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Oggi si celebra il centenario della nascita del matematico britannico Christopher Zeeman, morto nove anni fa, che scrisse importanti teoremi di topologia delle varietà e di geometria dei sistemi dinamici, che però non hanno mai raggiunto notorietà da telegiornale. Ne parliamo qui perché fu precursore, nella seconda metà del Novecento, di temi cari a questo sito, anche se tuttora invisi a qualche eccelso dinosauro: interdisciplinarità, applicazioni, divulgazione e perfino didattica della matematica… Ci racconta qualcosa di lui Massimo Ferri. 

Sir (Erik) Christopher Zeeman (4/2/1925 – 13/2/2016) nacque un secolo fa a Yokohama da padre danese, che praticamente non conobbe mai, e madre inglese, che lo portò nella madrepatria. Dopo alcuni anni di servizio nella RAF, Zeeman studiò matematica a Cambridge. Lì conseguì il dottorato sotto la supervisione di Shaun Wylie, che era stato collaboratore di Alan Turing a Bletchley Park, come si seppe dopo molti anni. Dalla tesi venne fuori la “successione spettrale di Zeeman” uno strumento della topologia algebrica, che allora (1954) era in pieno fermento.  Dopo dei post-doc a Chicago e a Princeton, Zeeman tornò a Cambridge, dove si appassionò ad un’altra branca in rapida crescita: la topologia “lineare a tratti” (brevemente PL, piecewise-linear).

Per dirla alla spiccia, la topologia delle varietà (spazi localmente euclidei, come circonferenza, sfera, toro, probabilmente il nostro spazio, …) veniva e viene tuttora studiata in tre categorie: Top, dove le varietà sono viste semplicemente come spazi topologici; Diff, dove le varietà e le loro trasformazioni sono differenziabili; PL, dove le varietà sono triangolate, cioè omeomorfe a “complessi simpliciali”: altrimenti detto, sono in corrispondenza bicontinua con oggetti composti da simplessi (punti, segmenti, triangoli, tetraedri ecc.). Perché? Non ne bastava una? No, i problemi erano tali e tanti, che valeva la pena di affrontarli con armi diverse, anche se poi c’era un problema in più: capire se un risultato in una categoria valeva anche nelle altre. La categoria PL sembrava promettente, ma aveva bisogno di molto lavoro di fondazione, e Zeeman ci si buttò dentro di brutto. Lasciatemi sottolineare il fascino di questa categoria, che costituisce un ponte formidabile fra due aspetti apparentemente lontani della matematica: il continuo delle varietà stesse e il discreto dei complessi simpliciali che le triangolano; un punto d’incontro fra analisi e combinatorica!

Oltre che per il lavoro propriamente fondazionale, Zeeman ebbe un ruolo centrale nell’estensione della teoria dei nodi alle dimensioni superiori. Contribuì anche allo sviluppo di una tecnica, chiamata “engulfing”, inizialmente ideata da John Stallings; entrambi l’applicarono alla congettura di Poincaré generalizzata. Fatemi spendere due parole su questa storia nel Box 1 qui sotto.

Box 1: Congettura di Poincaré generalizzata (clicca per aprire)

Henri Poincaré propose nel 1904 la seguente congettura: ogni varietà 3-dimensionale con gruppo fondamentale banale (cioè in cui ogni cappio si possa stringere a un punto) è omeomorfa alla 3-sfera (cioè il bordo di una boccia 4-dimensionale). La congettura fu attaccata in mille modi per parecchi decenni. La cosa curiosa è che Stephen Smale dimostrò, nel 1961, una generalizzazione della congettura alle dimensioni n ≥ 5: se una varietà differenziabile è “omotopicamente equivalente” alla n-sfera, allora le è omeomorfa (ma non necessariamente equivalente in Diff). Le dimensioni alte rendevano più facili le cose! Stallings aveva usato l’engulfing per dimostrare la congettura generalizzata in PL per le dimensioni ≥ 7. Zeeman poté portare la dimostrazione alle dimensioni ≥ 5 anche per PL. Giusto per non lasciarvi in sospeso: la congettura originale, in dimensione 3, fu dimostrata nel 2002 da Grigorij Perel’man ed è valida in tutte e tre le categorie; quella generalizzata è vera, falsa o irrisolta in Diff a seconda della dimensione, in Top è vera per tutte le dimensioni, in PL è vera in tutte le dimensioni, tranne 4, dove è ancora un mistero. Una certa costruzione di Zeeman (il “cappello del somaro”, “Dunce hat” in inglese) potrebbe essere uno strumento per riempire questo buco.

