Il 2020 vede per l’Italia oltre due milioni di famiglie in condizione di povertà assoluta, cioè con una spesa mensile al di sotto della linea di povertà. Per l’ISTAT, sono 5,6 milioni le persone in questa situazione, il 9,4% dell’intera popolazione, a fronte del 7,7% del 2019. Se l’incidenza maggiore è registrata al Sud, è al Nord l’aumento più significativo delle fasce povere. Allo stesso tempo, la ricchezza tende a concentrarsi in una fascia sempre più ristretta della popolazione. Di questo si occupano i modelli matematici che descrivono la distribuzione della ricchezza.
Sul finire dell’Ottocento è l’ingegnere ed economista italiano Vilfredo Pareto a fornire una prima descrizione sistematica, studiando la distribuzione dei redditi in alcuni paesi dell’occidente. Nel 1897, nel suo “Cours d’Economie Politique”, Pareto sostiene, presentando evidenze sperimentali, che, fissato un valore di ricchezza \(w\), la frazione di popolazione \(F(w)\) che possiede un livello di ricchezza almeno pari a \(w\) è circa uguale a \((\frac{1}{w})^p\), dove p è un esponente fissato che non dipende dalla nazione considerata. Ossia, all’aumentare della ricchezza, la fascia di popolazione che possiede almeno quel livello diminuisce seguendo una legge di potenza. Pareto arriva ad una stima per p di circa 1,5.
Alcuni decenni dopo, il matematico polacco naturalizzato francese Benoît Mandelbrot, famoso per aver introdotto i frattali, corregge la legge formulata da Pareto. Osserva che questa legge vale solo per alti valori della ricchezza w, mentre per valori più bassi fornisce delle stime errate. Nel 1960 in “The Pareto-Lévy Law and the Distribution of Income”, Mandelbrot propone una versione modificata della legge di Pareto, ma valida solo per grandi valori di w. In questi casi è possibile stimare il valore dell’esponente p: ad esempio, è circa 1,6 per gli USA e compreso tra 1,8 e 2,2 per il Giappone. L’errore di Pareto è stato il non considerare che in generale pochi ricchi possiedono ben più del 50% della ricchezza di un intero paese. Ad esempio in Italia, il 5-7% dei più ricchi possiede il 50% della ricchezza nazionale.
Negli ultimi decenni i modelli applicati al problema della distribuzione della ricchezza sono quelli forniti dalla meccanica statistica. La popolazione è vista come un sistema di entità che interagiscono secondo uno schema probabilistico e si studia la distribuzione della ricchezza in media. Differenziando i modelli rispetto al contesto, la descrizione va raffinandosi. Se da un lato si conferma la legge di Pareto per alti valori di ricchezza, per il restante 90% della popolazione la situazione è nettamente più complicata (vedere qui i dettagli). Dallo sviluppo dei modelli della meccanica statistica, emerge che la distribuzione della ricchezza è influenzata dal livello culturale posseduto, come mostrano Lorenzo Pareschi e Giuseppe Toscani in “Wealth distribution and collective knowledge: a Boltzmann approach”. I dati italiani del 2020 confermano queste analisi. Secondo l’ISTAT, in Italia l’incidenza della povertà assoluta sulle persone con il titolo di scuola secondaria superiore è al 4,4%, mentre sale al 10,9% nel caso di licenza media. Il titolo di studio rimane il principale strumento per uscire dalle fasce più povere della popolazione.
C’è qualcosa che non va nella prima parte dell’articolo: prima viene detto che Mandelbrot osserva che la legge di Pareto vale solo per grandi valori di w e che la corregge, poi viene detto che anche la correzione di Mandelbrot vale solo per grandi valori di w. Ma allora la correzione di Mandelbrot in cosa è consistita?
Inoltre il link per l’articolo di Pareschi e Toscani punta invece ad un articolo, sulla stessa tematica generale, di Dragulescu e Yakovenko.
Mandelbrot osserva che la legge di tipo Pareto può valere solo per grandi ricchezze. E quindi ne propone una versione modificata, ma solo per alti valori di w.
La ringrazio per l’osservazione sull’articolo di Pareschi-Toscani: c’è stato un problema di link.