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La sfera, la palla, è un oggetto che sin da piccolissimi ha familiarità con noi. Eppure il suo studio è confinato di solito all’ultimo anno di ogni ciclo scolastico quando da un lato, l’attenzione aperta del bambino nel gioco ha già lasciato il posto alla scrivania e quando lo studente ha già iniziato a percepire la sfera come appartenente esclusivamente a un mondo astratto e lontano, privo di fascino e meno degno di interesse, che identifica nella geometria…

L’etimologia della parola sfera, dal greco σφαιρα (sphaira) ovvero palla, ci suggerisce, con un’immagine chiara ed evocativa, la familiarità che abbiamo con questo oggetto. Eppure sui banchi di scuola sembriamo dimenticare questa familiarità. E il nostro approccio cognitivo, per l’influenza di fattori di diversa natura, si carica di un forte pregiudizio che limita la capacità di apprendimento facendoci percepire questa palla come un oggetto distante, quasi sconosciuto e soprattutto complicato e astruso.

Ecco che la percezione che abbiamo dello stesso oggetto cambia radicalmente. Da bambini giochiamo con la palla e nel gioco facciamo un’esperienza priva di giudizio personale e del condizionamento derivante dall’attesa di una valutazione proveniente da un’altra persona. Avviene così che sin da bambini prendiamo confidenza con questo oggetto osservandolo e toccandolo e ne intuiamo alcune proprietà: non ha un verso, non ha un inizio e una fine, mi fa scivolare, ecc.: attraverso l’intuizione il bambino fa propri alcuni concetti che in matematica vengono espressi in definizioni. Anche se nessuno aiuta il bambino a nominare, primo passo del formalizzare, queste intuizioni, ciò non significa che egli non conserverà quel sapere originato dall’esperienza personale.

A livello didattico si possono ottenere risultati estremamente interessanti aiutando i bambini in questo processo di formalizzazione nell’età in cui il gioco, la curiosità e un’innata disponibilità alla scoperta costituiscono un importante sostegno al processo di apprendimento anche formale. Eppure lo studio della palla, o sfera che dir si voglia, è confinato di solito all’ultimo anno di ogni ciclo scolastico quando da un lato, l’attenzione aperta del bambino nel gioco ha già lasciato il posto alla scrivania e quando lo studente ha già iniziato a percepire la sfera come appartenente esclusivamente a un mondo astratto e lontano, privo di fascino e meno degno di interesse, che identifica nella geometria, e dall’altro quando gli argomenti del programma scolastico vengono trattati in modo più frettoloso.

La sfera, al di fuori del contesto scolastico, è oggetto di studio, da diversi punti di vista, di disparate discipline. L’astronomia, la fisica e la matematica gravitano attorno a questo solido in un affascinante connubio.

Ho chiesto a due bambini di seconda elementare di dirmi cosa immaginavano pensando a una sfera, entrambi mi hanno risposto: la palla, la Luna, il Sole, la Terra; uno solo ha detto anche: la faccia e gli occhi, mentre l’altra ha citato anche la sfera di cristallo della maga. Gli elementi del cielo, una stella, un satellite e un pianeta, sono secondi solo alla palla nell’immaginario di questi bambini. Le associazioni di questi piccoli studenti probabilmente non affondano le radici nelle teorie di Parmenide, che paragonava il mondo a una sfera per rappresentarne la perfezione e la totalità, ma sono sicuramente partecipi di una concezione culturale occidentale che ci coinvolge tutti, la cui origine possiamo far risalire ai Greci. Già Eratostene sapeva che la Terra fosse sferica e ne calcolò il cerchio massimo e quindi il raggio, tuttavia la forma del nostro pianeta nel corso dei secoli non è stata sempre data per scontata. Sappiamo che la Terra non è propriamente sferica, che è schiacciata in modo asimmetrico ai poli e che ci sono emergenze orografiche (a seconda dell’interesse con cui guardiamo un oggetto abbiamo bisogno di far emergere o meno alcune delle sue caratteristiche: la Terra vista da un geologo è in qualche modo diversa da quella considerata da un viaggiatore o da un astrofisico, ecc.)ma, a livello didattico, una sfera bianca ci permette di fare alcune osservazioni e riflessioni in maniera chiara ed efficace. Lavorare in classe partendo da una sfera completamente bianca e liscia offre degli spunti di riflessione e confronto per gli studenti molto particolare, ma ciò che è più interessante è l’emergere di convinzioni stereotipate e non basate sull’osservazione, che non sfuggono agli occhi di un insegnante attento.

Per questo può essere interessante, prima di cominciare a lavorare con degli oggetti manipolabili e di fare le prime osservazioni, chiedere agli studenti quali sono le loro attese sul fenomeno che si andrà a osservare. Che cosa succede se esponiamo al Sole una sfera bianca? Per prima cosa osserveremo che la sfera fa ombra. Le osservazioni che possono sembrare scontate portano a ragionamenti deduttivi interessanti e a costruire un sapere comune, perché il ragionamento parte dall’osservazione di molte persone e non di una sola. Se osserviamo con attenzione vedremo che una parte della sfera è in luce, una in ombra (ombra propria) e che la sfera produce un’ombra al di fuori di sé (ombra portata) ad esempio sul corpo che la sostiene. Quanta parte di sfera è in ombra e quanta in luce? E che tipo di forma produce l’ombra portata di una sfera?

