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Come si può parlare oggi di matematica senza sfigurare o farla sfigurare? Come si può tentare di renderla interessante anche per i non addetti ai lavori, senza però attirarsi le ire di quelli che la matematica la fanno ogni giorno? Una riflessione e una proposta, presentata da Roberto Natalini durante il convegno INDAM del 18 novembre 2008 intitolato “Diffusione della matematica: come e perché”, e ripreso dal sito di Lettera Pristem. [1]

di Roberto Natalini, Stefano Pisani e Chiara Valerio

Il più grave ostacolo alla popolarità delle scienze deriva da ciò appunto che più contribuisce al loro continuo progresso, vale a dire, dalla loro tendenza a suddividersi sempre più in nuovi rami, e dalla giusta predilezione degli studiosi a quei lavori speciali, che per verità condussero sempre alle più luminose scoperte le dottrine sperimentali. (…) E gli scienziati non disdegnino avvicinare in riassunti popolari il frutto faticoso degli studi speciali, e per diffondere il culto della scienza, e perché solo dall’accoppiamento armonico delle singole dottrine può erompere l’elettrica corrente d’una genuina scienza dell’uomo e dell’universo. C. Cattaneo, Il Politecnico, fasc. XXI (1841)

Nessuno avrebbe mai pensato che Ulisse fosse davvero astuto (e per questo nei secoli affascinante), se qualcuno, invece di intrattenerci e raccontarci di peripezie, viaggi, sotterfugi e sirene, si fosse limitato a dire che, partito da Itaca, vi era alla fine ritornato dopo vent’anni di assenza. Senza una storia e senza i dettagli della storia, come per esempio il trucco, davvero da matematico, di imbrogliare Polifemo facendosi chiamare Nessuno  [2], nessuno [3] si sarebbe interessato a Ulisse, a meno di non possedere un’incredibile fantasia, una sufficiente dose di alienazione dal contesto e un forte desiderio di conoscenza tale da arrivare ad aprire quel librone ostico e in metrica greca che è l’Odissea, magari anche nella traduzione in italiano, o guardando la sua indimenticabile trasposizione televisiva degli anni ’60.

La Matematica oggi, in Italia, e anche altrove a leggere certe statistiche, è un Ulisse che parte da Itaca per poi tornarvi, sotto lo sguardo di un pubblico esiguo (anche se leggermente cresciuto nel tempo). Solo i poveri marinai, ovvero i matematici stessi, e pochi altri, si interessano però veramente a cosa succede nel mezzo. E, sapendo come poi è andata a finire, forse è meglio uscire ora di metafora, prima che sia troppo tardi. Si ha l’impressione che pochi riescano a raccontare, a chi matematico non è, l’oggetto/gli oggetti della matematica, di cosa si occupa realmente un matematico, quale sia il suo contributo alla scienza e alla cultura e perché sia interessante conoscerlo e farlo conoscere. A raccontare in modo convincente come la matematica parta da un problema, segua un filo dimostrativo, si avvolga su soluzioni che poi si rivelano errate, ritrovi miracolosamente il suo cammino, spesso cambiando di mano e, dopo molte peripezie e trucchi e slanci di fantasia e trovate, arrivi ad una soluzione (che spesso è solo il punto di partenza per un altro o molti altri viaggi). Eppure molti provano a farlo, me incluso, ma poi, spesso, almeno questa è la mia esperienza, non si capisce bene il punto fondamentale, cioè qual è il contributo determinante e non generico della matematica su di uno specifico problema, e questo perché non si vuole e spesso non si può scendere troppo nei dettagli. E’ un po’ come se uno dicesse “E poi Ulisse, usando un nome di fantasia, ingannò Polifemo”. In un quadro del genere, che pure è ancora e nuovamente solo metafora, è naturale che solo chi può contare su un’incredibile fantasia, una sufficiente dose di alienazione dal contesto e un forte desiderio di conoscenza, arrivi ad aprire quei libroni ostici e zeppi di simboli e formule complicate che sono i libri di matematica. Qualcuno che non si accontenta di sapere solo il nome di Itaca o poco più. La divulgazione matematica si confronta oggi in Italia con un substrato di semplificazione dilagante e quasi-demonizzazione dei linguaggi formali, in cui quasi tutto viene tradotto e omogeneizzato in un linguaggio spesso povero e inadeguato, un linguaggio che aspirerebbe ad essere familiare –  il sedicente linguaggio della porta accanto, appunto. Dall’osservazione pluriennale di Google News, che raccoglie oltre 250 fonti internet in italiano, la matematica è citata nei mezzi di informazione quasi esclusivamente nelle espressioni “La matematica non ci condanna” o “Ci aggrappiamo alla matematica”, a cui forse gli storici del futuro attribuiranno significati esoterici, pur essendo solo abusate metafore del gergo sportivo.  E il matematico dei media è sempre un Archimede (se non un… Einstein) e magari strano, o se non è strano, almeno (per forza) geniale sotto un’apparenza di normalità: il genio della porta accanto. L’obiettivo della divulgazione matematica deve forse essere allora quello di riproporre concetti formali con linguaggi diversi, magari anche televisivi, ma con speciale riguardo all’autenticità delle cose. L’Odissea deve essere il percorso, forse tortuoso, ma con finalità chiara (comprendere, distinguere, riscrivere) che conduce il lettore, lo studente, la persona curiosa, a intravedere e forse cogliere, il fascino della matematica.
Qui incontriamo la prima difficoltà: Itaca, per quanto epica e lontana, è un posto realmente esistente, un luogo che con Google Earth è possibile vedere con precisione e visitare in ogni momento. Al contrario, i problemi di matematica dai quali partire e, a volte, tornare, non sono talvolta neppure riconoscibili come tali, e quasi sempre difficili da vedere e da spiegare. Che cos’è infatti un problema matematico? Certe volte, prima che la matematica si metta a cercarne le soluzioni, i problemi non hanno neppure un nome. Però, in realtà, se vogliamo, la matematica è sempre dietro l’angolo. Se nella frase su Itaca e Google Earth,  invece di “con precisione”, dicessimo “con la precisione di 1:1.000.000.000”, staremmo in fondo già parlando di matematica. Di cosa significano i due puntini, da dove viene la consuetudine a utilizzarli, che cos’è una scala e di come è evidente (ad esempio dalle frequenze di utilizzo di Google Earth) che le scale ci servono a misurare le distanze, di quale sia in pratica il rapporto tra la mappa e il territorio [4], e aggiungerei tra un  modello e un fenomeno. Utilizzare con la precisione di 1:1.000.000.000 significa insomma cominciare a capire qualche cosa del piacere della matematica e dei suoi viaggi che spesso ci portano lontano.

