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Non sempre due specie che convivono finiscono per combattersi fino alla vittoria della più forte. Un modello matematico spiega come sia possibile.

 

 

Non sempre due specie che condividono la stessa nicchia ecologica finiscono per combattersi fino al prevalere di una sull’altra e un modello matematico ha spiegato il perché. Il segreto della pacifica convivenza, se approfondito, potrebbe un giorno portare anche a elaborare nuove terapie contro le cellule cancerose. Il modello matematico che ha spiegato  l’eccezionale, e finora pensato ipossibile, fenomeno di coesistenza  fra scarafaggi è stato elaborato da un gruppo di scienziati della University of Arizona, Jim Cushing, Thomas Vincent e Rosalyn Rael, e muove dall’osservazione di un anomalia rilevata per la prima volta in esperimenti condotti negli anni Sessanta da Tomas Park della University of Chicago. Park aveva osservato il comportamento di decine di generazioni di scarafaggi che si erano trovate a condividere uno stesso barattolo di farina. In ogni caso, due specie diverse messe a contatto avevano combattuto fino all’estinzione della più debole. Solo in un caso particolare questo non era avvenuto, e le due specie avevano convissuto pacificamente per oltre 30 generazioni. “Abbiamo notato che c’era stato un cambiamento di alcuni fenotipi, tratti caratteristici degli scarafaggi, durante la loro evoluzione. In particolare, erano diventati molto più voraci delle proprie uova” spiega Cushing. I matematici hanno allora integrato questa, e altre variazioni, in un modello basato sulla teoria dei giochi evoluzionistica, un’applicazione della teoria dei giochi a un contesto biologico. Il modello è stato capace di prevedere lo sviluppo della capacità di coesistenza come naturale conseguenza dell’evoluzione delle specie attraverso le varie generazioni di insetti. “Quello che è stato risolutivo – continua Cushing – è stato tenere conto di quello che noi abbiamo chiamato Effetto Boxer. Due specie simili di insetti che fanno la stessa cosa si infliggeranno certo a vicenda grandi pressioni, ma esisterà un punto in cui saranno così vicine che qualunque avvicinamento ulteriore causerà una diminuzione della competizione, perché riusciranno più a distinguersi”. Il team spera di poter presto arrivare a ecosistemi più complessi come il corpo umano, e capire magari quali sono i cambiamenti da indurre nelle cellule del cancro per mutare il loro modo di interagire con il corpo umano.

 

Fonte: University of Arizona

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