Per la prima questione verificheremo che è sempre metà sfera che viene illuminata, in qualsiasi ora della giornata. La linea che separa luce e ombra sulla sfera, il terminatore, descrive e divide la metà illuminata dall’altra: è un cerchio massimo della sfera, che si trova su un piano secante immaginario, passante per il centro di questa, che divide perfettamente la sfera in due semisfere. Se osserviamo la stessa sfera esposta al Sole, sempre nella stessa posizione, durante la giornata, ci accorgeremo che sia l’ombra propria sia quella portata sembrano muoversi: esse occupano spazi differenti in tempi differenti. Il piano secante la sfera è distinto in ogni momento, ma divide sempre la sfera a metà, quindi passa sempre per il centro della sfera. Ci possiamo domandare se si tratti di un fascio di cerchi massimi o meno. Per dare una risposta a questo quesito la nostre osservazioni e riflessioni non si potranno limitare a qualche osservazione: dovremo osservare la sfera biancaper un intero giorno.

La seconda questione riguarda l’ombra portata e la sua forma. La prima difficoltà che incontreranno gli studenti è realizzare che l’ombra non è una figura piana distesa a terra, attaccata a un corpo opaco, ma è essa stessa un solido. Questa scoperta ci può aiutare a compiere molte misurazioni, a lavorare sui triangoli e sulle coniche. Ma non approfondiremo in questa sede tali temi, concentrando l’attenzione sulla sfera.

Nelle riflessioni svolte fin qui abbiamo dato per scontati alcuni concetti che si possono dedurre dall’osservazione della sfera: i raggi del Sole ci arrivano paralleli (le nostre ombre, in ognimomento, sono dirette tutte nella stessa direzione), le ombre vanno nella direzione opposta a quella del Sole (se allora le nostre ombre cambiano direzione e lunghezza, quindi volume, nell’arco della giornata il Sole deve aver effettuato dei cambiamenti rispetto al nostro punto di vista), il Sole per noi è “infinitamente” lontano e quello che compie sulla nostra pallina bianca lo compie anche sulla Terra che è una palla “leggermente” più grande (rispetto alla distanza tra la Terra e il Sole).

Quest’ultimo è un passaggio delicato perché per la prima volta ci rendiamo conto che c’è un parallelismo tra la sfera bianca e la Terra. Le prime deduzioni, quelle immediate, mettono d’accordo tutti gli studenti: la parte di sfera in luce corrisponde al giorno e quella in ombra alla notte, la notte “è l’ombra della Terra”, il terminatore corrispondere alle albe e ai tramonti, ma in quali paesi? Cominciamo ad avere la necessità di identificare sulla sfera la nostra posizione e quella di alcuni luoghi “limite” quali i poli o l’Equatore.

Per le classi che portano avanti il lavoro di osservazione e disegno dei terminatori, più volte durante l’anno, potrà risultare evidente che nei giorni degli Equinozi tutti i terminatori passano per due punti e sarà possibile dedurre che il Sole, in quei giorni, sta “passando” allo Zenit sull’Equatore e, una volta disegnati tutti i terminatori sulla sfera bianca, non ci accorgeremo solo che si tratta dei cerchi massimi della Terra, ma che corrispondono ai meridiani terrestri che passano per due punti detti poli, e che questi,sulla sfera bianca, per noi che osserviamo dall’Italia, non corrispondono al punto più alto e al più basso della sfera stessa rispetto a un piano parallelo a quello dell’orizzonte. Nei giorni dei Solstizi si osserverà che i terminatori non si incontrano tutti in un punto, ma sono tangenti a due aree circolari: una sempre in luce e una sempre in ombra, intorno ai poli già identificati. Dedurremo che si tratta delle calotte polari e che in quei giorni il Sole sta “passando” allo Zenit sul Tropico del Capricorno o su quello del Cancro. Risulterà così sfatata la diffusa convinzione secondo cui a mezzogiorno non abbiamo ombra perché il Sole alla nostra latitudine non è mai allo Zenit.

Dalla sfera bianca al mappamondo parallelo

Per dare un volto alla palla bianca, sapere in tempo reale dove è giorno e dove è notte o in che direzione vanno le ombre nelle varie parti del mondo, basta sostituirla con un mappamondo posizionato allo stesso modo in cui è posizionata la Terra sotto i nostri piedi: noi lo chiamiamo mappamondo parallelo. È un passaggio che sembra rimettere in discussione tutte le certezze che avevamo acquisito lavorando con la sfera “muta”. Per questo vi rimandiamo al sito www.globolocal.net dove potete leggerci e saperne di più. Per scriverci invece: pedagogiadelcielo.didattica@gmail.com

Il mappamondo non è altro che la sfera bianca a cui vengono aggiunte le griglie dei meridiani e dei paralleli, oltre ai confini dei paesi. Ricordiamo comunque che si tratta di un modello utile per ragionare e osservare alcuni fenomeni: assumiamo che la Terra sia una sfera in cui il punto più in alto indica la posizione dell’osservatore. Il suo Zenit è indicato dalla direzione del filo a piombo.

Una volta arricchite e corroborate le conoscenze con nuove osservazioni e riflessioni con il mappamondo, potremo ancora lavorare con questo strumento che offre molteplici spunti di riflessione che coinvolgono le diverse discipline scientifiche e umanistiche.

Lo studio dei moti di rotazione e rivoluzione attraverso un oggetto a noi tanto familiare, che siconcretizza nel mappamondo osservato al Sole, perde così il carattere astratto e dogmatico che spesso percepiscono gli studenti quando sono obbligati a studiare solo con la bidimensionalità e la staticità dei libri.

Luisa Gioia

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