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Qualche settimana fa, in un gruppo Facebook di insegnanti della scuola primaria, ho visto un post in cui si chiedevano consigli riguardo alla “prova” da utilizzare per l’addizione: meglio usare la sottrazione, quale operazione inversa o la proprietà commutativa?

Molti degli interventi si focalizzavano sull’inutilità della prova (per la prova, basta la calcolatrice era uno dei commenti più gettonati). A differenza della maggioranza, ritengo che interiorizzare il concetto di “prova” fin dalla scuola primaria sia un’ottima cosa.

Ma andiamo con ordine.

Posso usare la calcolatrice, a cosa serve fare la prova?

La risposta più immediata a tale proposta è secondo me la controproposta “posso usare la calcolatrice, a cosa serve imparare a fare le addizioni?” (o le sottrazioni, moltiplicazioni, ecc, ecc.)

Una volta che stabiliamo che le calcolatrici fanno i conti meglio di noi, a cosa serve imparare a farli noi in prima persona? Dal punto di vista educativo, se stabiliamo che la prova la può fare la calcolatrice, come giustifichiamo il fatto che il conto in primis lo debba fare lo studente e non la calcolatrice?

Notare che questo ragionamento si può riproporre pari pari per cose più complesse, a cui di volta in volta si è soliti dare una risposta o l’altra: mentre non insegniamo più l’algoritmo per il calcolo della radice quadrata a mano (e accettiamo che venga delegato alle calcolatrici), continuiamo ad insegnare come risolvere le equazioni differenziali a coefficienti costanti (anziché farle fare a Wolfram Alpha).

Il punto è che decidere di delegare una operazione meccanica ad uno strumento tecnologico anziché farla noi stessi non è senza conseguenze. Imparare gli algoritmi non è un tecnicismo fine a sè stesso. Imparando un metodo di calcolo, imparo anche dei concetti teorici che stanno dietro al metodo di calcolo e riesco a capire meglio cosa succede. Delegando il “conto” (alla fin fine perché noioso), sto rinunciando in partenza a capire qualcosa.

In definitiva, bene usare uno strumento (calcolatrice, computer, Wolfram Alpha) una volta che già posseggo le basi teoriche per quel conto e, soprattutto, una volta che ho modo di controllare se lo strumento ha compiuto un errore. Troppo spesso ho visto studenti (universitari) fare \(200:2\) con la calcolatrice e rispondere senza porsi grossi problemi \(198\), \(202\), \(400\), semplicemente perché anziché \(:\) era stato pigiato il tasto di un’altra operazione, senza ovviamente porsi alcun problema. Mi chiedo: è solo un errore di conto? Secondo me, no. Siamo in presenza di una enorme difficoltà a trattare i numeri (davvero per dividere \(200\) per \(2\) devo utilizzare uno strumento diverso dalla mia testa?) e una totale incapacità di capire il risultato che dovrei ottenere. Se divido per \(2\) un intero positivo che finisce per \(0\), ottengo un intero positivo più piccolo (quindi non \(400\) o \(202\)) che finisce per \(0\) o per \(5\) (quindi non \(198\) o \(202\)). Ma come facciamo ad interiorizzare queste “prove” mentali? Appunto abituandoci fin da piccoli a “provare” i nostri conti e non a ritenere la calcolatrice come il deus ex machina della matematica.

La calcolatrice sbaglia

Inoltre, la calcolatrice (o lo strumento elettronico) sbaglia anche se io pigio tutti i tasti correttamente. Vediamo un esempio fenomenale:

quanto fa \(1-\frac1{10}-\frac1{10}-\frac1{10}-\frac1{10}-\frac1{10}-\frac1{10}-\frac1{10}-\frac1{10}-\frac1{10}-\frac1{10}=\) (dove \(-\frac1{10}\) è ripetuto \(10\) volte? Ovviamente \(1-10\frac1{10}=1-1=0\). Facciamo ora fare il conto ad Excel:

 

Ops… Excel ci dice che il risultato è \(1,39\cdot 10^{-16}\), che è poco, ma non è \(0\). Questo è dovuto al fatto che i computer lavorano in base \(2\) (e in base \(2\) \(\frac1{10}\) ha espansione infinita e viene pertanto immagazzinato dal computer non come frazione ma con una approssimazione binaria).

