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In occasione della Cerimonia di Inaugurazione dell’anno accademico 2023/2024 dell’Università degli studi di Bari Aldo Moro che si è tenuta martedì 6 febbraio 2024 presso il Teatro Niccolò Piccinni di Bari, Sandra Lucente è stata invitata a tenere un intervento attinente al tema scelto per quest’anno, che era “Il senso del limite”. Riportiamo di seguito il testo dell’intervento di Sandra, e subito dopo il video ripreso durante la manifestazione (con il permesso dell’Università di Bari e dell’autrice).

Libro Primo degli Elementi, quinta nozione comune: l’intero è maggiore della parte.
È circa il 300 a.C., Euclide sta scrivendo. anzi costruendo, gli Elementi: un edificio con tutto il sapere matematico del tempo. Un edificio fatto di idee, non contenente idee, fatto di idee come fossero mattoni. Che passaggio ardito sarebbe dopo duemiladuecento anni ritrovarsi in tanti costruttori di sapere con le idee, non amministratori di contenitori di idee. Il primo problema sarebbero le idee da mettere alle fondamenta. Senza indagare troppo diciamo che Euclide decide per 5 assiomi, 23 definizioni e 5 nozioni comuni. In che senso comuni? Non speciali, ovvie, frequenti ma nozioni comuni a tutte le scienze. Ottimo spunto interdisciplinare Maestro! Per costruire un edificio fatto di idee occorre mettere alle fondamenta di ogni disciplina nozioni comuni con tutte le altre. Vediamo quali ha scelto Euclide per la geometria. Negli Elementi, le prime quattro nozioni comuni riguardano l’uguaglianza. Bello spunto anche questo. Cosa è uguale? Cosa rimane uguale? Quando si è uguali? Qual è la misura con cui stabilisco l’uguaglianza? In un pubblico in cui sono giuristi, economisti, fisici, letterati, ad ognuno la parola uguale sta suggerendo un esempio (ops) diverso. L’ultima nozione comune riguarda proprio la non uguaglianza. L’intero è maggiore della parte. L’attributo “maggiore”, ci invita ad una misura. D’altra parte, Euclide si sa è appassionato di geometria, della misura di quel che è terreno. Comune a tutte le scienze è appunto il misurare, che porta come conseguenza ad ordinare e comparare. In un pubblico dove ci sono filosofi, geologi, chimici, esperti di agraria e di lingue il misurare si declina in tanti esempi (ops) differenti.

Queste interpretazioni delle nozioni comuni erano già famose nel mondo greco. Ad esempio, si fa risalire ad Aristotele la versione “il tutto è maggiore della somma delle parti”. Questa non somiglia affatto alla frase euclidea se non fosse per l’attributo “maggiore”. La parte è diventata “la somma delle parti” e l’intero è diventato il “tutto”. In realtà la frase di Aristotele è “Di tutte le cose infatti che hanno più parti e il cui insieme non è come un mucchio, ma è qualcosa di intero oltre le parti, c’è una qualche causa”. A volerci capire qualcosa dovremmo mettere i protagonisti ad un tavolo per confrontarsi. Personalmente sarebbe interessante sapere cosa sia “un insieme che non è come un mucchio”. Tra l’altro il mucchio è una sorta di unità di misura in qualcuno dei nostri paesi; quindi Aristotele sta suggerendo un confronto tra insiemi a mucchio e non a mucchio.

Le parole al passare del tempo si mettono a giocare e così la frase mix Aristo-euclidea “il tutto è maggiore della parte” passa di copia in copia per un paio di millenni. Ma il secondo comple-millennio di “qualcosa è maggiore di qualcos-altro” è rovinato dai “Discorsi su due nuove scienze” di Galileo Galilei. Visto che questo dialogo ha tre personaggi chiediamo al gigante del Seicento di sedersi anche lui qui con Euclide e Aristotele a porre la domanda che fa pronunciare al suo personaggio Salvati: “i numeri quadrati siano quanti tutti i numeri […] tutti i numeri esser più che i propri quadrati, essendo la maggior parte non quadrati.” Insomma, Galileo trova che il tutto dei numeri 1,2,3,4 e così via non è maggiore della sua parte di quadrati 1,4,9,16 e così via. Riassumiamo questa domanda dello scienziato toscano con “c’è un tutto non maggiore della sua parte.”

