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Una dritta per chi vuol mettersi in affari: armarsi di matita e righello e mettersi a studiare i punti di intersezione delle rette in un piano. E se proprio gli affari non vanno bene, potreste comunque scoprire una teoria da Nobel in Economia…

 

Più produco e più guadagno. Un’affermazione che sembra sensata, ma un’analisi un po’ più approfondita può riservare delle sorprese. A prima vista sembra addirittura banale ottenere un’elegante dimostrazione di quella affermazione, utilizzando il seguente modello. Sia q la quantità prodotta, sia c il costo unitario (cioè il costo per unità di quantità prodotta) e sia p il prezzo di vendita unitario (ovvero, il prezzo che mi viene pagato per una quantità unitaria). Fin dalle scuole elementari abbiamo imparato a calcolare il ricavo come quantità per prezzo, R=pq, e il profitto come differenza fra ricavo e costo totale, dove il costo totale si ottiene, in modo analogo, come prodotto fra costo unitario e quantità prodotta, C=cq, da cui

Profitto = R – C = pq-cq = (p-c)q.

Da questo ragionamento otteniamo il seguente

Teorema: Se il prezzo di vendita è maggiore del costo unitario di produzione, in simboli se p>c, allora più è elevata la produzione q e più è elevato il profitto.

Proprio quello che si voleva dimostrare.

Ma se così fosse ogni produttore tenderebbe a produrre sempre di più e avremmo il pianeta ricoperto di fabbriche. Cosa non va in questo modello?

In effetti c’è un’ipotesi poco realistica, che consiste nell’assumere che tutto quello che si produce poi si vende, indipendentemente dalla quantità prodotta. Un’ipotesi sicuramente da rivedere.

In altre parole, nel modello proposto è stato trascurato il ruolo dei consumatori. Non sempre i consumatori sono disposti ad acquistare tutta la produzione immessa nel mercato al prezzo preteso dal produttore. Allora questo, pur di non rimanere con merce invenduta, abbasserà i prezzi. Ma se la produzione è davvero eccessiva i consumatori non vorranno saperne di acquistare tutto quello che si produce, nemmeno se la merce venisse regalata, cioè nemmeno con p=0. In definitiva, il prezzo non è indipendente dalla quantità, nella realtà risulta essere una funzione decrescente della quantità. Il caso più semplice di funzione decrescente è la funzione lineare, il cui grafico è una retta, come in figura 1, la cui espressione si può scrivere come p = a -bq, dove a e b sono coefficienti che esprimono, rispettivamente, l’intercetta della retta con l’asse dei prezzi (quello indicato nel grafico come massimo prezzo che i consumatori sono disposti a pagare quando la merce è molto rara, di più non possono per gli usuali vincoli di bilancio, ovvero perché non bastano i soldi) e la pendenza della retta.

Fig. 1

Con questa ipotesi, che rende più realistico il modello economico, cambia anche l’espressione dei profitti in funzione della quantità prodotta, e di conseguenza cambierà anche il teorema. Ora il ricavo, tenendo conto del legame fra prezzo e quantità, diventa R=pq=(a-bq)q, e di conseguenza avremo

Profitto = R-C = (a-bq)q -cq = – b q2 + (a – c) q

il cui grafico è una curva ben nota a ogni studente dei primi anni delle scuole medie superiori: una parabola.

Si tratta di una parabola concava, come quella della figura 2, caratterizzata da un bel punto di massimo, il centro della gobba. Non è difficile rendersi conto che in questo nuovo modello i profitti sono nulli non solo quando produco q=0 (ovviamente se non produco con guadagno) ma anche quando produco troppo, ovvero per q³(a-c)/b. E a metà fra questi due valori sta la produzione che mi dà il massimo guadagno.

Il teorema va quindi riformulato come segue:

Se la mia produzione è minore di (a-c)/2b allora aumentando la produzione guadagno di più; se invece è uguale o superiore a quel valore … allora se aumento la produzione sono un cretino.

Anzi, se ho per caso prodotto di più mi conviene distruggere o nascondere la produzione in eccesso, perché il massimo profitto lo ottengo solo con produzione pari a (a-c)/2b.

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Fig. 2

Questo teorema, che potremmo chiamare il teorema del monopolista, ci spiega perché, in assenza di concorrenza, cercare di rendere massimi i profitti porta a limitare la produzione per mantenere sufficientemente elevati  i prezzi. È ben noto che si arriva persino a distruggere i propri prodotti, come nel caso di certe produzioni agricole, se la produzione è stata eccessiva. Certo che il consumatore, invece, preferirebbe averli a prezzo minore…

Ma per un monopolista l’obiettivo è chiaro e la soluzione semplice: se vuole rendere massimo il guadagno non deve produrre troppo poco, ma nemmeno eccedere.