Il buon cristiano dovrebbe guardarsi dai matematici e da tutti coloro che fanno vane profezie. C’è il pericolo che i matematici abbiano stretto un patto col diavolo per oscurare lo spirito e per relegare l’uomo all’inferno. Sant’Agostino

Perché è utile parlare di matematica e perché la matematica è utile. Innanzitutto proviamo a dire perché crediamo che la matematica sia utile non soltanto ai matematici che la praticano, e che da essa traggono i mezzi per sopravvivere sul piano materiale e anche, a volte, su quello intellettuale, ma sia utile alla società nel suo complesso, alla scienza e alla tecnologia, e alla vita quotidiana, e debba perciò diventare sempre di più un oggetto familiare per tutti, una scienza della porta accanto [5].

Allora, partiamo dall’assunto forse dimostrabile, sicuramente plausibile, ma per ora considerato come semplice postulato: la nostra società, la nostra stessa vita, sarebbero migliori se ci fosse una maggiore conoscenza e comprensione di cosa sia la matematica, di cosa fanno i matematici e del rapporto della matematica con quello che per semplicità per ora ci limiteremo a chiamare “il resto”.

La prima cosa con cui dobbiamo confrontarci è però che questa affermazione,  eventualmente estesa a tutta la scienza, è ben lontana da essere evidente per la maggior parte delle persone. Abbiamo cioè a che fare con un ‘prodotto’ che non riusciamo a diffondere perché non ci sono clienti. Quelli che ci sono costituiscono infatti quello che può essere definito come un pubblico reticente.  Secondo un’indagine Eurobarometer del 2005, gli europei moderatamente o molto interessati alle scoperte scientifiche o alle nuove invenzioni (quindi quelli ‘di buona volontà, che sono l’80% del totale, ma in Italia sono solo il 72%), sono infatti per lo più interessati alla medicina e all’ambiente. In cima alle passioni scientifiche che muovono i loro cuori, dopo Internet, gli argomenti umanistici, l’economia e le scienze sociali, troviamo la genetica e l’astronomia (pari merito al 23%) e la nanotecnologia (8%). Insomma, la matematica non è venuta in mente (quasi) a nessuno.
Se poi andiamo a guardare in dettaglio cosa pensano quelli che non si curano per niente delle scoperte scientifiche (ossia il restante 20%, il 18% in Italia), si scopre che costoro per la maggior parte, ‘non le capiscono’, seguito da un ‘non mi interessa’ e da un ‘non ne ho bisogno’ che fa coppia con ‘non ci penso mai’ – il che si potrebbe tradurre in un’assenza completa della scienza dalla loro vita concreta e quotidiana. Manca cioè la percezione che la scienza (e non parliamo nemmeno della matematica) faccia parte della vita, e questo non è un dato da sottovalutare.
Infine, guardando a quali sono le fonti di queste informazioni scientifiche, per quelli che invece provano ad interessarsi, scopriamo che, secondo una indagine del 2006 del National Opinion Reseach Center della University of Chicago, le principali fonti di opinione per le informazioni scientifiche sono la Tv e Internet, con una prevalenza netta della Rete quando si tratta di approfondire specifiche questioni scientifiche, come potrebbe essere considerato un argomento matematico. Tuttavia i dati sulla presenza della matematica nei media, inclusa la Tv, non sono incoraggianti. Da una indagine del 2002 sulla situazione italiana, è emerso che sui media italiani (Tv, carta stampata) si parla scienze dure solo il 2-5% delle volte in cui si parla di scienza nei vari media (negli inserti dei quotidiani però la percentuale sale fino al 15%). E in un’altra indagine, forse poco rappresentativa ma certamente interessante, realizzata dal Dipartimento di Giornalismo della University of Stellenbosch (Sudafrica) sulla presenza della scienza nel periodo marzo-giugno 2002 sulla carta stampata sudafricana, la matematica figura solo per lo 0,2 % (e la fisica non sta messa molto meglio, con lo 0,4%). Eppure la società ha bisogno di matematici e ne fa una richiesta sempre crescente. Se si guardano i dati del rapporto della Commission on Professionals in Science and Technology americana del 2006, si scopre che negli ultimi 10 anni sono proprio i matematici (insieme ai fisici) ad aver subito l’incremento maggiore dal punto di vista occupazionale. Questo, da un lato,  significa che c’è molta richiesta (cioè la società ha bisogno di buoni matematici e quindi la divulgazione è opportuna) e dall’altro c’è grande possibilità lavorativa: divulgare la matematica, far appassionare i giovani a questa disciplina, allora, potrebbe significare per loro fargli fare una scelta di vita vincente anche da un punto di vista professionale, oltre che culturale.

