poisson, e poi il post-doc a Bonn con Benjamin Schlein, uno dei maggiori esperti di meccanica quantistica. Poi sono stata a Zurigo cinque anni, prima di diventare Assistant Professor a Basilea.

MM: Quanto è stato importante il viaggiare così tanto?

CS: Moltissimo. Cambiare università è un modo per vedere argomenti diversi: nessuna può essere specializzata in ogni ramo della matematica. Nel mio caso, è stato Mario Pulvirenti a spingermi verso la Francia nel corso del dottorato. Avrei avuto l’occasione di continuare sempre in Francia per un post-doc, ma ho deciso di cambiare ambiente e vedere cose diverse dalla teoria cinetica, per questo sono finita a Bonn a lavorare con Schlein sulla meccanica quantistica. Appena si è presentata l’opportunità di trasferimento a Zurigo ho subito accettato. Il viaggiare mi ha permesso di imparare tantissimi strumenti matematici diversi, e mi ha aperto la mente, tre le altre, sul funzionamento del sistema dei GRANT. Infatti la mia attuale posizione è un grant del fondo nazionale svizzero.

MM: Quindi hai diversi termini di paragone per dire come è messa l’università e la ricerca in Italia.

CS: La preparazione di base in Italia è davvero buona, infatti gli studenti italiani possono accedere a qualunque posizione dopo la laurea in Matematica. Il livello del dottorato in Italia lo trovo buono, anche se consiglio di arricchirsi con un’esperienza all’estero per i motivi precedenti. Per quanto riguarda la ricerca, in Svizzera, ad esempio, la burocrazia è molto semplificata. Per questo motivo la gestione di un gruppo di ricerca è ottimale e non ci si perde tra maree di carte. I professori possono dedicare il loro tempo a ricerca, didattica e formazione di dottorandi e post-doc. Tuttavia in Svizzera meno del 10% della popolazione adulta si iscrive ad un’università, quindi di università ce ne sono poche, come anche di posizioni permanenti. Sono tante le posizioni non-permanenti a disposizione. Queste posizioni sono assegnate direttamente dai professori, senza nessun concorso: si cercano solo persone che lavorino bene.

MM: Di cosa ti occupi tu?

CS: Attualmente mi occupo di derivazione di equazioni effettive a partire da sistemi a molti corpi; tra queste ci sono anche le equazioni cinetiche. I sistemi a molti corpi sono sistemi multi-particellari interagenti, come un gas, classico o quantistico. Sono sistemi estremamente complessi e difficili da studiare. Sono interessata ad equazioni (effettive) che non descrivono il comportamento delle singole particelle, ma il comportamento medio del sistema. Cerco di capire come rendere rigoroso il passaggio dal problema particellare ad uno che riguardi il comportamento collettivo, facile da implementare numericamente così da avere previsioni quantitative e qualitative. Per fare questo serve conoscere fisica classica, fisica quantistica, PDEs, metodi di meccanica statistica del non-equilibrio. Negli ultimi anni sto lavorando molto in analisi semiclassica che può essere visto come un modo per far comunicare il mondo classico con quello quantistico.

MM: Dove possiamo “vederli” questi modelli?

CS: L’equazione di Boltzmann è un prototipo per descrivere gas rarefatti e non solo. La si può utilizzare per descrivere modelli biologici, socio-economici, epidemiologici e per predire i risultati di un’elezione. Negli ultimi tempi è stata utilizzata anche nell’ambito del Machine Learning per sviluppare tecniche con cui estrarre da “enormi” quantitativi di dati solo alcuni specifici. Un altro esempio è l’equazione di Vlasov che descrive i plasmi in astrofisica.

MM: Quale è il problema “più grosso” nel tuo ambito di ricerca?

CS: Giustificare l’equazione di Boltzmann su di una scala di tempo lunga; fare questo significherebbe, con gli altri risultati presenti in letteratura, risolvere il sesto problema di Hilbert. Ci sono stati dei progressi, ma il problema è completamente aperto. Gli ultimi sviluppi sono stati ottenuti per l’equazione lineare o linearizzata nel 2015 da Thierry Bodineau, Isabelle Gallagher e Laure Saint-Raymond; a questo gruppo si è unito di recente anche il mio amico e collaboratore Sergio Simonella. Ma sul non-lineare non se ne sa nulla. Personalmente credo che la strada sia molto lunga, forse non abbiamo ancora gli strumenti matematici necessari per attaccare questo problema. Anche in meccanica quantistica alcuni problemi sono stati risolti solo con l’introduzione di nuove tecniche.

