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Silvia Bencivelli intervista per Repubblica Giovanni Filocamo, Elisabetta Strickland e Roberto Natalini per commentare una recente ricerca su “Effetti intergenerazionali dell’ansia per la matematica dei genitori sull’ansia per la matematica e i risultati in matematica dei figli”.

Dai padri ai figli, la paura per la matematica è ereditaria

Se non siete bravi a fare i calcoli non contagiate i vostri figli: l’ansia per i numeri si trasmette. Meglio lasciarli da soli alle prese con tabelline e problemi. Un gruppo di ricercatori americani ha studiato i danni che fanno mamma e papà con la fobia per questa materia che in Italia non è sempre fra le favorite

di SILVIA BENCIVELLI

Sono ansie dei padri che ricadono sui figli. Ansie che si trasmettono con le discussioni serali al desco familiare, ma anche quando i bambini frignano sui compiti delle vacanze scalpitando per andare al mare. Sono vecchie antipatie di vecchi studenti, che i figli assorbono tra sospiri, rimproveri, frasi di rassegnazione e di condanna, e poi diventano voti bassi in pagella, pianti e sofferenze. Tutti in nome della matematica. È la cosiddetta matofobia: una malattia psicologica a trasmissione complessa di cui un gruppo di psicologi americani ha confermato la contagiosità per via familiare. Con una ricerca dal titolo “Intergenerational Effects of Parents’Math Anxiety on Children’s Math Achievement and Anxiety” (cioè “Effetti intergenerazionali dell’ansia per la matematica dei genitori sull’ansia per la matematica e i risultati i+n matematica dei figli”) hanno mostrato che, certe volte, sedersi al tavolo a fare i compiti coi bambini fa più male che bene. Soprattutto se non si riescono a nascondere le proprie antiche paure verso numeri ed equazioni.

I ricercatori americani hanno preso 438 scolari di 29 scuole di tre stati americani e hanno misurato le loro abilità matematiche e il loro stato di ansia all’inizio e alla fine dell’anno scolastico. Nello stesso momento, i genitori dei 438 scolari hanno compilato un questionario sulla propria matofobia e, a parte, uno su quanto spesso aiutino i figli nei compiti a casa. Il risultato è una franca condanna delle buone intenzioni: genitori matofobici, lasciate che i vostri bambini si arrangino coi compiti, tanto peggio di come fanno con voi non possono fare. Più i genitori sono a disagio con la matematica, si è visto infatti, più lo diventano anche i figli, ma solo se i primi hanno la pretesa, ovviamente malriposta, di aiutare i secondi. Aiutare per modo di dire, perché, se lasciati da soli di fronte al quaderno e allontanati dal genitore, i bambini degli ansiosi alla fine se la cavano come tutti gli altri. La psicologa americana Sian L. Beilock ha spiegato il problema in una frase: “confortare il figlio dicendo ‘nemmeno io sono portato per la matematica, quindi sta’ tranquillo’, non è affatto una buona idea”.

Perché, che si sia “portati” o meno per la matematica (qualsiasi cosa questo voglia dire), i bambini possono ricevere dai genitori un messaggio sbagliato: quello che impegnarsi non abbia senso e che il mondo li aspetti su altri fronti, più importanti e concreti. «Io vedo spesso genitori convincere i figli, anche senza averne l’esplicita intenzione, che la matematica non serva», racconta Giovanni Filocamo, matematico, autore del fortunato “Mai più paura della matematica” nonché project manager di Matefitness, un sistema di “palestre” dove ci si fanno i muscoli sulla matematica. «Sono magari avvocati di successo, e danno ai figli l’idea che se anche si va male a scuola in matematica pazienza, non succede niente di grave. Invece loro stessi usano la logica, per esempio, e non dovrebbero scoraggiare i figli dal fare esercizio ».

