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In tempi di crisi energetica gli ultimi mesi sono stati segnati da un revival di notizie riguardanti la fusione nucleare. Ai primi di Febbraio il nuovo record di produzione di energia segnato dal Tokamak di Oxford, capace di tenere acceso il plasma per cinque secondi, ha raggiunto le prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo. La cosa non stupisce: la fusione nucleare potenzialmente rappresenta una sorgente energetica illimitata, priva dei problemi di gestione delle scorie della energia nucleare e dall’impronta carbonica trascurabile. Pochi sanno, però, che dietro la costruzione dei generatori a fusione, tra problemi ingegneristici formidabili, e soprattutto dietro a quel nome strano tokamak e all’altrettanto bizzarro stellarator in uso in Germania e Giappone, si nascondono problemi di Geometria Differenziale altrettanto complessi. Ce ne parla Nicola Ciccoli.

Confinamento Magnetico

Il plasma è uno stato della materia che, nelle condizioni richieste per la fusione nucleare, raggiunge temperature dell’ordine dei milioni di grado: non ci sono pertanto materiali, sulla terra, in grado di contenere, a contatto, plasma a quella temperatura. Il problema viene risolto dal fatto che le particelle di plasma ad alta temperatura sono tutte ionizzate, quindi sensibili all’effetto di un campo magnetico. Questo campo magnetico può essere usato per obbligare le particelle a seguire una traiettoria predeterminata. L’effetto del campo magnetico sul moto di una particella altrimenti libera è di trasformare la sua traiettoria inerziale da retta, una geodetica dello spazio piatto, a curva seguendo una linea di flusso che prende il nome di geodetica magnetica; in altri termini il campo magnetico agisce sulla particella come se il modo per calcolare le distanze venisse modificato, con un termine di penalizzazione dipendente dall’intensità e direzione del campo. L’idea, allora, è quella di creare un campo magnetico che spinga le particelle di plasma a muoversi all’interno di una superficie toroidale, confinandole lungo traiettorie che, genericamente, si distribuiscono sulla superficie di tori concentrici. Questo impedisce alle particelle di entrare a contatto con le pareti del contenitore, a sua volta a forma di ciambella, e quindi di evitare i problemi creati dall’enorme calore del plasma. Si tratta del cosiddetto confinamento magnetico. Qui nasce la prima difficoltà, notata già da Fermi. I conduttori magnetici necessari a generare questo campo torico sono delle fasce circolari attorno al toro stesso. Il fatto che le loro spire interne siano più vicine tra loro di quanto non siano le spire esterne genera un campo magnetico più intenso quanto più ci si avvicina all’asse del toro. La differenza di intensità tra interno ed esterno crea un effetto di deriva, una corrente diamagnetica che spinge le particelle di plasma cariche verso l’alto o verso il basso e in breve spinge gli ioni a evaporare verso l’esterno, a toccare le pareti del contenitore. Addio confinamento magnetico, allora. Come è stato possibile risolvere questo problema?

Il Tokamak

Schema di funzionamento di un Tokamak

Confinamento magnetico in un Tokamak

Ci sono essenzialmente due soluzioni che sfruttano in maniera diversa la geometria della situazione. La prima è quella di indurre nel plasma una corrente elettrica capace di contrastare l’effetto di deriva. È questa la soluzione utilizzata dai cosiddetti Tokamak, progettati per primi in URSS da Igor Tamm e Andrei Sakharov negli anni ‘50. Essenzialmente le particelle invece che muoversi lungo circonferenze attorno all’asse del toro si muovono lungo eliche toroidali, alternando quindi momenti in cui sono più vicini all’asse e momenti in cui sono più lontani dall’asse, cosa che porta i diversi contributi di deriva a cancellarsi su tempi non troppo lunghi e impedisce la separazione delle cariche. L’insieme delle linee di flusso del plasma all’interno di un Tokamak finisce comunque per costituire un toro leggermente schiacciato verso l’interno (si parla di D-shape, la forma ottenuta ruotando una D attorno a un asse verticale) attorno a cui le traiettorie si avvolgono in maniera solenoidale. Il comportamento di lungo periodo è però molto difficile da prevedere in pratica perché il flusso del plasma così generato è molto instabile. Poiché il plasma risulta complessivamente carico elettricamente, gli effetti non lineari di interazione tra particelle sono in grado di perturbare la simmetria del flusso toroidale e portare ad una sua instabilità, specialmente nella fase di innalzamento della temperatura. Si tratta del fenomeno della cosiddetta instabilità di Kruskal, dal nome del matematico statunitense che per primo, negli anni ’50, ne studio il comportamento teorico. Si possono creare cosiddette isole magnetiche all’interno del plasma che non sono stabili da un punto di vista magneto-idrodinamico ma che hanno la tendenza a ingrandirsi. Questo comportamento è responsabile per un limite massimo di densità del plasma all’interno dei Tokamak, superato il quale il comportamento del plasma diventa sostanzialmente imprevedibile.

Lo Stellarator

In blu i magneti di uno Stellarator e in giallo la distribuzione del plasma.

La soluzione degli Stellarator è ancora più radicale. E’ possibile contrastare l’effetto di deriva del plasma immaginando di rinunciare alla simmetria assiale. Il risultato è quello di far disporre il flusso lungo una sorta di doppio toro ritorto a formare una sorta di nastro di Moebius a sezione circolare, utilizzando magneti esterni dalla forma non perfettamente circolare e disposti lungo un doppio toro. A piegarsi, in questo caso, non sono solo le traiettorie delle singole particelle ma tutta la quantità di plasma contenuta nello spazio vuoto interno al reattore. Anche in questo caso si possono ottenere effetti di deriva che si cancellano tra loro, ma il plasma, complessivamente risulta avere uno stato stazionario. Le traiettorie delle singole particelle risultano enormemente più complicate ma ciò permette di ottenere un plasma complessivamente assai più stabile. Le isole magnetiche, in fase di accensione, continuano ad essere possibili ma le caratteristiche geometriche del flusso tendono a farle rimpicciolire. Questo permette sia di confinare una quantità complessiva maggiore di plasma che di non avere limiti teorici alla sua densità. Progettati già dagli anni ’50 e caduti in disuso per un lungo periodo a causa delle grandi difficoltà sia ingegneristiche che matematiche per realizzarli, sono, negli ultimi anni tornati almeno parzialmente in auge, grazie ad alcuni esempi di successo. I due Stellarator più promettenti sono, al momento, il tedesco Wendelstein-X e il giapponese Heliotron, dalla forma particolarmente complessa.

Una immagine dell’interno dell’Heliotron giapponese.

L’analisi della geometria dei flussi magnetici del plasma all’interno di questi macchinari è resa possibile anche dal largo uso di tecniche di soluzione numerica delle soluzioni delle equazioni delle geodetiche magnetiche. Non possiamo dire, oggi, se gli studi sul confinamento del plasma magnetico saranno in grado, a breve, di realizzare veramente il sogno di una energia abbondante e pulita. Certamente nell’affrontare i problemi di confinamento del plasma, le conoscenze matematiche hanno, sino ad ora, svolto un ruolo decisivo. Ruolo che non sembra potrà essere minore anche nel futuro.

 

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