La divulgazione della Matematica è difficile anche perché vi sono molte persone di buona cultura che sono convinte di non essere in grado di capirla, nemmeno nelle sue linee più generali. Fra gli stessi matematici molti non hanno fiducia nella possibilità di comunicare ai non esperti problemi e risultati del loro lavoro, e ritengono anche che la stessa riflessione sul pensiero matematico nel suo complesso debba essere riservata a pochi specialisti, logici, epistemologi, eccetera. Penso che i matematici debbano reagire contro questa sfiducia. E. de Giorgi, Riflessioni su Matematica e Sapienza (A. Marino and C. Sbordone, eds.) Quaderni dell’accademia pontaniana, 18, Accademia pontaniana, Napoli (1996), p. 46.

Divulgare/divertire/raccontare. L’opera di divulgazione della matematica dovrebbe avere come obiettivo primario di far conoscere in ambito non esoterico le motivazioni e i risultati della ricerca, e possibilmente anche le idee che hanno permesso di raggiungere questi risultati. Ma, ahimé (o meglio, fortunatamente), per parlare bisogna essere in due. Per cui, da un lato dobbiamo tentare di “catturare/motivare” o meglio “divertire/interessare” l’interlocutore (a un livello appropriato, molto dipende da chi è il nostro interlocutore), e dall’altra dobbiamo cercare, una volta che questi ci sta ascoltando ed è ben disposto, di dirgli alcune cose, rapidamente, efficacemente, di informarlo insomma, usando per questo un linguaggio non ostico, ma ugualmente capace di descrivere in modo abbastanza preciso la “cosa” di cui si vuole parlare. Insomma due fasi, spesso in sovrapposizione: motivazione e informazione. Senza pretendere di fare una critica della divulgazione ai giorni nostri, perché troppe e molto diverse sono le esperienze di questi ultimi anni, ci sono alcune caratteristiche che ricorrono di frequente. Si cerca, ad esempio, di attirare le persone raccontando storie o facendo esempi che solo marginalmente toccano l’oggetto matematico. Per cui si assiste a un fiorire di biografie,  narrazioni storico-romanzesche [6], curiosità più o meno giocose. Ci si interessa alla vita psichica e anche sessuale dei matematici, vanno molto di moda i ‘matti’ e le stranezze, i giochi e i paradossi,  e spesso la realtà scientifica viene piegata a questo scopo (basti  pensare alla serie Numb3rs, peraltro utilissima, in cui si assiste ad applicazioni spettacolari della matematica (vere!), ma presentate in modo irrealistico), la maggior parte degli esempi risultando marginale rispetto alla vita reale delle persone che fanno ricerca. In realtà, tutto questo va anche bene, in una certa misura, ma si rischia di far passare dei messaggi sbagliati, come “solo-quelli-strani-fanno-matematica”, oppure “la-matematica-è-divertente”, o ancora “la-matematica-è-una-specie-di-gioco” (inutile, forse quindi), e di fondo tutta una specie di grande “alterità” della matematica, come se la matematica non fosse un’attività umana tra (non esattamente COME) le altre [7]; insomma tutta una serie di cliché che in realta’ sono sostanzialmente falsi e che finiscono con attirare e interessare in pratica solo coloro che già si interessano alla matematica. Si badi bene: la matematica in realtà, lo sappiamo tutti, NON è divertente. Non nel senso comune ed etimologico della parola (di-vertere: vertere altrove la nostra attenzione, lontano da pensieri molesti) e direi nemmeno nel senso ricreativo (ri-creare uno spirito intatto dopo le fatiche), cioè per passare il tempo (intrattenerci, tenerci tra due cose, come nell’inglese entertainement). La matematica è, o meglio può essere, divertente nel senso (se esiste questo senso…) di appassionante, emozionante, motivante, polarizzante, ossia quasi l’opposto del senso ordinario di divertente [8].
Ora, quando si fa divulgazione matematica, solitamente, la prima difficoltà nella quale ci si imbatte è quella di trasportare sul piano concreto dei concetti teorici molto astratti e possibilmente senza usare le maledette formule. E questo si fa di solito attraverso metafore, esempi, similitudini, parabole più o meno riuscite. E la principali critiche del pubblico destinatario possono oscillare dal trovare artificiosi o complessi questi aneddoti creati a bella posta, oppure difficilmente comprensibili, quasi controproducenti. Non è sempre facile trovare l’escamotage adatto per ‘materializzare’ una nozione teorica e contemporaneamente non svuotarla del suo significato più profondo e istruttivo. Questa operazione, infatti, molte volte può apparire come addirittura pretestuosa, e può avere l’effetto di indispettire l’uditorio. Se parliamo di impacchettamento di sfere, cioè di come mettere il mggior numero di sfere di raggio dato in un determinato volume, un problema di geometria teorica, con possibili ricadute in cristallografia e fisica atomica, Wikipedia ci propone questa bella immagine di arance. Ma se io sto cercando di capire dov’è il problema, e soprattutto come si è poi arrivati ad una soluzione (su cui, se ho capito bene, ci sarebbe ancora qualche cosa da dire…), beh, allora questa immagine di arance mi farà forse solo innervosire. D’accordo, la storia ci dice che il tutto nasce dal problema di mettere nel modo ottimale le palle di cannone sulle navi inglesi alla fine del ‘500, ma insomma, è proprio questo lo specifico interesse di questo problema? Ed è veramente interessante? E, soprattutto, dove sono le palle di cannone in quella foto?

