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In questi giorni sono apparsi alcuni articoli su vari giornali nazionali in cui si parla diffusamente del metodo analogico per insegnare la matematica nella scuola primaria, metodo proposto dal maestro in pensione Camillo Bortolato. Alcuni esperti di didattica della matematica ci hanno scritto una lettera in cui esprimono alcune perplessità a riguardo.

[Originariamente pubblicato il 28 febbraio 2018]

L’articolo de La Repubblica del 24 febbraio scorso sul cosiddetto “Metodo Bortolato” o “analogico” (metodo del quale anche altre testate hanno parlato, vedi qui e qui) ci ha molto colpito per il contrasto tra il prestigio del quotidiano su cui è stato ospitato e il taglio dell’articolo: articolo che acriticamente (anche rispetto all’attualità di alcune questioni: l’insiemistica a livello di scuola primaria è da tempo superata, non è certo una novità recente) e soprattutto senza far cenno a punti di vista diversi, promuove un metodo, molto diffuso anche per la potenza dell’editore, ma molto discusso nella comunità scientifica. Questo intervento è motivato non da questioni accademiche (d’altra parte, come scritto nel pezzo, il maestro Bortolato non si occupa di ricerca), ma dalla profonda convinzione che su argomenti così importanti che possono influenzare l’educazione, e dunque il futuro dei nostri bambini, tutti (e in particolare i grandi mezzi di comunicazione) debbano procedere con la massima cautela. Questo vale in particolare per l’insegnamento della matematica, materia ostica non solo ai bambini, ma anche a tanti maestri e maestre, che con tanta buona volontà, ma anche, spesso, con una storia di insuccessi in matematica e un rapporto difficile con la disciplina, potrebbero essere ben disposti verso un metodo che funziona e che fa amare la matematica a tutti i bambini, con poco sforzo.

E da qua partiamo: la matematica non sta nel biberon, come non sta nel biberon il linguaggio o il saper suonare uno strumento musicale. La matematica è un costrutto culturale e il suo apprendimento/insegnamento richiede sforzo, sforzo che ovviamente può essere piacevole (e qui interviene la didattica). Convincersi del contrario secondo noi è molto pericoloso sia per gli insegnanti che per gli allievi.

A prescindere da questa considerazione, il divertirsi ad imparare è una bellissima cosa, un obiettivo importantissimo, che però deve essere collegato agli obiettivi formativi legati all’insegnamento della disciplina. È qui che il metodo analogico presenta i problemi più grossi.

Innanzitutto perché riduce il ruolo formativo dell’educazione matematica a livello di scuola primaria e pre-primaria al (pur importante) far di conto. Un obiettivo molto limitato, che non solo contrasta con le Indicazioni Nazionali, ma anche con l’esperienza di tanti insegnanti di scuola dell’infanzia e primaria che portano avanti esperienze educative molto più complete riguardo alla matematica che il solo insegnare le tabelline.

Poi perché tale metodo è basato su tre aspetti, tra loro collegati, dal nostro punto di vista devastanti a livello educativo e lontanissimi dagli obiettivi fondamentali dell’apprendimento della matematica: l’abolizione delle spiegazioni, viste come un’inutile complicazione invece che l’educazione al voler sapere il perché delle cose in maniera a-gerarchica e all’imparare a difendere le proprie posizioni; l’attenzione focalizzata completamente sul risultato (il prodotto) piuttosto che sul processo di pensiero attivato per raggiungere un certo risultato; la costruzione di collegamenti puramente mnemonici basati su analogie senza nessun riferimento al concetto matematico. Quest’ultimo punto è particolarmente importante, perché su questo è basata la percezione del successo del metodo: i bambini ricordano alcuni prodotti e danno le risposte giuste in processi meccanici. D’altra parte, le cose imparate in questo modo, ovvero senza alcuna considerazione relativa ai perché e senza relazione ad altro sapere matematico, sono molto difficili da richiamare quando servono, in contesti leggermente diversi da quelli esatti in cui sono stati imparati (fenomeno del transfert noto nella ricerca educativa). E allora siamo sicuri che un metodo che permette, nel migliore dei casi, di ottenere risposte giuste (prodotti) in contesti meccanici sia significativo per l’apprendimento della matematica?

Noi crediamo di no, crediamo che l’insegnamento della matematica, soprattutto nel primo ciclo (ma non solo) debba in primo luogo insegnare il gusto di chiedersi e del cercare il perché delle cose, il gusto di argomentare le proprie posizioni in maniera coerente e articolata, proprio come richiedono le Indicazioni Nazionali per l’insegnamento.

È un obiettivo educativo molto più complesso di insegnare a dare risposte corrette a domande pre-confezionate, ma, proprio per questo, molto più affascinante per insegnanti e allievi.

Firmatari (in ordine alfabetico)

Giovannina Albano, membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiana di Ricerca in Didattica della Matematica (AIRDM)
Anna Baccaglini-Frank
Mariolina Bartolini Bussi
Pietro Di Martino
Benedetto Di Paola, membro del Consiglio Direttivo AIRDM
Francesca Ferrara, membro del Consiglio Direttivo AIRDM
Mirko Maracci, membro del Consiglio Direttivo AIRDM
Maria Alessandra Mariotti, presidente AIRDM
Maria Mellone
Antonella Montone, membro del Consiglio Direttivo AIRDM
Elisabetta Robotti
Cristina Sabena
Rosetta Zan

Roberto Natalini [coordinatore del sito] Matematico applicato. Dirigo l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr e faccio comunicazione con MaddMaths!, Archimede e Comics&Science.

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