Altro racconto, altro genere: stavolta vi proponiamo una storia frammentata a cui potrete aggiungere nei commenti, se vi va, un vostro personale pezzo. Buona lettura!
Giuseppe Giorgio Colabufo, “Inventario di macchine e macchinazioni”
La presente raccolta propone una sequenza di oggetti legati alla storia del calcolo e dell’astrazione algoritmica. Eppure, questo inventario non si configura come una collezione tecnica, bensì come un archivio di esperienze cognitive. Si tratta di una galleria di incontri, intuizioni e trasformazioni. Alcuni dei dispositivi presentati hanno insegnato a pensare, a scomporre problemi, a procedere passo passo verso una soluzione.
Il visitatore è invitato a leggere ogni voce come frammento di una storia più ampia: quella dell’intelligenza che ha imparato a dialogare con la macchina.
n. 1 – Abaco romano (riproduzione)
Datazione: 1984, riproduzione di originale del I sec. d.C.
Provenienza: Roma, Museo Nazionale Romano.
Stato di conservazione: buono; la cornice incrinata e le perle levigate dall’uso fanno parte della riproduzione.
Note: Da bambino contavo con le dita, poi ho scoperto che i Romani usavano l’abaco a bottoni, una tavoletta di bronzo con cursori che scorrevano in scanalature. Il numero non è una mera entità astratta, bensì un gesto, un ritmo (anche se non condividono l’etimo, è suggestiva la somiglianza col greco αριθμός). È stato il mio primo incontro con l’idea di algoritmo, anche se non conoscevo ancora la parola: “muovere”, “decidere”, “avanzare”.
n. 2 – Bastoni di Nepero
Datazione: 1991, riproduzione degli originali del 1617.
Provenienza: Aberdeen Science Centre.
Stato di conservazione: legno consumato, incisioni ancora leggibili.
Note: Cambiare prospettiva può ridurre ciò che sembra impossibile a una sequenza di passi elementari. Durante la scuola media, un professore mi mostrò i bastoni di Nepero. Mi colpì la loro semplicità: bastava accostare le asticelle per trasformare moltiplicazioni in somme. La difficoltà spesso non è nel problema, ma nel modo in cui lo affrontiamo. Da allora cerco la scomposizione giusta, la sequenza di passi che rende il complesso accessibile.
n. 3 – Regoli
Datazione: anni ‘90.
Provenienza: ritrovati in soffitta; li usava mia figlia a scuola.
Stato di conservazione: impolverati e leggermente scoloriti.
Note: I regoli traducono il numero in lunghezza, l’aritmetica in geometria. Attivano una sinestesia didattica: i numeri si vedono, si toccano, si dispongono nello spazio. Il colore guida la memoria, la forma suggerisce la relazione. Ricordo quando mia figlia li disponeva sul tavolo: il dieci come somma di due, tre e cinque. Osservandola ho intuito che contare non è solo accumulare, ma anche confrontare, comporre, misurare. È un pensiero che prende corpo, una matematica che si impara con gli occhi e con le mani.
n. 4 – Pascalina
Datazione: 2005, riproduzione novecentesca da originale del 1642.
Provenienza: rivenditore online.
Stato di conservazione: ingranaggi lucidi, leva incerta.
Note: Far girare le ruote di una Pascalina è come ascoltare un pensiero che si materializza. Non basta inserire i numeri: bisogna comprendere il meccanismo, il linguaggio della macchina. Lì ho capito che nessun calcolatore può sostituire la mente né pensare al posto nostro. Anzi, ci costringe a pensare meglio: se sappiamo dialogarci, esso può amplificare il nostro pensiero.
n. 5 – Aritmometro di Thomas de Colmar
Datazione: 1996 (acquisizione), originale del primo ‘900.
Provenienza: Parigi, mercatino delle pulci.
Stato di conservazione: maniglia deformata, ma funzionante.