Lasciamo in sospeso queste domande e restringiamoci adesso al tema della matematica applicata. Non la matematica astratta quindi, lontana nel suo iperuranio dalla vita di tutti i giorni. Vogliamo parlare proprio della matematica della porta accanto, quella, appunto, in cui possiamo imbatterci tutti i giorni uscendo di casa. E che possiamo odiare o amare a seconda dei casi e delle opportunità. Prima di proseguire devo però ancora dire qualcosa su un punto importante, ossia su dove pongo il confine (se esiste) tra la matematica pura e quella applicata. Per risolvere veri problemi applicativi si deve spesso utilizzare della matematica profonda e innovativa. Sto pensando ad esempio, per parlare di una cosa che conosco da vicino, allo sviluppo della gas-dinamica nel secondo dopoguerra. Viceversa, molta della cosiddetta matematica pura ha come primo movente considerazioni di carattere concreto, salvo poi prendere direzioni imprevedibili e lontane, ma anche, spesso, operando spettacolari ritorni in applicazioni a volte molto distanti [9]. Qui, ai fini di questo ragionamento, per distinguere tra le due userò un semplice criterio (che, come tutti i criteri semplici, sarà alla fine impreciso): la matematica applicata è quella che ha ricadute immediate al di fuori dal suo ambito, mentre la matematica pura è quella che, almeno sul breve periodo, interessa solo ai matematici. Con questo criterio un risultato di buona positura locale negli spazi di Besov per le equazioni di Navier-Stokes è matematica pura, mentre un risultato di teoria dei grafi con applicazioni al sequenziamento del genoma umano sarà matematica super-applicata (insomma, è tanto per dare un nome alle cose. L’imprecisione risiede nel fatto che mi guardo bene dal quantificare le scale dei tempi…). La mia intenzione è allora di provare, tra i diversi approcci possibili, a divulgare la matematica proprio usando questa cosa che abbiamo appena chiamato matematica applicata, sperando di partire così con un buon vantaggio. Nei corsi di scrittura si impara che la prima regola per scrivere è avere qualche cosa da dire che possa interessare il proprio pubblico [10]. Il vantaggio della matematica applicata è che non servono l’epica e Ulisse per introdurla, perché ci sono appunto le applicazioni! Anche il più anti-tecnologico e umanista dei nostri interlocutori, vorrà saperne di più quando gli direte che state studiando una cosa che, se non esistesse, non ci sarebbero la televisione, l’energia atomica, i voli spaziali e i satelliti geostazionari. E gli aerei supersonici, i computer, la TAC e le previsioni del tempo a cinque giorni (ehm, che non sempre funzionano…). Lo scambio di file musicali o video su Internet sarebbe impossibile, per non parlare dei telefoni cellulari… Sembrerebbe facile quindi avvicinare il nostro pubblico reticente partendo da questo punto di vista. Ecco, adesso arriviamo al punto principale del nostro ragionamento, ossia quella che chiameremo “la trappola della matematica applicata”. Il nostro vantaggio (l’oggetto delle nostre ricerche è in qualche modo facilmente comprensibile da chiunque) [11]può però nella pratica trasformarsi in un ostacolo, la trappola appunto. Può funzionare bene nella fase di “adescamento”, ma male nella fase di “trasferimento”. Infatti, per spiegare veramente come si comprime un file mp3  o un’immagine jpeg,  sarebbe necessario squadernare analisi numerica, informatica e statistica e teoria dell’informazione e quant’altro. E non è per niente facile descrivere in modo sufficientemente preciso come la matematica sia intervenuta nell’operazione di compressione. Come a dire che la soluzione è sì evidente, e sotto gli occhi di chiunque (un file audio preso da un CD e che prendeva 50 Mb, ora ne occupa ora solo 5), ma passare dal problema e dalla sua risposta, al come, al perché serviva proprio la matematica, non è banale e necessita di una riflessione non improvvisata.  Noi però pensiamo che, almeno fino ad un certo punto, questo NON sia impossibile, ma che ci sia nel mezzo da risolvere un bel problema di linguaggio. Prima di proseguire vale la pena di fare ancora due considerazioni. La prima è che, al di là del fatto che per la società e la cultura sia importante la divulgazione matematica, crediamo che la divulgazione sia importante per la matematica stessa.  In una società in cui la politica o il mercato possono offrire o meno delle risorse, in cui c’è competizione tra le varie discipline per svilupparsi, è sempre più importante creare una coscienza generalizzata dell’importanza dei nostri studi. E questo è maggiormente vero per la matematica applicata. Nel senso che se vogliamo veramente applicarla, e non soltanto divertirci a giocare con le formule, dobbiamo trovare una controparte disposta ad ascoltarci e a capirci, ed essere capaci di rivolgerle la parola per spiegare realmente l’utilità di quanto facciamo. La comunicazione con studiosi di altre discipline come chimica, biologia, fisica, medicina, e tutti i possibili utenti (industriali, gestori, amministratori), è una condizione inevitabile di tutti i matematici applicati, che sono costretti ad affrontare nel migliore dei modi, se vogliono continuare il loro lavoro. Bisogna allora imparare a spiegare a un chimico o un architetto il significato dei modelli matematici, quali sono i dati numerici da immettere o come interpretare quelli che restituiscono, e a un manager occorrerà dire come e perché funziona un certo processo di ottimizzazione. La divulgazione, per un matematico applicato, comincia allora già all’interno del suo lavoro, è un ‘allenamento’ necessario che già quotidianamente sostiene sul campo.

