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Uno dei problemi più complessi da gestire quando si affronta il virus SARS-CoV-2, responsabile della pandemia di COVID-19, è legato alla sua mutevolezza. Il concetto di “variante” del virus è ormai familiare a tutti: mutazioni a cui il microrganismo va incontro e che gli conferiscono maggiore o minore trasmissibilità, resistenza, pericolosità (per noi). Designate con le lettere greche, la prima variante fu battezzata Alfa, era il settembre 2020 e veniva registrata nel Kent, contea del Regno Unito. Attualmente, la variante di interesse clinico a cui siamo giunti è la Omicron, che possiede tre sottovarianti in costante evoluzione. Riuscire a determinare un modo per prevedere le possibili trasformazioni “preoccupanti” del virus, significherebbe essere un passo avanti rispetto alla minaccia del SARS-CoV-2, sotto il profilo sia terapeutico che vaccinale.
È questo l’obiettivo che si è posto un gruppo di ricercatori dell’Oak Ridge National Laboratory dell’Università del Tennessee di Chattanooga e della Tuskegee University. Come si legge nel loro studio pubblicato sulla rivista Polymers, gli scienziati hanno usato la matematica per individuare quali aree della proteina Spike (che il SARS-CoV-2 usa per agganciarsi alla cellula da infettare) hanno maggiori probabilità di mutare. La ricerca si è basata su un’analisi di tipo topologico. Quenisha Baldwin, Bobby Sumpter e Eleni Panagiotou hanno esaminato oltre 13 mila strutture proteiche depositate nell’archivio Protein Data Bank scoprendo che le mutazioni nella proteina Spike hanno maggiori probabilità di verificarsi in quelle aree che hanno una elevata energia libera topologica, che rende le proteine meno stabili. A conferma di questo risultato, la variante Omicron ha mostrato, effettivamente, una mutazione coerente con le previsioni date dai calcoli dei ricercatori.
La metodologia utilizzata dal team potrebbe non solo essere utile nella lotta al SARS-CoV-2 ma potrebbe avere applicazioni più ampie dato che gli scienziati ritengono che, basandosi essa sulla topologia delle proteine, sarebbe in grado di prevedere le mutazioni di qualsiasi proteina, il che potrebbe aprire la porta a una migliore comprensione delle dinamiche virali raggiungendo terapie farmacologiche più efficienti.

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