Dal 22 al 30 settembre scorso si è tenuto (naturalmente a Heidelberg) il 7° Heidelberg Laureate Forum che mette insieme oltre 200 giovani ricercatori e comunicatori selezionati a livello internazionale in matematica e informatica per passare una settimana interagendo con gli scienziati premiati in queste discipline: vincitori di Premi Abel, ACM A.M. Turing Award, Premio ACM Prize nel calcolo, Medaglia Fields e Premio Nevanlinna. Qualche anno fa abbiamo pubblicato il reportage di Leandro Arosio. Quest’anno è la volta di Roberta Fulci. Vediamo come è andata. (N.B. Le foto non accreditate sono @Roberta Fulci. Passare sulle foto per vedere le disdascalie, cliccare per vederle grandi nella gallery).
Disclaimer dell’autrice
Questa cronaca è tratta da una serie di post che ho pubblicato su Facebook durante la mia partecipazione all’Heidelberg Laureate Forum 2019. Quel che leggerete sono i post originali con appena qualche foto e qualche link in più, senza alcuna pretesa di completezza. Ho aggiunto un extra alla fine che spero possa interessare i lettori di MaddMaths!. Buona lettura!
Roberta Fulci
– 2 giorni – Attesa
21 settembre 2019
Quest’anno sarò tra i giornalisti, blogger ecc. che assisteranno all’Heidelberg Laureate Forum. L’Heidelberg Laureate Forum, da qui in poi HLF, è un raduno di matematici che da sette anni si svolge ad Heidelberg. Oddio, matematici è un po’ riduttivo: i protagonisti della conferenza, ogni anno, sono scelti esclusivamente tra i detentori di medaglie Fields, premi Abel, premi Turing e simili riconoscimenti di prestigio allucinante. Quindi sì, matematici, ma anche informatici, fisici, ingegneri, e il più delle volte diverse di queste cose assieme. L’HLF, per capirci, è la sede in cui l’anno scorso Sir Michael Atiyah fece discutere il mondo intero per aver asserito di avere una dimostrazione dell’ipotesi di Riemann (poi non era vero, ma insomma avete capito il clima).
Chi c’è quest’anno? Per esempio le medaglie Fields Caucher Birkar e Martin Hairer, entrambi passati di recente per l’Italia. C’è l’autore del primo programma di grafica mai scritto. C’è gente che ha tenuto i primissimi corsi universitari di informatica negli USA, o che ha lavorato su supercomputer IBM grandi come stanze. Ci sono i paladini della sicurezza digitale – una coppia formidabile di moderni moschettieri di cui voglio assolutamente scrivere. C’è perfino il proprietario della sillaba LA di LaTeX!
Gli organizzatori, devo dire, fanno un lavoro coi fiocchi. Praticamente tutti gli interventi delle sei scorse edizioni sono online con tanto di slide. Quest’anno i laureates sono 23, e una dozzina di loro terranno un talk che talvolta si potrà seguire in diretta streaming. Poi ci sono due pomeriggi di discussione su “hot topics”: cambiamento climatico, sfide dell’editoria scientifica e parità di genere nelle scienze. Mi chiedo soprattutto come se la caveranno con la parità di genere, perché chi mette insieme il programma dell’HLF ogni anno se la deve vedere con un grosso problema. Nella storia quasi secolare della medaglia Fields, una sola donna è stata premiata, l’iraniana Maryam Mirzakhani, ed è morta due anni fa. Per gli altri premi le proporzioni non sono molto diverse. Ho fatto due conti e lo scenario è questo:
Medaglia Fields |
Premio Abel |
Premio Turing |
ACM Prize in computing |
NevanlinnaPrize |
|
Totale premiati |
60 |
19 |
70 |
12 |
10 |
Donne premiate |
1 |
1 |
3 |
2 |
0 |
Il totale dei premiati a cui l’HLF può attingere è di 171 persone, di cui sette donne in tutto. Vive, sei. Una di loro, Barbara Liskov – Premio Turing 2008 – aveva aderito a quest’edizione, ma qualche settimana fa ha comunicato che non sarebbe potuta venire. Immagino i telefoni roventi delle altre cinque. Come si risolve una cosa simile? Ci vorranno anni.