Il punto è che possiamo usare strumenti elettronici o meccanici per fare i conti al posto nostro, ma dobbiamo tenere a mente che possono sbagliare!

La paura di sbagliare

Abbiamo tutti un’enorme paura di sbagliare. Ci piace mostrarci bravi e infallibili. Ammettere la nostra fallibilità e i nostri errori è spesso un problema. Però sbagliamo tutti. Ed è naturale sbagliare. Anzi, può essere persino utile. Senza errori non impariamo. In effetti se non facciamo mai errori, vuol semplicemente dire che stiamo facendo cose troppo facili e non ci stiamo impegnando su qualcosa di sufficientemente stimolante. Spesso inoltre la scoperta di un errore può essere da guida per vedere qualcosa sotto una nuova luce e imparare qualcosa di nuovo. Per poi sbagliare ancora, ma sbagliare meglio.

Ritengo anche che sia cruciale, per gli studenti, vedere che anche gli insegnanti sbagliano e, soprattutto, che non hanno paura di sbagliare. Non va ricercata la perfezione e non bisogna indurre gli studenti a nascondere gli errori sotto il tappeto.

Non voglio però soffermarmi sull’utilità degli errori, di cui ho già parlato in una puntata di “Un matematico prestato alla Disney”.

Sono invece interessato al come imparare a scoprire i propri errori (e quelli altrui) quando abbiamo a che fare con la matematica.

Una visione Bayesiana (e scientifica) degli errori (di conto)

Il motivo vero per cui si studia la matematica a scuola è perché è il linguaggio della scienza, il linguaggio con cui comprendiamo il mondo che ci circonda e perché contribuisce a formare una mentalità scientifica.

Siamo però abituati a parlare di errore (di misura) nella scienza come inevitabile e a pensare che invece l’errore resti fuori dalla matematica. Vorrei proporre una prospettiva diversa. Ogni qual volta facciamo un’operazione matematica, risolviamo un’espressione o dimostriamo un teorema, c’è una certa probabilità non nulla (magari molto bassa, ma non nulla) che stiamo compiendo un errore.

Le “prove” servono appunto a diminuire la probabilità che sia presente un errore (nel conto o nel ragionamento) o a scovare che un errore c’è stato.

Questo vale nel caso più elementare (ho fatto una somma e verifico con la sottrazione) come nel caso più complesso (ho dimostrato un teorema, cerco un’altra dimostrazione o dei controesempi dei singoli passaggi).

L’abitudine a provare e testare quanto si è fatto deve diventare insita ad ognuno di noi: possiamo sbagliare ed è fondamentale avere un certo numero di verifiche mentali da applicare in automatico ogni volta. Non per essere certi di essere nel giusto, ma per diminuire la possibilità di essere nel torto o per darci la possibilità di correggere un errore.

Così come nella scienza sono fondamentali gli esperimenti volti a tentare di falsificare la teoria, nella matematica sono fondamentali le “prove” per cercare di trovare errori (di conto, di ragionamento…). Non potremo mai avere la certezza assoluta dell’assenza di errori, ma man mano che i tentativi di falsificare la teoria (di trovare il controesempio al teorema, di svolgere prove che confermano il calcolo), la nostra sicurezza che questa sia corretta aumenta.

Penso di avere questa visione filosofica dovuta al fatto che io sono (e sono sempre stato) un matematico da “controesempi”: più che a dimostrare, sono sempre stato bravo nel cercare esempi e controesempi. E’ incredibile quanto spesso si racconti (o si cerchi di dimostrare) un teorema senza un’ipotesi che è banalmente necessaria, pena un banale controesempio.

Le prove.

Ma quindi, in definitiva, che prove andrebbero fatte? L’ideale per una prova sarebbe di essere computazionalmente meno dispendiosa del conto di partenza, che si stia parlando di moltiplicazione, di integrali o di risoluzioni di equazioni differenziali. Una cosa che sono solito ripetere ai miei studenti è “tutti possono commettere stupidi errori di conto, ma se non sprechi 30 secondi per fare una prova banale che ti avrebbe fatto scoprire che hai fatto un errore, non è più un banale errore di conto, ma è qualcosa di più grave”.