Mentre Aristotele ed Euclide segnano un punto interrogativo al margine delle loro frasi, noi non possiamo che constatare che dietro tutti questi ragionamenti c’è di nuovo una misura, un confronto, stavolta tra tutti i numeri quadrati e il mondo dei numeri interi. Se i numeri non sono maggiori della loro parte dei quadrati, cosa possiamo dire? Sono uguali? La domanda suscitata dall’esempio galileiano resta sospesa nell’aria per più di due secoli. Poi arriva George Cantor a darne risposta. A dire che “negli insiemi infiniti l’intero è equipotente ad una sua parte propria.” Sussulta Euclide, negli insiemi finiti la sua nozione comune è salva. E ripensa al suo teorema timoroso, quello non geometrico. Aveva provato che “I numeri primi sono non-finiti”. Una delle più belle dimostrazioni di sempre, senza il coraggio però della parola “infinito” che traducesse “non-finito”. Forse per questa dimostrazione se Cantor arrivasse in questo consesso farebbe per primo un saluto ad Euclide e poi quello a Galileo. Ma adesso son loro a doverlo ascoltare, a sentire il racconto di quello che i matematici chiamano “il paradiso di Cantor”. Lì esistono infiniti infiniti. I punti di un minuscolo segmento sono maggiori di tutti i battiti di cuore che ci sono stati e che in ogni futuro ci saranno. Perché, caro Aristotele, i punti di un segmento non sono un insieme fatto a mucchio, qualunque cosa tu intenda per questo. Nel segmento c’è il continuo di un punto dopo l’altro, e tra due di questi ancora infiniti punti e pescane altri due e ne trovi altri infiniti in mezzo, una vertigine. Quindi non è che uno tra te ed Euclide abbia torto e l’altro abbia ragione. Anche adesso che Cantor ha ragione.

Noi siamo i figli del Novecento, il tempo in cui persino i matematici hanno imparato a rispondere alle domande con la parola “dipende”. Quante parallele per un punto esterno ad una retta? Dipende! Il tutto è maggiore della parte? Dipende! Una tazza da tea è la stessa cosa di una ciambella? Dipende! Ma prima di ogni vago “dipende”, c’è una precisa domanda! È una gran fortuna che l’Università di Bari sia nata in questo tempo storico ricco di domande, di interpretazioni e persino di dubbi. È il tempo in cui la ricerca diventa cosmogonia costruisce universi per trasformare ogni “dipende” in un luogo possibile. Su una sfera niente parallele, sul piano una sola parallela per un punto esterno ad una retta data, su un vulcano infinite parallele. Vediamo quali sono gli universi che rispondono alla questione di cui stanno discutendo i nostri convegnisti immaginari. Qui esulta Aristotele, il suo “tutto maggiore della somma delle parti” ha trovato ragione nelle proprietà emergenti dei sistemi complessi, che trascritti in una lettera d’amore di Calvino diventano “io credo che noi due a e b se siamo insieme non valiamo solo la somma a+b ma una quantità maggiore di a+b.” Scuote la testa Cantor, negli insiemi infiniti la somma cambia ancora. Si interroga Galileo, come sperimentare così tanti mondi? Ma non c’è un limite a queste domande? Alla costruzione di questi universi? Sembrerebbe di sì, ripensando a Cantor che pur avendo creato una gerarchia di infiniti, non mise nella matematica l’infinito assoluto. Eccoci ancora sulla stessa idea: anche un concetto astratto come l’infinito ha chiamato una misura, un confronto.

Figuriamoci se non chieda tantissime misurazioni l’ignoto reale, come possiamo conoscerlo senza che venga misurato? E qui si attiva Euclide: grazie alla geometria Eratostene ha calcolato il raggio terrestre senza satelliti e droni. Il pensiero come sguardo verso l’interno, persino l’interno del pianeta. Sorride Galileo, che dal cannocchiale ha realizzato lo sguardo ampliato verso l’esterno, descritto cose mai viste prima. La visione dell’universo che viviamo ha richiesto davvero che fosse superato un limite? Sembra proprio questo l’elemento che spinge la nostra natura scientifica. Sin da piccoli chiediamo in giro se i numeri finiscano, ma lo facciamo con l’assoluta certezza che questo non accade, non nella nostra potenza razionale. Poi passiamo al mondo reale e vogliamo provare a contare le stelle e la sfida diventa non l’infinito ma il semplice numero molto grande. Infine, quando ci passano gli strumenti giusti ci immergiamo nel mondo degli atomi, ci sembra quasi naturale quell’uno seguito da ventitré zeri nel numero di Avogadro. Con la stessa spiensieratezza bambina stiamo generando oggi un accumulo di informazioni che fa impallidire il mucchio aristotelico. È più facile immaginare di sommare uno per infinite volte rispetto a capire il tutto che sia somma dei Big Data. Ma se proveremo a misurare questo tutto dovremo confrontare i Big Data con la memoria collettiva. Ognuno di noi ha 86 miliardi di neuroni, circa un terzo delle stelle della nostra galassia, la spinta a conoscere è ovviamente immensa, l’abbiamo chiamata con nomi diversi sete, sperimentazione ma anche fantasia e immaginazione. Queste inducono arte e tecnologia. Ma c’è un momento che mette le fondamenta ad ogni nostra creazione e invenzione: il momento dello studio, della comprensione, del confronto tra i dati, della misura.