La seconda cosa è che in realtà siamo già abituati, da sempre, ad un lavoro di traduzione delle nostre idee. Già nel momento in cui scrivo un articolo tecnico di matematica, devo in qualche modo tradurre per un’altra persona il casino di scarabocchi che ho prodotto sui miei fogli fino a quel momento. E a loro volta gli scarabocchi sono solo il segno di un’altra attività molto più indecifrabile che si dovrebbe svolgere nel mio cervello. Forse il linguaggio matematico simbolico è il più economico e adeguato per spiegare le nostre idee a un collega o agli studenti di un corso di dottorato, a persone cioè che dovranno imparare ad essere creative in quel contesto. Però possiamo cercare di immaginare un linguaggio meno operativo che ci permetta di descrivere più in dettaglio [12]di quanto non si faccia ora, cosa facciamo veramente quando diamo il famoso contributo matematico alla risoluzione di un problema applicativo.

Si è stabilito un consenso generale che determina tacitamente ma in modo massiccio l’atteggiamento verso la matematica. A nessuno sembra dar fastidio che la sua esclusione dalla sfera della cultura corrisponde a una specie di castrazione intellettuale. Chi giudica deplorevole questa situazione, chi mormora qualcosa sul fascino e l’importanza, sulla portata e la bellezza della matematica è considerato un esperto e guardato con stupore; e se si fa riconoscere come un cultore dilettante, passa nel migliore dei casi per uno stravagante che si occupa di un hobby insolito come se allevasse tartarughe o collezionasse fermacarte vittoriani.  H.M. ENZENSBERGER, Il Corriere della Sera”, 26 agosto 1998, pag. 27.

Per cominciare, come fare per evitare di valorizzare troppo l’oggetto dell’applicazione, trascurando così il contributo specifico che la matematica dà al problema? Certo, abituati al generale disinteresse per ciò che facciamo nella vita, come resistere alla voglia di stupire l’interlocutore dicendo: ma lo sai che ci sono dei modi matematici per caricare una nave in modo più efficiente? Ma lo sai che c’è stato un periodo in cui era possibile guadagnare in borsa con la matematica (ehm, non ora…)? Ma lo sai che ci sono geometri algebrici che lavorano per la Microsoft per disegnare la rete internet di nuova generazione? Ma lo sai che ci sono tessuti, disegnati con l’aiuto dei matematici, che non si macchiano? Poi, però, magari non si dice nulla di come la matematica intervenga e cosa si fa realmente quando ci si occupa di uno di questi problemi.

La principale difficoltà che incontriamo quando cerchiamo di affrontare questo problema è su come trattare il linguaggio simbolico che tutti noi riteniamo indispensabile. Quando i matematici sono passati, nello studio delle equazioni algebriche, dal chiamare l’incognita “cosa” al chiamarla “x”,  di colpo si sono aperti nuovi mondi e nuove possibilità. Non è facile pensare di risolvere un’equazione differenziale senza scriverla. Non è facile far capire, a chi non sa cosa sia una derivata, come si usa l’equazione del calore di Fourier, per esempio nello studio della trasmissione del segnale intracellulare. Eppure è questo che capita quando dobbiamo parlare con dei biologi di questo problema. Si possono immaginare soluzioni, utilizzando la grafica al computer o lunghe descrizioni delle proprietà delle soluzioni, ma bisogna anche trovare il modo per dire precisamente cosa stiamo facendo, far capire le potenzialità e i limiti dell’approccio matematico, cercando di essere attraenti, chiari, ma allo stesso tempo informativi.
Per uscire un po’ dalla vaghezza in cui vedo, ahimé, procedere il mio ragionamento, vorrei fare un esempio specifico raccontando qualche cosa della mia esperienza di matematico nel settore dei beni culturali. Circa 10 anni fa, a seguito di una chiacchierata con un chimico, Lorenzo Appolonia, della Soprintendenza ai Beni Culturali di Aosta che collaborava con alcuni informatici del mio Istituto, incominciai a ragionare sulla possibilità di utilizzare modelli matematici per la previsione del danneggiamento dei monumenti. Lo stato dell’arte non era certo incoraggiante, nel senso che i pochi che parlavano di matematica per i beni culturali utilizzavano formule empiriche di tipo statistico mutuate dall’ingegneria civile (in un altro senso, era proprio questo ad essere incoraggiante…), e cominciai allora a raccogliere un po’ di materiale e a incontrare vari esperti del settore. Ricordo a questo proposito una bella passeggiata su un ponteggio allestito nel 2000 intorno alla colonna Traiana, in compagnia di una restauratrice della Soprintendenza di Roma, che mi convinse definitivamente a occuparmi del problema, non fosse altro che per la bellezza di quei bassorilievi visti da vicino…
Ora, non è questa la sede per entrare nel dettaglio del lavoro che abbiamo fatto con i miei collaboratori sul problema delle formazione delle croste di gesso sulle superfici di marmo dei monumenti, ma insomma dopo qualche tempo mi ritrovai a giocherellare con un modellino non lineare di reazione rapida che sembrava abbastanza promettente. Riuscii anche a convincere un laboratorio di Ingegneria Chimica della Sapienza, quello di Carlo Giavarini e Maria Laura Santarelli del CiSTeC, a mettere dei pezzetti di marmo in una bottiglia in presenza di biossido di zolfo per vedere cosa succedeva. Il mio problema era che avevo cercato di fare un modello semplice, e questo modello diceva alcune cose precise che temevo di non ritrovare negli esperimenti, tra cui la presenza di una discontinuità netta tra la crosta di gesso e il marmo, e un certo vincolo sulla velocità di propagazione del fronte: la crosta doveva crescere come la radice del tempo di esposizione (a concentrazione costante).
divert_sito_html_m5bd5dae5All’inizio in realtà non successe praticamente nulla, perché avevano usato della Pietra di Lecce estremamente permeabile e resistente per oltre un mese alla formazione di croste. Poi però cominciarono ad usare del buon vecchio marmo di Carrara e dopo una settimana Maria Laura mi mandò la foto per me ancora oggi molto emozionante di un’incredibile mezzaluna, in cui la crosta, della cui esistenza cominciavo a dubitare, si stagliava magnificamente netta.