Comunque: sabato partirò per andare al lieto evento. Da lunedì a venerdì, cinque giornate fitte di interventi dei luminari, guarnite da quelle iniziative sociali improbabili che in questi casi non mancan mai (tipo: mercoledì sera boat party). Oltre ai big, chiaramente, parteciperanno alla conferenza un sacco di altri scienziati e anche – bella, questa cosa – duecento studenti meritevoli. L’idea dell’intera conferenza in effetti è far incontrare grossissimi personaggi della matematica e dell’informatica degli ultimi anni con giovani promesse della ricerca. E anche con certi giornalisti smarriti, che si aggireranno stritolati da cavi penzolanti all’inseguimento dei loro sapienti eroi, con in mano una manciata di tartine dell’ultimo coffee break e una grande riserva di pile mezze scariche.
Se vorrete leggere, il diario proseguirà qui sotto! Soprattutto vi saprò dire del Flammkuchen, una specie di focacciona farcita che va per la maggiore da quelle parti e che sta creando in me grandi aspettative.
Giorno 0 – In viaggio. Di foreste e vernissage
23 settembre 2019
I matematici tra i miei contatti sanno che nel mezzo della Foresta Nera sorge Oberwolfach. Embe’? Diranno i non matematici tra i miei contatti. Be’, Oberwolfach è un comune di tremila anime – tremila scarse, fonte Wikipedia – che ospita il Mathematisches Forschungsinstitut Oberwolfach. E sì, dirvelo per iscritto e non a voce mi rasserena moltissimo 😊
In pratica in mezzo agli alberi (non dentro il paesino eh!, un po’ fuori) c’è questo gran centro di ricerca che ospita scuole estive, workshop e convegni di matematica a nastro. Fonti ben informate mi garantiscono che il posto è talmente isolato che non si chiude a chiave niente, nemmeno le sale computer, perché insomma se ti aggiri nella foresta con un PC sotto la maglietta sei comunque un po’ sospetto. Lì, nel cuore pulsante della matematica silvestre, 11 anni fa è nata Imaginary. All’inizio era una piccola mostra: belle superfici realizzate in 3D, qualche installazione ispirata a teoremi celebri, un programma per fare giochini interattivi e gingillare i frequentatori dei corsi. Ma in breve, e a quanto pare inaspettatamente, si è capito che funzionava benissimo. Un successone! I guru della matematica in visita e pletore di studenti si facevano i selfie vicino/sopra/dentro i pezzi della mostra, quindi i creatori si son rimboccati le maniche e hanno dato sfogo alla loro creatività. Le idee fioccano, Imaginary esce dalla foresta e diventa itinerante, e intanto il sito diventa una risorsa favolosa. Se fate un giro al link troverete un mondo partecipato (potete anche proporre le vostre cose) e open: una marea di materiale utile e bello che si può usare anche in occasioni pubbliche. INSEGNANTI, GUARDATELO! Sito a parte, oggi Imaginary gira in tutto il mondo con grande autorevolezza. Ha perfino partecipato all’inaugurazione del MoMath di New York e al Festival della Scienza a Genova.
Ma torniamo all’HLF, il luogo con maggiore densità al mondo di medaglie Fields, premi Abel e varie altre categorie di Reggenti Supremi Del Sapere Matematico. Vuoi tu, curatore di Imaginary, fartelo scappare? Non vuoi. E infatti ad accogliere noi primi arrivati all’HLF oggi troverò un assaggio di La La Lab, mostra di Imaginary tagliata sulla musica e sulla sua “competizione” di pitagorica memoria con la matematica. La mostra intera è sempre ad Heidelberg, a mezz’oretta dal convegno, e io spero di avere il tempo, tra un Sommo Matematico e l’altro, di andarla a vedere.
Ora, la domanda è: il distinto signore brizzolato che siede con me nella navetta che ci porta dall’aeroporto a destinazione sarà o non sarà lo stesso signore brizzolato a cui ho chiesto un’intervista via mail, e che quindi dovrei riconoscere e salutare con accorato rispetto in quanto Sire dei Grafi?