Lungi dall’essere il genio nella torre d’avorio, Zeeman si interessava agli aspetti minuti del suo lavoro: immaginava una riorganizzazione radicale della didattica e perfino della logistica, cosa che a Cambridge venne presa male. Proprio in quegli anni venne istituita la Università di Warwick (la seconda w è muta: uòrik). In realtà l’università non è nella cittadina di Warwick e neanche nella vicina Coventry, ma è una specie di base aliena in mezzo al nulla verde delle Midlands: tutto il contrario delle tradizionali, ben inurbate Università di Oxford e di Cambridge. Nel 1963 Zeeman accettò di diventare il propulsore del nascituro Istituto di Matematica di Warwick. Fece adattare un edificio un po’ periferico del campus e pretese la costruzione di sei casette a semicerchio dietro all’istituto, che avrebbero ospitato visitatori. Cooptò alcuni suoi allievi di Cambridge e avviò una serie di simposi che avrebbero attirato la crema della matematica mondiale, con ricadute favolose su ricercatori e studenti locali. È così che la giovane Università di Warwick si classifica tuttora quarta nel Regno Unito e fra le prime trenta al mondo per la matematica.

Ogni anno un maxi-simposio occupava diversi mesi su un tema piuttosto ampio ed era l’occasione per fare incontrare e collaborare personalità incredibili. Nella common room, quando arrivava l’ora del tè, poteva capitare che ti sedesse vicino un visitatore come Misha Gromov, Steve Smale o lo stesso Zeeman. E anche un giovincello poteva parlare a lungo delle sue ricerche, a tu per tu con John “Jack” Milnor (medaglia Fields) o con Peter Hilton (un altro ricercatore segreto di Bletchley Park), o andare a una festa a casa di Richard “Dick” Hamilton (il cui lavoro sarebbe divenuto essenziale per la dimostrazione di Perel’man).

Quando scelsi Warwick per un anno di Master (1976/’77) lo feci proprio perché era la Mecca europea della topologia PL, ma sapevo già che ci avrei trovato un altro tema caldo: la geometria e topologia dei sistemi dinamici e in particolare la Teoria delle Catastrofi [1 ]E.C. Zeeman, “La teoria della catastrofe”, Le Scienze 96 (1976), 16-29 (vedi il Box 2). Quest’ultima tratta la descrizione geometrica di fenomeni discontinui ed era stata fondata da René Thom [2 ]Thom, “Stabilità strutturale e morfogenesi. Saggio di una teoria generale dei modelli”, Einaudi, 1980 oppure Ghibli, 2023; Zeeman l’aveva conosciuta durante un sabatico all’IHES e ne era subito divenuto un entusiasta sviluppatore. Se Thom, John Mather e Bernard Malgrange ne avevano stabilito le basi, Zeeman contribuì al suo sviluppo teorico, ma sempre avendone in mente le potenzialità applicative.

Box 2: La Teoria delle Catastrofi (clicca per aprire)

 Molti fenomeni sono descrivibili all’interno di spazi delle configurazioni che sono il prodotto di uno spazio di controllo (variabili che agiscono dall’esterno) e di uno spazio costituito da una o più variabili di comportamento. Oggetto della Teoria delle Catastrofi sono quei fenomeni in cui cambiamenti piccoli nello spazio di controllo causano cambiamenti repentini (discontinui) delle variabili di comportamento. Esempio paradigmatico: reazione di un cane a stimoli che provochino collera o paura. Spazio di controllo: Collera e Paura. Variabile di comportamento: la reazione di fuga o di attacco. Modello: la catastrofe a cuspide, caratterizzata da: bimodalità, salti, stato intermedio inaccessibile, isteresi, divergenza.

