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Il 22 aprile si è celebrato in tutto il mondo l’Earth Day, la Giornata Mondiale della Terra. Nata con l’obiettivo di sensibilizzare rispetto alle tematiche ambientali, è oramai un momento di riflessione sugli imminenti cambiamenti climatici ed i loro effetti. “Ma se è difficile prevedere il tempo tra due giorni, come è possibile prevedere l’aumento delle temperature tra trent’anni?” è il grido dei gruppi negazionisti.
È questione di differenza tra tempo (meteorologico) e clima.

Capire che tempo fa domani è una questione tutt’altro che semplice. Le condizioni meteorologiche sono determinate dalla circolazione atmosferica che dipende da svariate grandezza fisiche, tra cui volume, pressione e temperatura.  Per avere una buona previsione in Europa, è necessario conoscere con accuratezza le quantità di vapore acqueo nel sud-est asiatico.

Il matematico britannico Lewis Fry Richardson ottiene il primo sistema di equazioni che descrivono la circolazione atmosferica nel 1922. Assegnato un dato iniziale, le equazioni possono essere risolte numericamente e si ottiene così una previsione per le 6-12 ore successive. La risoluzione di queste equazioni  passa per lunghi e laboriosi calcoli, fatti a mano in quel periodo; da qui il sogno di Richardson della Fabbrica Meteorologica, una visione profetica dell’attuale sistema di calcolo parallelo.
Il 20 maggio 1910, prima ancora di ottenere il sistema completo di equazioni, il team di Richardson raccoglie i valori delle grandezze fisiche necessarie per ottenere la previsione meteorologica dopo sei ore. Dopo diversi giorni di conti, le soluzioni rivelano una situazione completamente diversa rispetto a quanto osservato.

Il problema è che le equazioni di Richardson sono troppo realistiche, il che determina una forte instabilità numerica.   Nel 1972 il meteorologo americano Edward Norton Lorenz racchiude questa problematica nel titolo della sua conferenza “Il battito delle ali di una farfalla in Brasile scatena un tornado in Texas?” presentando un sistema semplificato di sole tre equazioni in tre incognite per arrivare a dimostrare l’effetto farfalla. L’errore sul dato inziale perturba la soluzione finale. Le equazioni della circolazione atmosferica sono instabili (ne abbiamo parlato qui).
Recentemente è stato dimostrato che le previsioni meteorologiche non sono affidabili oltre i 4-5 giorni per le medie latitudini.

Ed eccoci giunti al cuore del problema. Se non possiamo conoscere con certezza il tempo che farà tra una settimana, come speriamo di prevedere l’aumento della temperatura tra trent’anni? La risposta è nelle definizioni. Prevedere il clima vuol dire che calcoliamo la media mobile del tempo atmosferico su trent’anni. Come conseguenza un giorno di eccessivo caldo o una grandinata non sconvolgono la situazione.

Supponiamo che la temperatura media negli ultimi cento giorni sia di 20° e che al centounesimo giorno ci sia un picco di 30°.  La media cambia di soli 0,1°. Molte giornate con temperature intorno ai 30° possono incidere sulla media. Dunque, a differenza del tempo meteorologico, il clima non cambia in continuazione.
Il clima di una certa regione è calcolato con la media delle temperature giornaliere per un arco di trent’anni. È un numero stabile e può cambiare solo se le temperature differiscono da questo valore per un periodo di tempo molto lungo e devono muoversi nella stessa direzione. Periodi molto caldi e molto freddi alternati almeno in prima approssimazione, si annullano. Allo stesso modo, il singolo evento atmosferico non può incidere sul valore finale.

I modelli climatici sono meno sensibili rispetto ai modelli meteorologici. Un piccolo errore nel primo caso può essere tollerato, nel secondo si prevede pioggia quando poi splende il sole.
Un primo esempio di modello climatico è ottenuto misurando la quantità di energia che arriva dal Sole per irradiazione. A questo punto si considera la quantità intrappolata per effetto serra, quella riflessa da ghiaccio e nuvole, e quella assorbita da oceani e mari. Le equazioni tengono conto di questi aspetti e della posizione della Terra rispetto al Sole nel corso dell’anno. Risolte numericamente si ottengono i valori climatici.

E i cambiamenti climatici?
Risolviamo ora le equazioni aggiungendo la produzione umana di CO2 per combustibili fossili. Il risultato è l’aumento di almeno 1° del clima per la fine del secolo. Ed un 1° significa l’innalzamento delle acque fino a diversi metri, con la perdita di metri di costa e danni irreparabili, come dimostra il caso dell’Antartide.
Quindi, sì, è più semplice conoscere come evolve il sistema tra trent’anni piuttosto che sapere in quali città pioverà la prossima settimana.

 

[Illustrazione di Luca Manzo]

Marco Menale

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