Il modellino dunque funzionava abbastanza bene, lo spessore della crosta avanzava come previsto, e in breve mi trovai a dover spiegare questo risultato a tre tipi di pubblici diversi. In primo luogo i colleghi matematici, che se da un lato dovevo invogliare ad ascoltarmi (perché anche i matematici devono essere invogliati, in generale è costume dormire più o meno discretamente ai seminari dei colleghi, ed è già un buon risultato comunicativo il fatto di tenerli svegli), dovevo anche riuscire a far capire loro il problema a livello tecnico: c’era un limite di reazione rapida, un problema di stime per l’esistenza globale della soluzione a causa di una degenerazione in un’equazione e di un maledetto termine quadratico nel gradiente a secondo membro,  e poi una difficoltà tecnica a passare dalla dimensione uno a più dimensioni dove intervenivano delle stime di tipo Gagliardo-Niremberg; insomma, per farla breve c’era tutto un armamentario tecnico tipico dei talk classici di matematica e quindi, a parte qualche foto artistica, nulla di straordinario. Il secondo tipo di pubblico era quello più tipico della divulgazione: studenti e professori di liceo, colleghi di altri settori. Per loro preparai una conferenza dal titolo “Tesoro, mi si sono ristretti i monumenti!”.  Divertente (forse pure troppo). Mostravo alcune equazioni, spiegavo in dettaglio la storia della radice del tempo, facevo finta di improvvisare una spiegazione della legge di Fick per i non specialisti (in cui io ero una molecola di SO2 che deve scegliere dove andare e, da vero snob, sceglievo di andare dove si trovava il minor affollamento…). Ma il più difficile fu il terzo tipo di pubblico: gli specialisti del restauro, i soprintendenti, gli storici dell’arte. Ora, in realtà, anche se è importante fare conferenze istruttive e divertenti, in questo caso mi stavo giocando la credibilità stessa di tutta l’operazione. Bisognava evitare di confondere il Solfato di Calcio con il Solfito [13], ma anche fornire delle motivazioni sufficienti perché cominciassero ad usare delle nuove metodologie per la previsione della crescita delle croste di gesso. Perché su questo argomento un bel po’ di persone aveva scritto un sacco di lavori e dovevano capire 1) se funzionava veramente e, cosa ancora più importante, 2) che cosa cambiava nel loro lavoro. Insomma immaginate di trovarvi al convegno mondiale delle pietre (sic!) o davanti a uno storico dell’arte che è la massima autorità italiana nel settore del restauro, e dovete cercare di far capire a cosa serve un modello matematico. Una delle cose che credo sia passata è che la matematica poteva prevedere qualche cosa che per loro risultava misterioso, ossia che la crescita della crosta non è proporzionale nel tempo, e che se dopo un anno la crosta ha uno spessore di 4 micron, non vuol dire che dopo 100 ne avremo 400, ma in realtà solo 40 (vedi Tabella 1). Che grazie alla crescita che noi chiamiamo diffusiva (la famosa legge di Fick – che ormai dopo la mia scenetta dominavano perfettamente…), ossia proporzionale alla radice del tempo trascorso, in realtà sarebbe meglio evitare di pulire troppo spesso le superfici, per non perdere troppo materiale sottostante: se ogni anno pulisco, dopo 4 anni ho perduto 16 micron, se non pulisco soltanto 8. E questo era un argomento che capivano, su cui c’era stata anche una lunga guerra di opinioni, e in cui la matematica sembrava portare un argomento nuovo. Certo, sarebbe meglio che la crosta non ci fosse per nulla, e in alcuni casi basterebbe diminuire l’umidità relativa per evitare che succeda ma, anche qui, soltanto con un modello matematico è possibile prevedere quando e dove intervenire. E proprio questo è lo scopo del progetto in corso per cui, grazie ad una ormai chiara comprensione del significato delle radici quadrate, il Ministero dei Beni Culturali ha deciso di finanziare le nostre ricerche.