Per quanto riguarda le operazioni elementari, le mie tipologie di prove preferite sono due: la stima dell’ordine di grandezza e le congruenze.

La stima dell’ordine di grandezza

Prima di fare un qualsiasi calcolo, devo avere un’idea approssimativa di cosa otterrò. Sto calcolando \(127\times832,12\)? Deve venire sicuramente di più di \(100\times832,12=83212\) e sicuramente di meno di \(127\times1000=127000\). Se ottengo qualcosa al di fuori di questo range, ho un problema. La stima dal basso sarebbe potuta essere più raffinata notando che il nostro prodotto è maggiore di \(125\times800=100000\). Il nostro prodotto cade fuori dal range previsto? Abbiamo commesso un errore.

Questo metodo di stime ce lo possiamo portare dietro anche quando calcoliamo gli integrali. Se devo calcolare \(\int_1^3x^2\,dx\), posso vedere che è sicuramente maggiore di \(2\) (l’area da stimare contiene un rettangolo \(2\times1\)) e minore di \(18\) (l’area da stimare è contenuta in un rettangolo \(2\times9\)). Magari non è una stima raffinatissima, ma mi capita spesso di vedere risultati calcolati da studenti confutati banalmente da osservazioni di questo tipo. Bisogna assolutamente interiorizzare un “senso matematico” di verifica della verosimiglianza dei risultati, se vogliamo acquisire una competenza matematica.

La prova del 9 (e le altre congruenze)

Una delle mie prove preferite è senz’altro la prova del nove. Mi aveva sempre affascinato da piccolo e sono rimasto molto colpito quando, più grandicello, ho scoperto che dietro di essa si nascondeva l’aritmetica modulare. Ne abbiamo già parlato nel corso di un matematico prestato alla Disney, ma voglio dare un suggerimento giocoso basato sull’album delle figurine Adrenalyn XL per introdurre la prova del nove.

Ovviamente, esattamente come la stima dell’ordine di grandezza, la prova del nove, o dell’undici (calcolando la somma a segni alterni delle cifre del numero, iniziando con segno \(+\) per le unità), o del due (semplice prova di parità: se moltiplico per un numero pari, il risultato deve essere pari…), non dà la certezza di aver trovato il risultato corretto. Ma combinando insieme tali prove (e interiorizzando il metodo di fare tali prove), possiamo essere ragionevolmente certi del nostro risultato.

Nota: per le spiegazioni del funzionamento della prova del 9, dell’11 o per altri criteri di congruenza, consiglio il bellissimo video del Math-segnale.

Le prove in pratica

Anche quando correggo i compiti di matematica di mia figlia le prime cose che faccio (nell’ordine) sono: controllo di parità, stima dell’ordine di grandezza, prova del nove, prova dell’undici. Solo una volta che tutte queste danno come risposta “non mi sembra che ci sia un errore” procedo nel leggere il conto fatto da mia figlia. E, invariabilmente, se c’è un errore di parità, di ordine di grandezza o della prova del nove (quella dell’undici non gliela ho ancora spiegata), parte la ramanzina “non potevi controllare che…”.

Non per pignoleria (anche se è vero che noi matematici siamo pignoli), ma perché è fondamentale automatizzare questa tipologia di ragionamenti, se davvero vogliamo avere un senso matematico che ci accompagni sempre.

Anzi, una volta che avrete padroneggiato le prove (e saprete farle in automatico), allora sì che potrete usare la calcolatrice (o Wolfram Alpha) per fare i conti: perché avrete un modo di sapere in anticipo che risultato attendervi e potrete verificare la plausibilità del risultato ottenuto.

PS Ovviamente un altro ottimo motivo nel padroneggiare le congruenze sta nell’evitare la maledizione del matematico al ristorante, ovvero il dover dividere il conto tra tutti gli amici. Non sapete quante volte me la sono cavata dicendo: “Mi spiace, ma \(123€\) non è divisibile per \(7\)”.

Edit ore 9:10: per una incredibile casualità, oggi i ragazzi del math-segnale parlano della prova del 9 (ma anche delle altre prove di congruenza), con un video bellissimo e chiarissimo. Ve lo consiglio.

 

Alberto Saracco

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