Un gruppo di ricercatori guidato da scienziati dell’Università di Oxford e dalla Northeastern University ha mostrato che la diffusione dell’epidemia da coronavirus in Cina si sarebbe potuta prevedere dall’analisi della mobilità umana.
La ricerca ha anche dimostrato che l’impatto delle restrizioni sui viaggi diminuisce con il crescere dell’epidemia e che quindi il tempo è un fattore chiave: le province al di fuori di Hubei che hanno agito in anticipo per testare, rintracciare e contenere i casi importati di COVID-19 hanno infatti ottenuto il massimo risultato nel prevenire o contenere focolai locali.
Come si legge sulla rivista Science, l’analisi dei dati di geolocalizzazione mobile di Baidu Inc., combinati con un ricco set di dati epidemiologici dell’Open COVID-19 Data Working Group, ha mostrato che la trasmissione da persona a persona locale è avvenuta ampiamente all’inizio dell’epidemia di coronavirus ed è stata mitigata dalle drastiche misure di controllo intraprese. Tra i casi segnalati al di fuori di Hubei, 515 avevano una storia di viaggio nota a Wuhan e una data di insorgenza dei sintomi prima del 31 gennaio 2020, rispetto a soli 39 dopo il 31 gennaio, a dimostrazione dell’effetto delle restrizioni ai viaggi nel ridurre la diffusione ad altre province cinesi.
“I nostri risultati mostrano che all’inizio della diffusione del coronavirus le restrizioni ai viaggi erano più efficaci nel prevenire l’importazione di infezioni da una fonte nota”, ha spiegato Moritz Kraemer dell’Oxford Martin Program on Pandemic Genomics e del Dipartimento di Zoologia dell’Università di Oxford. “Tuttavia, una volta che i casi COVID-19 hanno iniziato a diffondersi localmente, il contributo delle nuove importazioni è stato molto più ridotto. Un pacchetto completo di misure che include, tutte insieme, restrizioni di mobilità locale, test, tracciabilità e isolamento è riuscito a mitigare l’epidemia, e le province cinesi e altri paesi che hanno fermato con successo la trasmissione interna del COVID-19 devono fare attenzione alle modalità con cui ripristineranno i viaggi e la libertà di movimento per evitare la reintroduzione e la diffusione della malattia nelle loro popolazioni”.
Samuel V. Scarpino del Network Science Institute (NetSI) presso la Northeastern University aggiunge: “La volontà politica in molti Paesi è in ritardo rispetto alla diffusione del COVID-19. Le restrizioni di viaggio e mobilità sono le più utili all’inizio, quando la trasmissione locale non è ancora diventato un fattore. Dopo che la trasmissione è stata stabilita, funzioneranno il distanziamento fisico e la quarantena degli individui malati, anche se ci vorrà tempo”.
Visto che gli studi epidemiologici hanno dimostrato già da tempo questo impatto, c’è da chiedersi se il ritardo e l’inerzia (ad eccezione della sola Russia) nel limitare la mobilità non sia stata dettata dal prevalere degli interessi economici su quelli sanitari, a differenza invece di quanto si è fatto con la prima epidemia di SARS nel 2002 o non sia piuttosto il segno (cosa forse ancora più grave) di una inadeguatezza della rete di controllo internazionale che ha ampiamente sottovalutato il problema. Il risultato è ovviamente un’ecatombe con le gravissime conseguenze sull’economia globale cui si assiste ed un insegnamento che, se ci andrà bene, tornerà utile solo al prossimo caso di zoonosi emergente.