Intervento di Donata Foà
già insegnante di matematica al Liceo Scientifico “F.Buonarroti”, Pisa
La discussione che sta procedendo sulla seconda prova mi ha stimolato alcune riflessioni che vi propongo, anche se ormai da persona esterna al problema. Dico subito però che sono molto felice di non essere chiamata in causa direttamente con le mie classi in un momento così difficile per gli studenti e per i docenti.
Matematica o fisica questo è il problema? Così è mal posto. Bisogna analizzare le due discipline a una luce che non può essere quella dell’esame, ma quella della loro storia, scolastica e non solo scolastica; le due materie anche se contribuiscono entrambe alla formazione scientifica del cittadino non sono equivalenti nella portata e nell’impatto che hanno sullo studente per come sono state articolate all’interno del percorso scolastico.
L’esame di stato nei licei scientifici ha sempre visto protagonisti degli scritti l’italiano e la matematica: ora credo che a nessuno verrebbe in mente di togliere l’italiano e sostituirlo con la storia o la filosofia ancorché queste siano materie di grande spessore, così non dovrebbe venire in mente neanche di sostituire la matematica con la fisica o con le scienze perché non c’è equivalenza: matematica e italiano sono le uniche materie che hanno un percorso di lungo respiro, 13 anni, iniziano in prima elementare e finiscono in quinta liceo; questa è una cosa importante perché l’apprendimento e la formazione passano attraverso il tempo lungo, sì anche per il numero di ore, ma soprattutto per il ripetersi negli anni delle scoperte, delle riflessioni, della noia, della sistemazione delle conoscenze, del riconoscere cose conosciute sotto un altro aspetto, nel trovarne la ricaduta nella realtà. Chiunque abbia figli o nipoti che siano alla scuola elementare, sa quanto sia miracolosa la scoperta della matematica a questo livello, quanto diventi parte effettiva del loro bagaglio culturale, indimenticabile e stabile, e quanto sia argomento di dialogo anche fuori dalla scuola, con i genitori, non necessariamente matematici.
La fisica, anche se è una materia importante, necessaria, bellissima, non ha queste caratteristiche e non bastano i cinque anni di liceo per farne un ambiente di lavoro in cui muoversi a proprio agio, riuscire a risolvere problemi ed esercizi, saper scegliere gli strumenti adatti, valutare la correttezza dei risultati. Per lo meno non con i problemi che sono stati proposti nelle simulazioni di quest’anno (compreso l’ultimo di qualche giorno fa) che sembrano più adatti per l’ammissione nella Scuola Normale di Pisa che per l’esame di stato. E non è detto che tutti gli studenti abbiano intenzione di entrare in Normale, magari qualcuno vorrà fare il medico, l’ingegnere o il letterato.
Si potrebbe rispondere che per la maggior parte degli studenti anche la matematica soffre della stessa difficoltà ma non è così, c’è un livello base di conoscenze a cui tutti hanno accesso, o per lo meno ne capiscono il senso, e che poggia proprio su quelle fondamenta antiche via via consolidate nel tempo. Ora non importa scomodare Galileo ma nello studio della fisica si sovrappongono due difficoltà, quella del capire il problema fisico e quello della sua traduzione matematica, e se già la matematica pone dei problemi, possiamo immaginare quanti ne ponga la sovrapposizione delle due materie.
Non so se sia possibile far diventare la fisica una materia ‘di lungo corso’, portante, come la matematica: mi domando se sia in qualche modo proponibile fino della scuola elementare (a meno di non darne solo una visione qualitativa), se gli strumenti indispensabili per affrontarla non la pongano necessariamente in una fase successiva del processo di apprendimento. Se anche fosse possibile servirebbe un grosso lavoro di ricerca didattica da parte dei fisici per renderla accessibile agli insegnanti e agli studenti della primaria e della scuola media, e comunque non si cambiano le regole del gioco in corso d’opera.
Io ho insegnato matematica al liceo Buonarroti di Pisa nelle sezioni sperimentali per tanti anni e proprio per rispetto alla fisica non ho mai voluto insegnarla, per non correre il rischio di insegnarla ‘da matematica’; proprio per questo vorrei che una valutazione su di essa scaturisse da un percorso portato avanti possibilmente da fisici, o insegnanti in grado di ragionare da fisici, svolto con naturalezza, ragionevolezza e… lentezza: vorrei una prova in cui ogni studente potesse produrre qualcosa secondo la propria preparazione senza sentirsi umiliato di fronte a richieste così complesse. Forse con una scuola riformata e con un grande dialogo fra insegnanti delle due materie si può fare ma non adesso.
Non si possono forzare i tempi, pena l’insuccesso all’esame di intere classi: la scelta manichea fra matematica e fisica è una operazione ministeriale astratta, che non considera la realtà e non produce niente di positivo, a parte un certo numero di interventi in questa discussione. Tra l’altro questa scelta mal si concilia con l’impegno dello stesso ministero nel considerare la matematica un pilastro fondante della formazione, come si evince ad esempio dall’importanza data alle prove Invalsi.
L’alternativa, a questo punto in cui credo che il ministero non tornerà più sui suoi passi, è di fare almeno una prova integrata, matematica e fisica, come è stato per tanti anni nella mia scuola, e come ha ricordato Pietro Di Martino nel suo intervento in questo dibattito. Questo servirebbe anche ad abbassare i toni della discussione e a iniziarne una più serena e proficua.