Sulla base di questa e di altre esperienze, mi sono fatto l’idea che una cosa che funziona, sicuramente accanto a tante altre, è che, nel cercare di creare un canale di comunicazione in cui il pubblico stia ad ascoltare interessato, è molto utile poter parlare di cose che ci appassionano veramente e che conosciamo bene e in primo luogo di cose che facciamo in prima persona. Sarebbe utile che ognuno di noi, nel suo piccolo, contribuisse al lavoro della divulgazione, a tutti i livelli, dai bambini, alle scuole superiori, ai festival scientifici, all’interazione con altri scienziati e colleghi, per evitare di creare un divario troppo grande tra una classe di divulgatori professionisti, coloro che dedicano la maggior parte del loro tempo a questa impresa, e che in realtà è necessario che esista,  e coloro che proseguono la loro normale attività scientifica.  Per questo, insieme ad alcuni colleghi, lo scorso inverno ho deciso di proporre alla SIMAI di creare un gruppo specifico per la divulgazione della matematica applicata (SIMAI-DMA), un gruppo che riunisse matematici attivi in questo settore, cercasse di coordinare i loro sforzi e che si facesse aiutare nelle sue attività da alcuni esperti di comunicazione, giornalisti scientifici come Pietro Greco, ma anche persone con un doppio background, matematico e giornalistico, che seguissero più da vicino la realizzazione delle varie iniziative. A questo gruppo hanno aderito i Politecnici di Milano e Torino, La SISSA, la Scuola Normale di Pisa, il Centro “Anile” di Catania e naturalmente i due Istituti del CNR, e poi tante persone sparse per tutta la penisola, da Trento a Salerno a Cagliari, passando per Roma e Ferrara. Abbiamo deciso di avviare la nostra attività con due obiettivi ben distinti: divulgazione nelle scuole e pubblicizzazione delle nostre ricerche nei mezzi di comunicazione. Stiamo finendo di realizzare uno spazio WEB, MADDMATHS [14], Matematica Applicata Divulgazione e Didattica, all’interno del nuovo portale SIMAI. Questo spazio dovrebbe contenere:

  • news sulla matematica applicata (una mini-agenzia di stampa);
  • schede di tipo divulgativo su vari argomenti, un po’ sul modello dei Mathematical moments AMS;
  • Archivio di presentazioni multimediali (ppt, immagini, filmati) per le scuole ed eventi vari (festival, notti bianche, settimane della scienza…).

Come prima uscita abbiamo deciso di organizzare una giornata speciale dedicata a questi argomenti durante l’ultimo convegno SIMAI e, all’interno di questa giornata, abbiamo presentato un esperimento di comunicazione con più linguaggi, ossia le Variazioni sul tema della goccia. Partendo dagli Exercices de style di Queneau, scrittore e matematico per caso, abbiamo voluto provare a comporre delle ‘Variazioni sul tema’, che ruotano intorno a una ricerca di Antonio De Simone, matematico (meno per caso) della SISSA di Trieste, su un problema di idrorepellenza, ossia sulle condizioni in base alle quali una goccia di fluido può ‘rotolare’ su una superficie senza macchiarla o lasciar traccia.

E abbiamo tentato di trovare dei linguaggi adatti a raccontare questa ricerca, elaborando due pezzi: una favola, “Belba la goccia”, accompagnata da un’animazione, in odore di Rodari e un breve racconto “La goccia perfetta”, ispirato alle Cosmicomiche di Calvino. A queste due incursioni della letteratura nella matematica abbiamo affiancato due interventi di divulgazione che pur seguendo un metodo classico sono scanditi da un linguaggio innovativo, il tutto preceduto da cinque tragici minuti di “hard mathematics”, che marcassero la distanza tra il linguaggio usato per lavorare e quello per raccontare. Con queste ‘prove tecniche’, che sono visibili per ora sul sito web del CNR (CLICCA QUI), e hanno visto la collaborazione di due giovani scrittori/comunicatori, Stefano Pisani e Chiara Valerio, un attore, Fabio Cocifoglia, e un grafico, Gianluca Vatore, abbiamo cercato di dimostrare almeno due cose:

che (anche) in matematica è necessario raccontare a più livelli e mescolando i linguaggi. Ai fini della diffusione della cultura matematica, bisogna tener presente che le inclinazioni delle persone, le intelligenze, sono diverse e peculiari: un individuo si potrà allora conquistare alla matematica con l’esca della letteratura, ad esempio, o con quella del fumetto o dell’animazione;

che la matematica applicata ha bisogno di una divulgazione “su misura”, che sappia stupire il pubblico con le sue applicazioni, ma sappia anche spiegare dove e perché la matematica si è resa necessaria.

Il mio intervento finisce qui. Il progetto di divulgazione della matematica applicata del gruppo SIMAI-DMA comincia ora e continua sul sito internet Maddmaths, presto raggiungibile dal nuovo portale SIMAI http://www.simai.eu .


[1] Il testo è stato alla base dell’intervento di Roberto Natalini al convegno Diffusione della Matematica: come e perchè. INDAM, Roma, 28-29 Novembre 2008, e per questo è scritto in prima persona.

[2] In realtà era quasi un gioco di parole. Oudeis, “nessuno” in greco antico, somiglia nella pronuncia a Odysseas, il nome greco di Ulisse.

[3] Qui minuscolo, sic!