Note: Con l’aritmometro ho imparato la pazienza. Ogni giro di manovella è un ciclo, un’iterazione. Impostare le cifre, l’operazione, girare tenendo d’occhio il contatore. Annotare i risultati intermedi per poi proseguire; impostare, operare, girare e ripetere ancora. In fondo è la stessa logica che ritroviamo nei linguaggi di programmazione. L’algoritmo non è magia, ma un cammino scandito da passi regolari.
n. 6 – Libro: Préhistoire et histoire des ordinateurs
Datazione: 1987.
Provenienza: Biblioteca Universitaria di Pisa.
Stato di conservazione: copertina ingiallita, note a matita.
Note: Lunga genealogia delle macchine di calcolo. Ogni strumento nasce da un bisogno concreto, ma porta con sé anche un’idea di futuro. Non si tratta solo di ingranaggi o circuiti: è la storia di come l’essere umano ha imparato a tradurre il pensiero in procedure. Ogni epoca ha inventato strumenti diversi, ma la domanda è sempre la stessa: come trasformare un problema in una sequenza di azioni?
n. 7 – Libro: Algoritmi e strutture dati
Datazione: 2023.
Provenienza: regalo di Dario.
Stato di conservazione: perfetto.
Note: I miei studenti credono che basti premere un tasto, ma io so che non è così. Serve conoscere il modello, il linguaggio, l’obiettivo. La macchina non è un oracolo: è un interlocutore severo. Imparare algoritmi significa imparare a pensare, a scegliere il percorso giusto tra molti possibili. La lezione che ho imparato è che con la macchina si deve dialogare, e non farsi ingannare dalla sua apparente onnipotenza.
n. 8 – Scatola nera (black box)
Datazione: 2025.
Provenienza: laboratorio personale.
Stato di conservazione: –
Note: La scatola nera non mostra ingranaggi né leve, non lascia intravedere i suoi meccanismi. Si limita a ricevere input e restituire output, accoglie domande e restituisce risposte. È il simbolo della distanza crescente tra chi usa e chi comprende, il segno di un tempo in cui la conoscenza non sempre coincide con la trasparenza. Nel mito, Pandora aprì un contenitore che liberò forze inattese. Oggi, la black box custodisce gelosamente processi che non vediamo e nemmeno conosciamo: l’algoritmo decide senza spiegare, non ci rende conto.
L’aritmometro e la Pascalina, a loro modo, nascondevano la complessità dietro un gesto semplice. La differenza è che allora potevamo ancora smontare, osservare, ricostruire. Oggi la scatola nera richiede un atto di fiducia, ma anche di vigilanza critica. Forse la sfida non è più aprire la scatola, ma imparare a porre le domande giuste. Non basta accettare il risultato: occorre chiedersi quali logiche abbiano guidato il processo e, soprattutto, chi abbia definito queste logiche e con quali obiettivi: quis custodiet ipsos custodes? La vera responsabilità dell’intelligenza non è credere alla macchina, ma continuare a interrogarla. La nostra non dev’essere una resa, ma un orizzonte: l’intelligenza, quella umana, cresce sempre dove resta qualcosa da esplorare e un dubbio da coltivare.
Note
- In greco, ἀριθμός (arithmòs) vuol dire numero. Da qui viene la parola aritmetica: dal greco antico ἀριθμητική (τέχνη), ovvero “arte dei numeri”. Il termine ritmo, sempre di origine greca, viene invece da ῥυϑμός (rutmos), affine a ῥέω (réo) «scorrere». Vedi https://www.treccani.it/vocabolario/ritmo/ e https://www.treccani.it/vocabolario/aritmetica/.
- Locuzione latina tratta dalla VI Satira di Giovenale, traducibile con “Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?”.
L’autore

Giuseppe Giorgio Colabufo si è laureato in matematica all’Università di Pisa, completando percorso di doppio titolo con l’École Polytechnique di Parigi. Dopo esperienze nell’ottimizzazione per l’oil & gas e nell’analisi predittiva nel mercato dell’energia, oggi si occupa di modellazione statistica nel settore aeronautico. Ama le lingue straniere, la divulgazione scientifica e tutto ciò che può essere descritto con un buon modello.
Il racconto è scaricabile qui nei formati PDF, ePub e AZW3.
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Per maggiori informazioni, contattare Alice Raffaele, curatrice della raccolta.