Misurare il mondo significa comprenderlo, e occorre che questo esercizio diventi costante per essere cittadini. Insegnare a misurare è un doppio dovere; ad esempio, occorre spiegare quale vana possibilità c’è in un gioco di azzardo e questo si fa bene usando i numeri aventi grandi potenze, sì ma negative. Raccontare con le misure aiuta ad incuriosire, conducendoci in quei luoghi che contengono il tempo: i decenni, i secoli, i millenni. In primis le biblioteche, far sentire davanti ad un libro antico non solo lo sforzo di chi l’ha scritto, ma anche tutti gli sguardi che lo hanno studiato prima di noi. Lo stesso per i musei, a cogliere bellezza che non sappiamo misurare ci aiuta la misura del tempo dedicato a cercare le tante testimonianze, a classificarle, a raccontarle. Alla fine, il mistero stesso diventa il numero. Alla domanda “cosa è un numero” spesso si risponde “è una misura”. No, non è davvero così. Il numero stesso va misurato. Ci sono i bellissimi numeri irrazionali nella cui coda possiamo trovare ogni combinazione di cifre, ma con quale distanza si ripete una stessa combinazione? Ecco che occorre un altro numero che misuri questa distanza. E visto che si tratta di stringhe non potremmo fare lo stesso gioco per le parole nei grandi romanzi, addirittura nella collezione di tutti i romanzi mai scritti? Insomma, datemi una disciplina e vi troverò una misura che la faccia progredire e che aiuti a raccontarla.

Ma ci occorrono misure diverse, una misura per il filo, una per il foglio, una misura per la precisione degli orologi atomici, una per l’imprecisione di un bordo di cellule malate. Per ogni cosa che vogliamo misurare ci occorre anche un nome di misura. Persino il Sistema Internazionale e le tabelle di conversione possono essere viste come edifici fatti di idee, non contenitori di idee. E questi edifici non si completano mai. Pensate che il nome al quetta (uno seguito da trenta zeri) e del suo reciproco piccolissimo quecto sono stati assegnati solo un paio di anni fa a tradurre l’aspettativa di generazione di tantissimi dati informatici o di profondissime discese tra le particelle elementari. Sarà questo il limite delle nostre misure? Forse è più importante la domanda su come si scelga tra i dati. Nell’edificio della teoria degli insiemi c’è un discusso assioma della scelta, i matematici lo usano con molta parsimonia e solo quando hanno a che fare con l’infinito. Ma oggi dobbiamo chiederci come si sceglie tra un numero finito ma enorme di possibilità. Vengono condivise 66000 foto al minuto su Instagram, effettuale 6 milioni di richieste al minuto su Google. Nel mondo sono stati pubblicati 2milioni e mezzo di articoli scientifici in un decennio. Più di mezzo miliardo di righe di ricerca. Se riflettiamo su ciascuna di queste righe per 8 minuti ci vorranno 4 miliardi di anni per capire quello che abbiamo già scritto, quanto l’età del pianeta Terra.

Come scegliere la frase più importante? Addirittura, come riconoscere tra queste righe la formula vera, come piace ai matematici? Studiare, scrivere, leggere, capire, scegliere, riconoscere sono passi diversi. L’intelligenza artificiale ci dovrebbe aiutare nella scelta e nel riconoscere, ma prima va essa stessa studiata, capita, scelta. Che strano però, su tutte quelle righe prodotte nell’ultimo decennio oggi abbiamo ripescato Euclide ed Aristotele, Galileo e Cantor. La frase più famosa di George Cantor recita “l’essenza della matematica è la sua libertà”. Una libertà senza limite?

Euclide e Aristotele ci guardano straniti, loro non hanno mai nemmeno usato questa parola. Per loro c’è l’estremo, il termine, il bordo, ma non il limite, questa parola viene dopo. Limite è dal latino limes, cioè il confine. E conoscendo il racconto di quelle battaglie e di quei condottieri romani verrebbe subito di dire che il limite chiede il superamento: il limes è il confine dell’impero. E se invece ci fosse il confine dell’intero? Euclide guarda Aristotele, sembra che questo gioco di parole metta in luce una differenza tra “l’intero è maggiore della parte” e “il tutto è maggiore della somma delle parti”. L’intero non è il tutto, perché l’intero e il tutto hanno un confine, un limite appunto diverso. Un cubo di Rubik ha 43 trilioni di combinazioni, circa 43 seguito da 18 zeri, lo stesso ordine di grandezza degli insetti presenti sul pianeta. Eppure, noi sappiamo esattamente la combinazione iniziale che desideriamo ricomporre, a questo scopo pensiamo algoritmi di risoluzione, apprendiamo ricette e tecniche per rendere uguali le facce. Per gli insetti è diverso, possiamo classificarli, ma ci perdiamo nello scegliere una certa zanzara, una specifica farfalla. Questo esempio forse rende la differenza tra l’intero e il tutto.

