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Un eccitante prequel della Matematica del colore, attraverso la storia degli scienziati che nel diciottesimo e diciannovesimo secolo hanno dato una struttura rigorosa alla sensazione del colore. Ci regalano questo viaggio, Edoardo Provenzi, Professore all’ Université de Bordeaux e Valentina Roberti, assegnista di ricerca presso l’Università di Padova. Questo è il quinto episodio. Tutti gli episodi usciti li trovate in questa pagina.

Dagli episodi precedenti, a partire da Newton, passando per Mayer, Lambert, Göthe, Young fino ad arrivare a Maxwell, l’importanza cruciale della geometria per lo studio del colore dovrebbe risultare evidente. Non è quindi un caso che alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento altri tre grandi scienziati, Riemann, Helmholtz e Schrödinger abbiano proseguito questo cammino utilizzando la neonata geometria differenziale per indagare i misteri della percezione del colore ancora più in profondità.

Questo episodio è dedicato interamente alla figura di Hermann von Helmholtz (1821-1894), che fu uno straordinario esempio di scienziato multidisciplinare. Nel campo della scienza del colore, Helmholtz si dedicò a studi sulla fisiologia della visione, percezione del colore e ad esperimenti sul mescolamento di luci colorate. Iniziò le sue ricerche sul colore nel 1849 quando venne nominato professore di fisiologia a Königsberg, l’odierna Kaliningrad.

Helmholtz, come Maxwell, prese come punto di partenza per la sua indagine la teoria di Newton e in particolare l’analogia con il calcolo del baricentro. Tuttavia, le sue ricerche si inserirono in un terreno particolarmente fertile relativamente alle nuove idee geometriche, preparato da due grandissimi matematici, Gauss e Riemann.

Gli esperimenti di Helmholtz sul mescolamento dei colori rivelarono infatti un’asimmetria del diagramma del colore: se si rimane nell’ambito della geometria euclidea (nella quale la distanza più corta tra due punti è un segmento di linea retta), allora la forma del diagramma dei colori non può essere né circolare né triangolare. Infatti, Helmholtz osservò sperimentalmente che la formula del baricentro proposta da Newton continuava a funzionare solo se il diagramma di cromaticità veniva deformato nella forma a campana disegnata nella figura sottostante.

È questo il primo prototipo di quello che diventerà il diagramma di cromaticità della CIE, come mostrato nell’episodio 4 de “La matematica del colore”, disponibile qui.

Grazie ai suoi esperimenti, Helmholtz comprese un altro punto cruciale relativo alla geometria del diagramma di cromaticità: se si utilizza la distanza euclidea tra coppie di punti per calcolare la loro differenza percettiva, allora il diagramma non è uniforme.

Per spiegare questo concetto, consideriamo due coppie di punti nel diagramma di cromaticità, la prima nella regione del blu e la seconda nella regione del rosso. L’evidenza empirica mostra che, quand’anche la distanza euclidea tra le due coppie di punti sia la stessa, la loro differenza percettiva non lo è, in quanto esse appartengono a regioni diverse del diagramma. Come diretta conseguenza si ottiene che la metrica euclidea, che è invariante per traslazioni, deve essere esclusa dai potenziali candidati a rappresentare la metrica percettiva del colore.

Questo fatto sarà sottolineato in modo ancora più rigoroso quasi un secolo dopo, precisamente nel 1942, da David Lewis MacAdam attraverso le sue celebri ellissi (si veda ancora l’episodio 4 de “La matematica del colore”, qui). Helmholtz, profondo conoscitore dell’opera di Bernhard Riemann (1826-1866), riconobbe nello spazio del colore un fertile campo di applicazione della geometria differenziale, secondo la filosofia dello stesso Riemann. Questo gli permise di esaminare metriche alternative a quella euclidea per rappresentare le distanze percettive tra colori. Helmholtz propose in due lavori del 1891 e 1892 un cambiamento dalla distanza euclidea a quella oggi conosciuta con il nome di metrica di Helmholtz-Stiles.

Per capire come interpretare la metrica di Helmholtz, occorre riportare il fondamentale contributo di Ernst Heinrich Weber (1795-1878) e Gustav Theodor Fechner (1801-1887), considerati i padri della psicofisica, ovvero quel ramo della psicologia che studia, con metodo sperimentale, i rapporti che legano i fenomeni percettivi ai fenomeni fisici. Il punto di arrivo dei loro studi è la cosiddetta “legge di Weber-Fechner”, che dice che la nostra percezione della variazione di uno stimolo fisico è logaritmica. Questo significa che grandi variazioni di stimoli fisici sono compresse in variazioni percettive molto più ristrette, il che è essenziale per riuscire a percepire con un adeguato numero di dettagli gli stimoli provenienti da sorgenti fisiche molto diverse. Senza dilungarci in una trattazione matematica troppo complessa riportiamo qui di seguito la formula della metrica di Helmholtz, coerente con la legge di Weber-Fechner:

\(ds^2_{WF}=\left(\frac{dx}{x}\right)^2+\left(\frac{dy}{y}\right)^2+\left(\frac{dz}{z}\right)^2.\)

Non è tanto importante capire i dettagli di questa formula, quanto confrontarla con quella della metrica euclidea:

\(ds^2_{euclidea}=dx^2+dy^2+dz^2,\)

si vede che le due metriche hanno un’espressione differente a causa dei denominatori che appaiono nella metrica di Helmholtz.

Storicamente, quello di Helmholtz è il primo tentativo di estendere la legge unidimensionale di Weber-Fechner a uno spazio tridimensionale, quale è lo spazio del colore.

Alla luce di queste osservazioni, è sorprendente notare che la CIE abbia deciso di rimanere testardamente ancorata alla metrica euclidea per misurare distanze percettive pagando il prezzo dell’introduzione di funzioni arbitrariamente scelte e parametri ad hoc, come sottolineato in modo caustico ma divertente da Koenderink, uno dei più importanti colorimetristi del Novecento: “la colorimetria CIE si presenta come una vera e propria camera degli orrori e il suo trattamento del colore è dominato da definizioni ad hoc piene di numeri magici e di funzioni arbitrariamente adattate ai loro scopi”.

Vale la pena terminare questo episodio dicendo che i risultati sperimentali ottenuti attraverso test psico-visuali hanno sempre mostrato che la modifica della metrica euclidea doveva andare verso una sola direzione, quella iperbolica. Come già discusso nell’episodio 5 de La matematica del colore, disponibile qui, la prima persona che riuscì a codificare le proprietà iperboliche della percezione dei colori in termini matematicamente rigorosi fu H.L. Resnikoff nel 1974.

Edoardo Provenzi e Valentina Roberti

#fine quinto episodio

curato da Barbara Nelli

Questo è il gatto della copertina: si chiama Panko e non è stato maltrattato.

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