[4] In quell’Impero, l’Arte della Cartografia giunse a una tal Perfezione che la Mappa di una sola Provincia occupava tutta una Città, e la Mappa dell’Impero tutta una Provincia. Col tempo, queste Mappe smisurate non bastarono più. I Collegi dei Cartografi fecero una Mappa dell’Impero che aveva l’Immensità dell’ Impero e coincideva perfettamente con esso. Ma le Generazioni Seguenti, meno portate allo Studio della Cartografìa, pensarono che questa Mappa enorme era inutile e non senza Empietà la abbandonarono alle Inclemenze del Sole e degli Inverni. Nei Deserti dell’Ovest sopravvivono lacerate Rovine della Mappa, abitate da Animali e Mendichi; in tutto il Paese non c’è altra Reliquia delle Discipline Geografiche. (Suarez Miranda, Viaggi di uomini prudenti, libro quarto, cap. XLV, Lérida, 1658) Da Jeorge Luis Borges, L’artefice. Ed. Mondadori i Meridiani vol. 1, p. 1253. “Sta nevicando sulla maledetta mappa, non sul territorio, testa di cazzo!” urla Pemulis a Penn. Da David Foster Wallace, Infinite Jest, Einaudi, p. 400.

[5] In realtà questa storia della porta accanto è nata un po’ per caso. Come calco mnemonico dal celebre film di Truffaut che mi colpì, appena ventenne, con un’allora sconosciuta Fanny Ardant. Ma in effetti, scava scava, è un modo di dire pieno di ambiguità. Se la ragazza/il ragazzo della p.a. è l’oggetto conosciuto per eccellenza, in realtà è proprio dalla realtà della p.a. che nascono i più imprevedibili misteri (Rosemary’s baby tra i tanti). Altrimenti, se non ce ne fossero e tutto fosse familiare, dovremmo più correttamente parlare di “casa nostra”, di “familiare” o affini. Invece questa porta che separa la nostra realtà più immediata, da quella cosa contigua, accessibile, eppure per ora, forse solo momentaneamente, velata (dalla porta appunto e dal tratto di pianerottolo che ci separa) è proprio il simbolo di una diversità. Più in là arriverò a dire che “La Matematica della p.a.= matematica applicata”.

[6] “Il modello allegorico del Melodramma Matematico sembra essere più classicamente Tragico, il suo suo eroe una figura del tipo Prometeo/Icaro nelle cui alte vette sono anche la hýbris e l’Errore Fatale. Se può sembrare un po’ grandioso, beh, lo è; ma è anche una precisa descrizione del modo in cui il Melodramma Matematico caratterizza il progetto della Matematica pura – come niente meno che la ricerca finale per la Verità Divina.” E inoltre: “In realtà, la strana paura e disgusto che la matematica scolastica provoca in molte persone, è parte di ciò che rende eccitante l’emergere del Melodramma Matematico: se il genere riuscisse a trovare il modo per rendere più viva la matematica pura e comunicare la straordinaria bellezza e la passione di questa disciplina al lettore medio, entrambi, il lettore e la stessa matematica, ci guadagnerebbero.” da David Foster Wallace, “Rhetoric and the Math Melodrama,”. Science. 22 December 2000.

[7] Ma poi esistono attività come le altre? Avete mai provato a parlare con un giocatore di golf professionista? Con un collezionista di Manga? Avete mai provato a giocare a Magic? Avete mai sentito parlare una commessa di un negozio di profumi?

[8] Può offrire, ed è l’esperienza di molti di noi, un’attività piena di significato, che, contrariamente a quello che spesso si pensa, ci permette di confrontarci in modo quasi oggettivo e direi palpabile (sic!), con problemi profondi e di interesse non strettamente individuale (come forse solo la letteratura sa fare). Problemi sorprendentemente esistenti al di fuori della nostra semplice soggettività. Perciò, se è vero che tutti nella vita abbiamo bisogno di cose a cui attaccarci, che polarizzino le nostre giornate, fornendoci una motivazione non passeggera, bene, la matematica può essere una di quelle cose. è capace di riempire le nostre giornate e i nostri discorsi con un’autoevidenza che spesso è negata ad altre forme espressive. Ed è forse questo che dovremmo riuscire in primo luogo a comunicare. Ma sì, lo sappiamo tutti, non è così facile.

[9] “What are the Physical Consequences of Perelman’s Proof of Thurston’s Geometrization Theorem?: Can profound theoretical advances in understanding three dimensions be applied to construct and manipulate structures across scales to fabricate novel materials?” dall’ultima call del DARPA “Mathematical Challenges”, https://www.fbo.gov/

[10] La regola zero, mi dicono, è di sapere chi è il pubblico, fosse anche fatto solo da noi stessi.>

[11] Qui forse bisognerebbe anche dire che non è cosi banale e molto dipende dall’intelocutore. Se un liceale può commuoversi con la descrizione degli algoritmi di compressione di un file mp3, dubito che mio padre, ingegnere di 80 anni, sappia cosa siano (verificato, non lo sa…).

[12] Sottintendo che il dettaglio in realtà potrebbe essere infinito e anche il paper scientifico non conterrà mai tutti i dettagli possibili, ma si fermerà al livello di permettere al lettore erudito di riprodurre il ragionamento (a volte si fa apposta di fermarsi subito prima e lasciare un piccolo spazio vuoto per i più intelligenti…).

[13] Che in realtà nel modello sono identificati, sic!

[14] Forse vale la pena di dire che questo acronimo è un esempio terribile di coda di paglia di tipo matematico: i matematici sono considerati matti per antonomasia, allora noi ci chiamiamo matti (doppiamente) per far capire che non lo siamo…

Roberto Natalini [coordinatore del sito] Matematico applicato. Dirigo l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr e faccio comunicazione con MaddMaths!, Archimede e Comics&Science.

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