Giorno 2 – MATEzafferano
25 settembre 2019
Che cosa preparo quest’anno per l’inaugurazione dell’Heidelberg laureate forum? Ogni autunno quest’interrogativo ci assilla! Ecco la ricetta collaudata che vi farà fare bella figura.
Dosi per circa 300 persone
Tempo di preparazione: un anno circa
Difficoltà: altina ma non vi scoraggiate
Ingredienti:
– 23 laureates di età molto diverse con eventuali mogli
– 200 studenti, dottorandi e giovani ricercatori in matematica e informatica provenienti da ogni parte del mondo
– 2 giovani partecipanti alla scorsa edizione, vestiti belli eleganti
– una pianista-matematica-musicologa australiana
– un pianoforte Steiner
– una dozzina di organizzatori belli tesi
– due maxischermi
– un ministro della cultura
– un segretario di stato del ministero dell’istruzione
– un presidente dell’università ospitante
– un presidente per ognuno degli organi che conferiscono i premi
– un quartetto sax al femminile in abiti argentati
– una manciata di giornalisti di varie nazionalità con vistose telecamere
– la famiglia del fondatore dell’HLF
– un responsabile scientifico
– una decina di auto blu, non blu ma nere
– una sala ricevimenti con buffet illimitato
– una fontana di cioccolata.
Mischiate tutti gli ingredienti umani tranne i laureates, il pianoforte e i maxischermi in una grande sala universitaria e lasciate riposare un quarto d’ora circa. Agitate bene i due ex partecipanti e metteteli sul palco a dare il benvenuto. Dopo dieci minuti circa fate entrare dal fondo della sala i laureates con le mogli a braccetto: è importante che avanzino lentamente, accompagnati da una colonna sonora solenne – per una resa perfetta, inumidite loro gli occhi. Fate sedere i laureates lungo le prime due file e poi alternate sul palco tutti gli altri ingredienti umani per un’ora abbondante.
Al responsabile scientifico spetta lo “science slam” sulla storia dell’HLF. Ai politici riflessioni sul cambiamento climatico. Ai presidenti sul gender gap.
Quando tocca alla pianista-algebrista australiana, che avrà composto un pezzo intitolato “Tessellations from Eppalock to Heidelberg”, assicuratevi che le sue mani siano ben riprese dal maxischermo.
Riversate quindi l’impasto per le vie di Heidelberg, preceduto dal quartetto in abiti argentati, in direzione del ricco banchetto. Shakerate col buffet e via!
Trucco per perfezionare: i laureates si sposteranno in auto di cortesia nere lucidissime anche per percorsi di 40 metri.
Tutto ciò è accaduto ieri, domenica. Io faccio la cinica ma in verità quando i laureates sono entrati (NB fino a poche settimane fa molti di loro non li conoscevo nemmeno di nome) ero pronta a montare sulla poltrona al grido di CAPITANO MIO CAPITANO!
Giorno 4 – Socialità a corte. LaTex, crociera e caccia al fotografo
27 settembre 2019
Eccoci qua che dopo mille talk di altissimo profilo, panel, conferenze stampa e interviste, solchiamo allegramente le acque del fiume Neckar. Ormai tutti ci muoviamo a stento per via del flusso continuo di cibo che stiamo ingerendo. Immaginate una barca con sopra duecento ippopotami con badge al collo.
Il signore barbuto qua in foto con il braccio fasciato si chiama Leslie Lamport. Ha fatto un sacco di cose importanti, profonde e innovative nell’informatica e infatti gli hanno dato il premio Turing. Io però conoscevo il suo nome non per via dei suoi grandi traguardi scientifici, ma perché ha creato LaTex! LaTeX (si legge latec) è il linguaggio che chiunque abbia mai scritto una tesi scientifica sa essere l’unico modo ragionevole per produrre un testo con formule che non gridi vendetta. Quello che tutti noi matematici, fisici ecc abbiamo sul PC, e che per un certo periodo di tempo dopo il dottorato ho continuato a usare pure per scrivere la lista della spesa. Ora, per Lamport essere famoso per LaTeX è un po’ come se Einstein fosse famoso per aver lanciato la moda dei baffi. L’altra sera alla cena di gala superfancy – menu da matrimonio, candele e palloncini – lui si dava molto da fare con gli studenti per portare avanti la sua opera di mentoring: questa è la sesta volta che lui e sua moglie vengono all’HLF. Che cosa gli chiedono di solito i ragazzi che incontra qui ad Heidelberg? Mi ha risposto rassegnatissimo:
– Guardi, in genere vogliono sapere di LaTeX.
