Sono già passati quattro anni. Il 2018 è l’anno della Medaglia Fields e l’appuntamento di agosto in Brasile, a Rio de Janeiro, sta già facendo montare pronostici e “rumors”: a chi andrà il cosiddetto “Nobel per la matematica”? Se sono in tanti a porsi questa domanda, altri, come lo storico Michael Barany, si interrogano invece sui criteri di assegnazione di questo prestigioso premio e sullo “spirito” che, ai giorni nostri, ha la Medaglia Fields.
La Medaglia Fields e il Premio Nobel hanno poco in comune sotto vari aspetti, criteri, procedure di assegnazione, valore economico etc. Il Nobel, poi, è generalmente il coronamento di una carriera, conferito a eminenti scienziati per lavori che hanno inciso notevolmente nel mondo della scienza. La Medaglia Fields, invece, viene assegnata a matematici che si trovano in un’età in cui una carriera è appena decollata, ma che sono ritenuti stelle nascenti della matematica. Scienziati, insomma, che nonostante abbiano meno di quarant’anni sono già arrivati a risultati eccezionali. Tuttavia, e qui si appunta la riflessione di Barany, all’inizio non era così.
La Medaglia Fields degli albori aveva obiettivi molto diversi: mirava soprattutto a cercare di promuovere gli studiosi relativamente non riconosciuti, più che mettere in vista i migliori giovani matematici dell’epoca. Insomma, si premiavano quelli promettenti, non le “star”, e solo nel 1966 il comitato per la Medaglia Fields decise per l’attuale compromesso di considerare i matematici con età inferiore a 40 anni. Se l’essere celebri, una volta, era quasi un motivo per non essere papabili, a un certo punto è diventato quasi un prerequisito.
Sarebbe il caso di tornare all’antico spirito della Medaglia?
L’interessante articolo (in Inglese) “The Fields Medal should return to its roots” è stato pubblicato su Nature ed è accessibile a tutti.