Al confine dell’intero si arriva per semplice convergenza e quindi mai in tempo finito, un passo dopo passo da una generazione alla successiva. E quanto più ci si avvicina tanto più si conosce l’identità dell’uomo, le sue potenzialità, le sue mancanze che stanno racchiuse appunto in quell’intero. Ai confini del tutto c’è altro tutto, il passaggio al limite passo per passo, potrebbe generare oscillazioni sempre più violente, caos, disperdere l’informazione cercata, nel migliore dei casi andrebbe a zero. Perché anche zero è una misura. L’intero invece è uno, la misura più antica, l’identità. L’intero è maggiore della parte, ma la parte uomo nell’intero dell’universo guarda ai confini dell’intero per conoscersi e conoscere il suo ruolo. Questo uomo abituato a misurare scopre che il pianeta su cui abita ha un raggio di un triliardesimo dell’Universo osservabile e sa che la sua dimensione è sette ordini di grandezza inferiore a quella del suo pianeta. In totale pesiamo nel cosmo quanto un protone in un chilogrammo. Ma come quel protone non si può staccare senza enormi conseguenze, così guardando le nostre relazioni con le varie parti dell’universo, soprattutto nella rete con i nostri simili, noi diventiamo parte dell’intero. Possiamo addirittura cambiare ancora la frase di Euclide, renderla: Ogni parte è essenziale per l’intero.

Potrei fare il semplice esempio di una maglia che si rompa in una trama così che la sfilatura si propaghi. Oppure c’è un esercizio mentale che potremmo fare per il centenario di Uniba, chiederci cosa sarebbe stata Bari in questi cento anni senza l’Università. Si sfilerebbe la trama della città. Ogni parte è essenziale per l’intero. Pensiamo al ramo bruciato da cui non prosegue l’albero. Pensiamo al viaggio interrotto da cui non discende più una famiglia. Ogni parte è essenziale per l’intero. Per capirlo sentiamo il disagio di un ballerino che si fermi improvvisamente in una coreografia di gruppo distruggendo completamente la finzione scenica. E in matematica ci basta riprendere quel segmento fiero dei suoi infiniti punti che si sconnette con un solo taglio, con un solo unico punto mancante non è più un segmento. Ogni punto è essenziale per l’intero.

Questa idea non è la contronominale delle frasi su cui abbiamo lasciato discutere Euclide, Aristotele, Galileo e Cantor. Ogni parte è essenziale per l’intero è il paradigma con cui dovremmo vivere questo nuovo tempo. Una parte che sappia misurare il proprio impatto sul pianeta, che guardi il confine dell’intero e si dica responsabile di quello che può distruggere la Terra. Per questo suo essenziale ruolo ogni singolo dovrebbe fare naturalmente scelte ecologiche nell’uso delle risorse comprendendo che 8miliardi di singoli, 8miliardi di parti sono un tutto vicino al limite.

Ogni parte è essenziale per l’intero anche quando esprime le proprie idee fondate su confronti e misurazioni, come fa la scienza, che è appunto parte essenziale della conoscenza intera. In questo secolo nuovo dove ogni parte è essenziale per l’intero, la nostra Università deve dedicarsi all’ascolto delle domande, ne deve proporre nuove, deve ascoltare universi di ricerca moderni anche se il loro suono è ancora confuso da risposte frettolose. E nessuna parte può sottrarsi a queste sfide, mentre l’intera l’Università è tenuta ad ascoltare tutti i suoi singoli attori.

Ad esempio, potremmo selezionare un punto della nostra ricostruzione per il centenario, che so, un solo studente, un solo docente, un solo nome. Una sola particolare frase per cogliere la continuità della nostra storia ed anche il segreto della connessione tra la nostra storia e quella della città, del Paese stesso. Eccola:

“Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo
e speriamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che,
ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo,
tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria
esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di
essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo.”

Lo diceva per noi, lo diceva per oggi, lo diceva l’essenziale ed integerrimo studente e docente di Uniba, Aldo Moro.

Sandra Lucente

Guarda la lezione di Sandra Lucente in video

 

Roberto Natalini [coordinatore del sito] Matematico applicato. Dirigo l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr e faccio comunicazione con MaddMaths!, Archimede e Comics&Science.

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