Sua moglie ha indicato l’ingessatura:
– Ma no, quest’anno ti chiedono pure che cosa ti sei fatto al braccio ahahahah!
Al momento però sono a caccia di un altro personaggio. Esiste un uomo nel mondo che di mestiere fotografa i Nobel. Si chiama Peter Badge, è tedesco e ha 45 anni. Ha fatto talmente un buon lavoro per l’accademia di Svezia che anche dall’HLF si sono rivolti a lui: “Caro Peter, vai nel mondo e fotografa tutte le persone che abbiano mai ricevuto una medaglia Fields, un premio Abel, un premio Turing, un premio Nevanlinna o un ACM prize for computing. Quando hai fatto torni qui, ci dai le foto e noi le mettiamo tutte insieme.” Fu così che il buon Peter iniziò il suo viaggio sulle tracce dei grandi matematici e informatici del mondo. Con alcuni è stato facile: li ha fotografati qui ad Heidelberg durante l’HLF. Altri invece vivono in posti remoti e lui ha pedinato e raggiunto ognuno di loro per trarne un unico, personalissimo scatto – chi col mappamondo, chi coi trenini giocattolo sullo sfondo, chi col cane. Ha scritto anche un libro sulla sua caccia al tesoro, che è illimitata perché ogni anno si aggiungono nuovi premiati che vivono ai quattro angoli del globo. Pare sia a bordo ma è complicato individuare chiunque in mezzo ai sempiterni tavoli da buffet… Mi sa che tra noi due è lui quello bravo ad acciuffare persone. Qui ad Heidelberg le sue foto si possono vedere tutte insieme in una mostra intitolata Masters of abstraction. Ho sorpreso uno dei laureates che rideva tutto contento insieme alla moglie davanti alla propria foto gigante 😊
Giorno 7 – In viaggio verso casa. E quindi?
30 settembre 2019
Insomma, questi grandissimi luminari che c’erano ad Heidelberg, chi sono? Che hanno detto? Che hanno fatto? Mentre torno verso casa e sperimento brutalmente l’assenza dello sfarzo insensato a cui mi ero ormai abituata, ve ne presento tre: il primo in ordine di apparizione, l’ultimo in ordine di apparizione e un terzo a piacere (mio).
Intanto c’è da dire che all’HLF il vip che tiene un talk può dire, nella sua mezz’oretta/tre quarti, QUELLO CHE GLI PARE. Non ha vincoli di tema, di formato, di linguaggio. Si va dal tecnico al colloquiale, dai lucidi agli effetti speciali, dalla lavagna col gesso ai sottotitoli in simultanea. Puoi parlare dei tuoi risultati, proporre una visione ampia delle frontiere della ricerca, dare consigli agli studenti, raccontare la tua vita, fare una sessione di aerobica. Tranne l’aerobica (peccato), tutto il resto quest’anno c’è stato.
Il primo sul palco è stato Yoshua Bengio, franco-canadese, superstar in quanto premiato appena l’anno scorso col premio Turing per i suoi studi sul deep learning. C’era grande attesa perché questa era anche la sua “Turing lecture” ufficiale. Momenti di panico il giorno prima perché appena arrivato ad Heidelberg si è rotto un piede. Eh sì. Ma poi al momento del talk è salito eroicamente sul palco con le stampelle, anzi ne ha fatto un trick comunicativo per argomentare su un ingrediente chiave su cui l’intelligenza artificiale è ancora indietro: l’adattamento. Lui ha una visione parecchio ottimistica sulle potenzialità dell’AI, ma sull’adattabilità non ci siamo: io da ieri sera ho imparato un sacco di cose nuove su come si cammina con le stampelle e un piede in aria, ha detto, ma una macchina non avrebbe minimamente idea.