Ma cosa succede se i produttori sono due, ovvero se invece di un monopolio abbiamo un duopolio?

È facile modificare il modello economico. Indichiamo le due imprese che producono lo stesso bene come impresa 1 e impresa 2, e denotiamo con c1 e c2 i rispettivi costi unitari (in genere saranno diversi se usano diverse tecnologie per produrre, o pagano salari diversi ai lavoratori ecc.), e siano q1 e q2 le quantità prodotte dall’impresa 1 e 2 rispettivamente.

Il prezzo corrente del bene prodotto da entrambi sarà come al solito una funzione decrescente della quantità totale immessa nel mercato, solo che ora sono due le imprese ad arricchire il mercato del prodotto considerato e quindi la quantità totale q sarà la somma di q1 e q2, ossia q = q1+q2. In altre parole il prezzo sarà

p = a – b q = a – b ( q1 + q2)

Detto ciò, possiamo facilmente calcolare i rispettivi profitti:

Profitto produttore 1 = Ricavo1 – Costo1= pq1 – c1q1  = [ a – b ( q1 + q2 )]q1 – c1q1=

Profitto produttore 2 = Ricavo2 – Costo2= pq2 – c2q2  = [ a – b ( q1 + q2 )]q2 – c2q2

Le cose si sono un po’ complicate. Infatti ora il profitto del produttore 1 non dipende solo dalla sua produzione q1, che è quello su cui può decidere (la sua variabile decisionale), ma dipende anche dalla produzione del suo concorrente, cioè q2, variabile sulla quale non ha alcun controllo. Anzi il produttore 1 nemmeno sa quanto il suo concorrente ha intenzione di produrre. Se lo sapesse potrebbe regolarsi di conseguenza in quanto, una volta nota q2 il produttore 1 può disegnare la ben nota parabola

Profitto produttore 1 = – bq12 + (a – c1 –bq2 )q1

che in questo caso raggiunge il valore massimo in un punto che dipende dal valore di q2, essendo dato da:

q1max=0.5(a-c1-bq2)/b

Poco male, penserà il produttore 1, vorrà dire che mi conviene aspettare per vedere quanto decide di produrre il mio concorrente e poi mi regolerò di conseguenza producendo la quantità q1max che ho appena calcolato. Ma il vero problema è che anche il produttore 2 si trova esattamente nella stessa situazione, e anche lui penserà che gli conviene attendere la decisione del produttore 1 per prendere la propria decisione ottimale che gli darà il massimo profitto in funzione della produzione dell’altro. Un tipico circolo vizioso: il produttore 1 aspetta la decisione del produttore 2 per poter decidere, e analogamente il produttore 2 aspetta la decisione del produttore 1 per prendere la propria decisione. Non se ne esce, un tipico problema senza soluzione.

Ma dove i ragionamenti sembrano troppo complicati ci vuole un po’ di matematica per schematizzare le cose, ed è proprio quello che è accaduto nel 1838 quando il matematico francese Antoine Augustin Cournot, nel suo trattato dal titolo Récherches sur les principes matématiques de la théorie de la richesse, affrontò il problema in questi termini.

Se il produttore 1 calcola, per ogni possibile produzione q2 del suo concorrente, la propria produzione ottimale in base alla relazione q1max=0.5(a-c1-bq2)/b ottiene come grafico una retta (infatti è una funzione di primo grado in q2) che rappresenta il luogo delle sue produzioni ottimali al variare della produzione del concorrente.

Analogamente, il produttore 2 può calcolare, per ogni possibile produzione q1 del suo concorrente, la propria produzione ottimale in base alla relazione q2max=0.5(a-c2-bq1)/b, ottenendo quindi anche lui come grafico una retta che rappresenta il luogo delle sue produzioni ottimali al variare della produzione del concorrente.

Bene, disse Cournot, se riportiamo le due rette sullo stesso piano, come in fig, 3, si vede in modo evidente, chiaro come il Sole, che esiste un solo punto che è ottimale per entrambi: il punto di intersezione. Come calcolarlo? Semplicissimo per un matematico: basta risolvere il seguente sistema lineare di due equazioni in due incognite q1 e q2:

2bq1+bq2=a-c1

bq1+2bq2=a-c2

calcolo che qualunque studente di primo anno si scuole medie superiori è in grado si fare.

Ebbene, questa brillante soluzione, proposta da Cournot nel 1838, costituisce un primo esempio di Equilibrio di Nash, introdotto in modo più generale nel 1950 dal matematico John Nash (proprio quello del film “A beautiful mind”) e che da allora diventò uno dei concetti centrali della teoria dei giochi che si è sviluppata a partire dagli anni ’30. Tra l’altro per questi studi John Nash ha addirittura vinto il premio Nobel per l’Economia nel 1994. Se vi sembra poco…

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Fig. 3

 

di Gian Italo Bischi

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