Ci è stato segnalato (il solito Marco Fulvio Barozzi, in arte Kees Popinga) che nel blog Matematichevole di Riccardo Giannitrapani c’era un post interessante, un manifesto, con alcuni spunti di discussione sull’insegnamento della matematica nella scuola secondaria. Crediamo possa essere un punto di partenza per un discussione operativa tra coloro che si interessano di didattica della matematica. Lo ripubblichiamo, parzialmente, con il permesso dell’autore.
Ho sognato che avevo disegnato dei tasti
di pianoforte sul tavolo di cucina.
Io ci suonavo sopra, erano muti.
I vicini venivano ad ascoltare.
Tomas Tranströmer
A Carla Quirina che mi aiuta ad ascoltare.
Da quando insegno matematica a ragazzi e ragazze in età adolescenziale ho imparato a convivere con il dubbio. I versi di Tranströmer qui citati rappresentano in modo preciso il mio sentimento di insegnante; quando penso alla matematica posso distintamente udire una musica, a volte strutturata, a volte spontanea, ma è una musica silenziosa, bisogna imparare prima di tutto a sentirla, poi ad ascoltarla, infine a riprodurla. Ritengo che questa sia la sostanza del mio mestiere, separare le note dal rumore.
Ho deciso di mettere in forma scritta gli assunti, espliciti ed impliciti, della mia didattica; per i miei studenti e le mie studentesse, per le loro famiglie, per me. Questo manifesto, raccolta di intenti più che di pratiche, mi aiuta a fissare alcuni punti per me importanti, frutto di molte ore passate tra dubbi, ripensamenti, paure, convinzioni. Ovviamente non presenta soluzioni o ricette, sottolinea semmai un problema, reale o immaginato; propone una riflessione. Inoltre non vi è in questo documento alcuna pretesa di completezza, originalità, efficacia o pertinenza. Non vi è completezza in quanto è un lavoro in corso d’opera che forse non finirà mai di richiedere continue revisioni e ripensamenti. Non vi è originalità in quanto molte delle cose qui scritte sono sicuramente pratica comune di tanti colleghi e tante colleghe decisamente più capaci di me. Non vi è efficacia in quanto tutto il mio ripensare il mestiere di insegnante si riflette in una didattica che per ora ha un esito incerto. Non vi è pertinenza in quanto molte delle idee che esprimo in questo manifesto non sono specifiche della matematica, potrebbero essere declinabili in altre materie.
Parlo qui di matematica nella mia esperienza di docente di scuola secondaria di secondo grado; non più elementare, non il “saper far di conto”, la matematica delle superiori non è necessaria alla maggior parte dei futuri cittadini e delle future cittadine. Se la si insegna, con passione, è perché passi il semplice messaggio che nella vita si possono fare anche cose non utili. La bellezza, in fondo, è una forma di necessità
Il manifesto si divide in sette punti espressi in modo incompleto e forzatamente sintetico da una parola. Ciascun punto viene poi specificato con alcuni dettagli nel testo.
Complessità
Dire che la matematica è terreno difficile è dire cosa nota e scontata. La complessità è di forma, con un linguaggio codificato, arduo e non sempre utilizzato o capito come dovrebbe essere, e di sostanza, con argomenti astratti, raramente intuitivi, spesso presentati in forma apodittica e senza alcuna giustificazione. Di fronte a questo vasto territorio ogni commento come “è banale”, “si vede”, “non è possibile che non lo capiate”, “questo è un errore gravissimo, nemmeno alle elementari” allontana l’autostima di ragazzi e ragazze e di conseguenza la propensione alla curiosità. Ci vuole tempo per affrontare le cose, tempo da dedicare ai dubbi, alle paure, ai non so fare. Non si può agganciare la didattica a quegli studenti e a quelle studentesse con un alto grado di motivazione e che sono quindi disponibili ad un livello di fatica sopra la norma. L’efficacia dell’insegnamento della matematica si misura con la capacità, o almeno la volontà, di far attraversare la tempesta a tutti e tutte, di coinvolgere, lasciare un segno che sia permanente. L’insegnante non deve essere un muro da scalare solo da chi ne ha la forza, ma un ponte che agevoli il passaggio di tutti, ognuno secondo propria propensione. Non è la banalità che tutti debbano essere promossi, è la necessità che nessuno sia lasciato da solo in un terreno tanto difficile. Il prezzo altrimenti è altissimo, la rassegnazione sociale (quando non diventa giustificazione o vanto) del “io di matematica non capivo nulla”, bandiera di molti adulti.
Motivazione
Senza motivazione non vi è possibilità di affrontare alcun percorso, figuriamoci uno difficile. Ci sono di mezzo speranze, aspettative, progetti personali, interessi. E una rete sociale di contatti (famiglia, amici, società) che spingono nella direzione del successo. Per un percorso matematico serio, però, la motivazione non può venire da una gratificazione sociale in termini di successo; studiare per il voto alto può funzionare solo per pochissimi casi, i più si perdono ai primi voti bassi. Bisogna che la motivazione venga costruita dal docente, la si deve cercare nella materia, per la materia, non al di fuori di essa. Si devono cercare insieme sprazzi di bellezza, interesse culturale, lo stupore di fronte ad un panorama pressoché infinito. Si deve smettere soprattutto di considerare la matematica come una materia prettamente tecnica, la rincorsa verso una abilità. Un lavoro faticoso, necessario ancor di più di fronte a ragazzi e ragazze disinteressati. L’allontanamento da una disciplina difficile dove spesso la misura delle proprie attitudini si limita ad un voto è quasi scontato in età adolescenziale; se l’insegnamento si limita alla tecnica, non mostra spiragli di fantasia e di bellezza, la partita è persa in partenza per molti e molte. Spesso si fa appello al senso del dovere, “devi studiare anche se non ti piace”; ma il senso del dovere è un concetto astratto in età adolescenziale, lo si deve costruire, ci vuole anche in questo caso tempo e fatica (da parte di tutti). Un compito anche della scuola, necessario sicuramente, ma che richiede una forte motivazione. Si corre altrimenti il rischio che diventi obbedienza (“fai così se no vieni bocciato”) che, a differenza del senso del dovere, non è mai un valore, anzi, spesso è un ostacolo alla libertà e all’educazione. La persona obbediente tenderà a smettere di fare qualsiasi cosa in assenza di conseguenze negative, la persona con senso del dovere farà le cose perché è giusto farle, indipendentemente dalle conseguenze. Per sviluppare tutto questo dobbiamo dare qualcosa, un appiglio a cui aggrapparsi, non basta dire “studia questa cosa perché un domani ti sarà utile”. L’orizzonte costituito da quel “un domani” è un orizzonte lontano anni luce nella mente di un adolescente. Bisogna continuamente, costantemente, faticosamente motivare. Non obbligare.
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