L’ultimo a parlare invece è stato Caucher Birkar, medaglia Fields 2018 (l’annata di Figalli), matematico curdo iraniano trapiantato in UK, che era al forum con l’assai più espansivo fratello ingegnere. Birkar è un tipo dall’aspetto serio e timido ma il suo talk è stato super utile ed efficace. Dato che l’anno scorso vi ho parlato esclusivamente di matematica, ha detto, quest’anno ho pensato di fare una cosa diversa. “May be a little more entertaining,” ha aggiunto con un sorrisino carico di significati. E via con la storia della sua infanzia, la guerra Iran-Iraq, la famiglia che teneva moltissimo all’istruzione – il papà lo accompagnava all’asilo e stava un po’ lì con lui per assicurarsi che non associasse la scuola allo stress, tipo inserimento. E poi le letture, i viaggi, gli incontri e per finire il valore di una cultura diversificata: suo figlio piccolo parla inglese, curdo come il papà e thai come la mamma. Bello dai. E infatti alla fine studenti e dottorandi gli si affollavano intorno tutti grati.
Ma di gran lunga il più straordinario tra tutti i laureates per me è stato lui, Whitfield “Whit” Diffie. Una specie di Gandalf del politicamente scorretto, un Babbo Natale in versione Simpson. Il suo altrettanto celebre collega Martin Hellman (notevole anche lui, in foto arringa un giovane adepto), con cui ha condiviso il premio Turing nel 2015, lo chiama “my partner in crime”. Sono famosissimi per una trovata cruciale in crittografia che risale agli anni ’70 e poi per una lunga storia di attivismo politico-scientifico in difesa della privacy.
Diffie quest’anno non ha tenuto un talk, ma anche solo fare due chiacchiere con lui è un’esperienza. Ok, magari non è un tipo preciso: ho passato i primi giorni a inseguirlo per accordarmi su quando fare l’intervista, lui ogni volta diceva teatralmente: The answer is yes!, e poi spariva atterrito all’idea di fissare un giorno e un’ora. Ma alla fine è stato carinissimo. E ieri sera alla farewell dinner al castello gli ho chiesto perché continua a venire ogni anno all’HLF. Tutti i big ti dicono eh, che piacere essere qui, tra tanti ragazzi vogliosi di sapere, la ricerca, l’atmosfera, il mentoring…
La risposta del buon Diffie: scusa eh, io arrivo, mi portano all’hotel di lusso, mangio bene, bevo bene, tutti mi trattano come un dio: ti pare che non ci vengo?
Giorno 10 – EXTRA. Quel che resta del forum
1 ottobre 2019
Per l’intera durata dell’HLF, ogni partecipante sfoggia in bella vista il proprio badge.
Io ero lì come giornalista e quindi il mio badge era giallo. C’erano poi un’altra quindicina di badge gialli, duecento badge grigi (studenti, dottorandi e post-doc), qualche badge verde (“guest”, cioè in genere studenti e professori all’università di Heidelberg), svariati badge azzurri (comitato scientifico e staff), un bel po’ di badge arancioni (frotte di volontari che con ogni clima erano là sull’attenti a indicarti a ogni passo la strada per raggiungere la mensa, il buffet, l’autobus, il battello).
E poi, naturalmente, ventritré badge rosso cardinale: i laureates.
Per chi porta il badge grigio partecipare all’HLF comporta una buona dose di burocrazia (CV, lettera motivazionale, eventualmente proposta di poster e workshop, scadenze), quindi tempo e impegno. Ne vale la pena? In quest’ultimo (ex)post provo a rispondere. Certo, l’HLF è una settimana rutilante di eventi in mezzo a grandissimi scienziati – ma alla fine, al grande scienziato, che gli dici? Riesci davvero a interagire? Non è banale. Una sera ero a un tavolo a cui tutti parlavano di una certa Isabelle. Io tacevo con la serena discrezione di chi non conosce la persona in questione. Dopo circa un quarto d’ora di educata riservatezza mi sono resa conto che Isabelle era lei. Ecco, mi chiedo: come si vivono queste conversazioni da studente, dottorando, giovane ricercatore?