Filocamo nelle sue palestre vede intere classi scolastiche, ma nel weekend ospita anche le famiglie. «La situazione tipica è quella del genitore che, all’inizio, si considera poco più di un mezzo di trasporto per il figlio: lo porta lì, si mette in disparte senza nemmeno togliersi la giacca di dosso, e intanto il bambino si butta a terra a giocare. Alla fine della giornata spesso è il contrario: il bambino è stanco e vuole tornare a casa, mentre il genitore è per terra, concentratissimo, che vuole a tutti i costi risolvere il problema». Cioè: il punto è che alla fine, presentata bene, la matematica non solo non fa paura. Ma può anche essere divertente. Per questo, aggiunge Elisabetta Strickland, matematica dell’università di Roma Tor Vergata e scrittrice, «andrebbe insegnata con atteggiamento giocoso e associata all’idea di serenità».

Invece la matematica dalle nostre parti non gode di buona stampa. Ed è da tempo che si è notato che gli italiani dicono senza vergogna frasi che dovrebbero essere imbarazzanti, come “ah io di matematica non ho mai capito nulla”. Mentre si guardano bene dal confessare con lo stesso sorriso sornione “ah, io non ho mai imparato a usare gli accenti” o “ah, non leggo nemmeno un libro all’anno”. Ed è anche qui un po’ del problema: «Ma lo sapete che chi racconta di fare il professore di matematica viene guardato con sospetto?», scherza Strickland.

Ne segue che anche i ragazzi assorbono l’idea che uno bravo in matematica sia un tipo strano: «ancora oggi se sei quello che alza la mano in classe durante matematica sei un secchione un po’ sfigato», aggiunge Filocamo. E così via, generazione dopo generazione. Pregiudizio su pregiudizio. Invece i matematici sono come tutti: «odiano fare i conti, come tutti, e non hanno una gran memoria. Io, per esempio, dimentico sempre quale sia il numeratore e quale l’ordinatore (N.d.R.: il denominatore), quale l’ascissa e quale l’ordinata…», racconta, senza troppo scherzare, il direttore dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr, Roberto Natalini.

Quindi ecco la matofobia: un insieme di vergogne, condizionamenti, paure e pregiudizi, travestiti da normalità. Sono soprattutto due le sue cause, prosegue Natalini: «la prima è il fatto che, a differenza della maggior parte delle materie umanistiche, in matematica o hai capito o non hai capito. E se non hai capito non puoi andare avanti». Cioè: non puoi interpretare o salvarti con la dialettica. «Ma anche latino e greco funzionano così — precisa Natalini — e poi nessun essere umano medio è inadatto a capire i concetti della matematica proposti a scuola».

La seconda ragione è come, troppo spesso, viene ancora insegnata: «cioè un’applicazione cieca di regole ansiogene da imparare a memoria, piuttosto che un metodo di ragionamento ». Ma imparare la matematica così «è come imparare la musica facendo solo scale e arpeggi, e non esercitarsi mai su un bel concerto», conclude Filocamo. Per chi è così matofobico da arrivare a pensare che, beh, anche del bel concerto si può fare a meno, la risposta dei matematici è chiara: «dalle stelle del cielo alle cose più concrete della nostra vita, senza matematica non si può affrontare niente», riassume Strickland.

Quella del ministero dell’istruzione britannico lo è ancora di più: d’ora in poi i programmi di matematica della scuola dell’obbligo prevedranno anche competenze come dividere il conto al ristorante, gestire un mutuo sulla casa o non farsi fregare coi finti saldi. Niente di strano: sono compiti di matematica che gli adulti fanno tutti i giorni. Persino quel padre avvocato di successo che ha portato il figlio alla palestra della matematica ma è rimasto con la giacca addosso.

Articolo-settembre-2015-paura-della-matematic

Roberto Natalini [coordinatore del sito] Matematico applicato. Dirigo l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr e faccio comunicazione con MaddMaths! e Comics&Science.

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