Cuspide

L’applicabilità della teoria si appoggia su un teorema di classificazione per le catastrofi su spazi di controllo di dimensione fino a 4. Esse sono illustrate nella tabella sottostante, dove a, b, c, d sono le variabili di controllo, x, y le variabili di comportamento e la (iper)superficie della catastrofe è data dai punti dove si annullano le derivate prime rispetto a x, y.

Il corso di Teoria delle Catastrofi non era nel mio curriculum, ma non ne persi una lezione. Zeeman era un docente fantastico: ammiravo il perfetto equilibrio fra processo deduttivo, esempi, applicazioni; il suo piglio entusiastico non permetteva di distrarsi o tanto meno di annoiarsi. Consiglio di guardare il video conclusivo di una serie di Christmas Lectures della Royal Institution, trasmesse dalla BBC, per vederlo all’opera. Ogni mercoledì, poi, c’era un seminario a due voci: Zeeman con un teorico delle costruzioni, o con uno psichiatra, o con un demografo, ecc. Questo modus operandi era inconsueto in Inghilterra, figuriamoci in Italia, dove perfino l’uso dei gessetti colorati veniva disdegnato come un’eccentrica frivolezza: ero stupefatto. Eravamo ancora nella scia della rivoluzione dovuta al Bourbaki, che regalò una cristallina pulizia al ragionamento matematico, ma che provocò un effetto collaterale di snobismo purista nella ricerca e nella didattica. Zeeman era tutto l’opposto e si riallacciava bene alla tradizione dei matematici che, fino a un secolo prima, traevano ispirazione dall’esperienza concreta e dalle applicazioni.

Zeeman lo dichiarava senza pudore: quando lo sviluppo teorico raggiungeva livelli troppo astratti preferiva “scendere dal treno” e sporcarsi le mani. Per la lunghissima lista degli ambiti in cui propose applicazioni delle catastrofi, rimando all’appassionato articolo di David Rand[3 ]D.A. Rand, “Sir Erik Christopher Zeeman. 4 February 1925—13 February 2016”, Biological memoirs of fellows of the Royal Society (2022), https://doi.org/10.1098/rsbm.2022.0012. Le applicazioni andavano dal capovolgimento di uno scafo al ciclo sonno/veglia, alle transizioni di fase, all’andamento della borsa. I guai vennero quando Zeeman pretese di applicare le catastrofi a fenomeni sociali. In particolare il suo studio sui disordini nelle carceri attirò feroci critiche: si voleva forse dare in mano al direttore di un carcere uno strumento pseudoscientifico che giustificasse una repressione preventiva? In effetti forse Zeeman aveva tirato troppo la corda: gli stessi parametri, con cui geometrizzava le situazioni studiate, erano piuttosto artificiosi, e in ogni caso la modellizzazione di fenomeni sociali non può essere assimilata a quella di fenomeni fisici. Spezzo una lancia in suo favore: i suoi modelli non promettevano una previsione quantitativa, ma qualitativa. Sapere, grazie alla classificazione delle catastrofi elementari, la “forma” generale del fenomeno dice già molto, anche senza conoscerne i contorni precisi; per esempio, se sapessimo che è una catastrofe a cuspide, ci dovremmo aspettare salti, isteresi, divergenza. 

Zeeman si spostò verso la didattica e la divulgazione; non si limitò a praticarle, ma ne discusse anche i fondamenti teorici. Restavano in campo i suoi molti allievi, che hanno compiuto progressi su sistemi dinamici, singolarità, caos, teoria dei nodi, topologia delle varietà. Christopher Zeeman ha mostrato che ci può essere una felice simbiosi fra matematica pura, applicazioni della matematica e quella che amo chiamare “matematica orientata alle applicazioni”.

Massimo Ferri

Massimo Ferri

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Note e riferimenti

Note e riferimenti
1 E.C. Zeeman, “La teoria della catastrofe”, Le Scienze 96 (1976), 16-29
2 Thom, “Stabilità strutturale e morfogenesi. Saggio di una teoria generale dei modelli”, Einaudi, 1980 oppure Ghibli, 2023
3 D.A. Rand, “Sir Erik Christopher Zeeman. 4 February 1925—13 February 2016”, Biological memoirs of fellows of the Royal Society (2022), https://doi.org/10.1098/rsbm.2022.0012
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