Quasi tutti i laureates sono molto amichevoli e in genere non vedono l’ora di essere avvicinati dagli studenti. Chi ha già una linea di ricerca (dottorandi e post-doc) può essere fortunato e trovare all’HLF il guru del proprio campo, e in quel caso confrontarsi è sicuramente una grossa occasione. Poi in molti casi non è che si parli di dettagli tecnici: si fanno discorsi molto ampi, loro danno consigli generali su come approcciarsi alla ricerca oppure ti raccontano la loro vita. I partecipanti con cui ho parlato erano praticamente tutti entusiasti. Tra loro anche parecchi italiani, direi otto, pienamente soddisfatti. Anche se, con mia grande delusione, per la “bavarian night” non hanno indossato il costume tipico del proprio paese, come prescrive la tradizione – giornalisti esonerati.
Per chi non ha ancora una ricerca avviata andare all’HLF credo sia ancora meglio: anche se non arrivi a darti di gomito col luminare di turno, hai comunque uno spaccato molto concreto di ampie porzioni della ricerca matematica e informatica degli ultimi, boh, 40 anni. Ti vengono delle curiosità, dai un volto e un carattere a nomi che stanno sui libri di testo, e comunque sei immerso in una situazione fittissima di stimoli (e anche molto godereccia). Le conferenze sono molto diverse tra loro e chiaramente di livello altissimo. Impossibile ripartire senza aver voglia di andarsi a studiare almeno un paio di cose di cui prima non sospettavi l’esistenza.
I pomeriggi prevedono varie altre sessioni che per un giovane ricercatore possono essere preziose: i poster (c’è una commissione scientifica che seleziona i migliori), i panel che discutono su argomenti dell’attualità scientifica e infine dei workshop molto compatti focalizzati sul mondo del lavoro (sia in accademia che fuori). E direi che con i pro siamo a posto.
Possibili contro? Mi è capitato di chiacchierare con una post-doc messicana dall’aria esausta che era lì lì per inviare un paper a una rivista. La sua ricerca non aveva niente a che fare con il lavoro di nessuno dei protagonisti di quest’edizione, e sentiva che stava sottraendo tempo al proprio lavoro. Non riusciva a staccare e a godersi niente. Quindi immagino che per un dottorando o un post-doc l’HLF sia una buona idea in due casi:
– se tra i laureates c’è qualcuno che vogliono proprio ascoltare/incontrare,
oppure
– se in quel momento hanno il tempo di prendersi una sorta di vacanza scientifica di lusso.
Infine, una cosa un po’ così, che a me sembra un’occasione persa, è che l’HLF è un’isola blindata. Tranne la mostra di Imaginary, sempre aperta a tutti, non esisteva nessun momento di incontro con l’esterno. Tra i dottorandi c’era un ragazzo indiano che era lì con sua moglie, e lei non ha potuto partecipare mai. Perfino gli ammessi, senza il prezioso badge al collo, non possono entrare! Se lo lasci in albergo, devi correre a prenderlo perché altrimenti sei perduto: niente talk, niente mensa, niente balli bavaresi, niente coffee break, niente conferenze stampa, niente castello, niente pullman. Almeno una volta nella settimana sarebbe bello vedere la crème del sapere matematico mondiale entrare in contatto con la città ospitante – che sia per una conferenza divulgativa, una manifestazione in piazza o la proiezione di un film. Anche perché, diciamolo, sei così impegnato tutto il tempo in cene esclusive che va a finire che non riesci ad assaggiare il flammkuchen! Ah vergogna!
Comunque insomma per tirar fuori una critica ho dovuto pensarci un bel po’. L’organizzazione è così accurata da essere quasi imbarazzante, e tutto sommato è come se in una settimana si concentrassero le esperienze che normalmente faresti in un paio d’anni.
E per un giornalista scientifico, vale la pena andare? Rispondono i miei occhi a cuoricino mentre all’interno della pupilla si materializza lo skyline del castello di Heidelberg pieno zeppo di badge rossi da perseguitare.
Roberta Fulci