MM: Potresti essere proprio tu a risolverlo così da vincere un altro premio. A proposito di premi, come è andato con quello appena vinto? Ti ha cambiato la vita?

CS: Ho ricevuto una mail dal presidente dello UPAP (Union of Pure and Applied Physics) che mi informava di essere stata nominata e selezionata per questo premio. Durante l’ultimo Congresso Internazionale di Fisica Matematica di Ginevra ho ricevuto il premio proprio per i risultati ottenuti nei problemi a molti corpi, classici e quantistici, e la relativa derivazione rigorosa di equazioni effettive. L’ho vissuto come un incoraggiamento, una sorta di pacca sulla spalla di chi ti dice “stai facendo bene e continua così”. È stata una bella iniezione di fiducia dopo due anni vissuti così e i bambini che spingono a notte il mio lavoro.

MM: Tu, da donna e, poi, da mamma, ti sei mai sentita discriminata nel corso di questi anni?

CS: Se ho studiato matematica lo devo proprio ad una donna: la mia insegnante di matematica al Liceo (classico), persona incredibilmente carismatica. Durante gli anni universitari non mi sono mai sentita discriminata come donna. Al concorso per accedere al dottorato su 12 ammessi, solo in due eravamo donne. Da quel momento ho cominciato a tastare le difficoltà, fino ad una serie di “pressioni indirette” che ho ricevuto nel momento in cui ho deciso di costruire una famiglia. Purtroppo mi rendo conto che questo è un aspetto che colpisce anche i ricercatori uomini che certe volte lasciano per impieghi più stabili. Lo stare in Svizzera non mi ha aiutato dato che è molto piccola la porzione di donne che continua a lavorare dopo avere avuto dei figli. Non nego di essermi sentita diversa nei primi momenti: io in viaggio per lavoro, le mamme degli amici dei miei figli a casa per la maggior parte del tempo. Come in Italia, è una questione culturale. Faccio un esempio. Se a scuola un bambino è bravo si dice che è geniale, se lo è una bambina allora è diligente.

MM: Cosa proporresti?

CS: Purtroppo soluzioni non ne ho. Siamo pieni di “implicit-bias”. Anche il parlare troppo della questione femminile rischia di generare problemi. Basta poco che se una donna raggiunge una posizione di prestigio, non pochi sono convinti che l’essere donna l’abbia agevolata. Personalmente credo che sia importante fornire esempi di “persone nomali” che ce l’hanno fatta. Mi spiego meglio. Passa spesso l’idea che una matematica debba essere una persona un po’ strana e dedita al suo lavoro 24 ore su 24, senza alcuna possibilità di interesse esterno. Invece, bisogna favorire il racconto di donne che ce l’hanno fatta nella normalità, con una famiglia e con dei bambini o con altri impegni extra-lavorativi. Certo, avere bambini limita il viaggiare, ma in questa direzione si potrebbero agevolare le giovani mamme. Faccio un esempio. C’è una conferenza, una matematica o un matematico porta con sé una persona di fiducia a cui lasciare il bambino, almeno nei primi anni, con tutte le spese coperte. Solo con queste azioni dirette è possibile evitare la discriminazione nei confronti di chi decide di avere figli.

MM: E nel tuo caso?

CS: Ho attraversato periodi difficili, soprattutto con il primo figlio, avuto quando ero post-doc da 2 anni. Ringrazio mio marito, i miei genitori ed i colleghi che non mi hanno mai fatto sentire sola in quei momenti quando le difficoltà nel conciliare gli impegni e i viaggi rischiavano di farmi pagare un conto amaro. Come già detto, con il secondo bambino c’è stato uno strano appoggio: la pandemia. In questo momento io sono impegnata qui a Ravello per la Scuola di Fisica Matematica e mio marito è in Svizzera con il bambino più grande, mentre mia suocera si prende cura del piccolo. Io sono per la normalità nella matematica e non ho mai voluto abnegare tante aspettative in quell’unica direzione.

MM: Quindi, oltre la matematica, quali passioni hai?

CS: La famiglia in assoluto, tengo molto alla formazione ed alla crescita dei bambini. Amo la montagna. Prima facevo climbing, ora, con i bambini, io e mio marito ci siamo dati all’hiking. E poi… la barca a vela. So che vivendo in Svizzera sembra strano, ma abbiamo il lago. Infine, non per importanza, c’è il pianoforte. Sto riprendendo il ritmo, dato che accompagno mio figlio più grande con il suo violoncello. Eh sì, alla fine matematiche e matematici sono persone come altre.

Marco Menale

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