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Riprendiamo sul sito un’intervista del 5 gennaio 2017 a Jo Boaler, professore di matematica alla Stanford University e studiosa dell’apprendimento della matematica, realizzata da Ilaina Edison(*) per The Huffington Post, qui nella traduzione di Elena Toscano

Apparso originariamente il 17 gennaio 2017

Nel 1992, sugli scaffali dei negozi, la famosa Barbie Parlante della Mattel si lamentava dicendo: «La matematica è difficile!». Il prodotto fu subito attaccato dall’American Association of University Women in un rapporto che trattava di come le scuole ‘imbroglino’ le ragazze. In risposta alla polemica, la Mattel eliminò la frase dal vocabolario della bambola.

Al centro della controversia vi era una semplice e forse deludente domanda: i ragazzi sono più bravi rispetto alle ragazze in matematica? Le ipotesi di genere sottese a questo modo di pensare sono fin troppo familiari al nostro prossimo ospite ‘trasgressore di regole’, Jo Boaler. Premiata ricercatrice e professoressa di matematica presso la Stanford University, la Boaler è da tempo promotrice di una riforma dell’insegnamento della matematica e di scuole più eque, al fine di migliorare sia il livello dei risultati aggiunti, sia il piacere dell’apprendimento, in particolare tra le ragazze e gli studenti di colore. Questa ‘riforma’ della scuola ha ricevuto un supporto entusiastico in alcuni ambienti, ma l’ha anche coinvolta nelle cosiddette “guerre di matematica” che covano sin dai tempi della Barbie Parlante nei primi anni ’90. Mi sono incontrata con la Boaler per discutere del suo lavoro e della sua battaglia contro il bullismo accademico.

IE: Sei sempre stata interessata alla matematica? Come si è evoluto il tuo interesse?

JB: Quando ero giovane, a scuola, sono sempre stata brava in matematica, pur trovandola noiosa, e spesso vedevo i miei amici in difficoltà. Davo loro una mano e mi incuriosiva il fatto che invece i miei insegnanti di matematica erano veramente incapaci ad aiutarli. Solo a 16 o 17 anni ho avuto la mia prima insegnante di matematica davvero in gamba. Ci ha guardato, ha parlato con noi, chiacchierato con noi e ha parlato di concetti. È stata la prima volta che mi sono sentita completamente compresa.

Fin da piccola ho avuto le idee molto chiare su ciò che era utile e cosa no, e quindi all’università ho inizialmente studiato psicologia dell’educazione, la prima materia che ho insegnato. È stato allora che mi sono interessata a come gli studenti apprendevano la matematica e così ho iniziato ad occuparmi di didattica della matematica.

IE: Così ti sei trovata profondamente coinvolta nelle cosiddette “guerre di matematica”, propugnando riforme focalizzate sull’apprendimento basato sulla ricerca. Puoi spiegare più in dettaglio l’approccio all’insegnamento e all’apprendimento che sostieni e perché pensi che sia il modo migliore?

JB: Sono venuta a Stanford negli ultimi anni ’90, sull’onda di una ricerca, che ha vinto dei premi nel Regno Unito, in cui mostravo che gli studenti riescono meglio in matematica quando sono impegnati attivamente nel pensare e nel parlare su delle idee. Mi sono così scontrata con gli insegnanti convinti della validità dell’approccio tradizionale per l’insegnamento della matematica. Ho mostrato loro le prove del contrario e hanno cercato di sopprimerle accusandomi di cattiva condotta scientifica. Sono rimasta scioccata e alla fine ho deciso di tornare in Inghilterra, perché la reazione è stata veramente negativa. In seguito ho cambiato idea e ho deciso di tornare e combattere, rispondendo in modo dettagliato agli attacchi in modo che tutti possano vederli per come sono.

IE: Perché le tue scoperte hanno infastidito così tanto questi colleghi?

JB: Alcuni matematici di successo, formatisi con metodi di studio tradizionali, sono stati capaci di fare matematica ad alto livello e quindi pensano che «ciò che ha funzionato per me, può funzionare per tutti!». Ci sono anche pressioni politiche occulte affinché si mantenga il sistema così com’è – alcune persone non vogliono che l’insegnamento sia più equo. Non vogliono aprire le porte a tutti.

IE: Qual è l’aspetto di genere in tutto questo?

JB: Sappiamo che il modo in cui la matematica è attualmente insegnata fa sì che risulti più attraente per i ragazzi che per le ragazze. In particolare l’insegnamento e le regole tradizionali incoraggiano i ragazzi a entrare in competizione. Le ragazze invece, più dei ragazzi, cercano di capire in modo profondo, di creare connessioni tra la matematica e il mondo reale. Cercano un approccio più interconnesso alla materia. E l’insegnamento con una modalità più interconnessa permetterebbe sia ai ragazzi che alle ragazze di fare meglio. In assenza di ciò invece tutto è più schematico. Quando usiamo un metodo di insegnamento migliore, allora tutti hanno più successo.

IE: Hai avuto a che fare con un bel po’ di opposizioni, alcune delle quali piuttosto sgradevoli. Come hai affrontato tutto ciò?

JB: L’escalation delle molestie è stata straziante. I colleghi hanno parlato al mio direttore di dipartimento e hanno cercato di impedirmi di fare il mio lavoro – hanno persino cercato di individuare i docenti coinvolti negli studi e farli licenziare e sono andati da altri ricercatori universitari con l’obiettivo finale di sopprimere questa ricerca.

Quando ho deciso di far sentire la mia voce e combattere, allora ho pubblicato in una pagina web gli attacchi in dettaglio per parlare di quello che ho chiamato il ‘bullismo accademico’. La pagina ha ricevuto un sostegno travolgente – 30.000 persone hanno letto quello che ho scritto quel primissimo week-end – e, subito dopo la pubblicazione, circa 100 scienziate mi ha contattato e parlato dei diversi gradi di bullismo accademico che avevano affrontato. Successivamente, durante una conferenza in cui ho parlato di questo, un’altra professoressa si è alzata in piedi e ha detto che aveva dovuto lavorare stando nella sua automobile per un anno intero. Questa è una reazione tipica nel mondo accademico – ritirarsi e soffrire in silenzio.

IE: Che risultato ha avuto il parlare pubblicamente di quanto ti stava accadendo sulle persone che ti avevano aggredito?

JB: Mi hanno lasciata perdere. Vedo che cercano ancora di fermare i cambiamenti nelle scuole, ma non opponendosi più direttamente a me.

IE: Qual è il tuo consiglio per le donne che stanno subendo mobbing come è accaduto a te?

JB: Mettetevi in contatto con gli altri – non cedete alla tentazione di ripiegarvi su voi stesse. È importante parlare con le persone, tra cui gli avvocati, nel caso in cui alcune delle cose che vi accadono siano illegali. Ci possono essere dei vincoli temporali nell’agire in questo modo, per cui meglio prima che poi.

Ancora più importante è credere in se stessi. Il modo in cui pensi a te stesso è fondamentale, tanto che può effettivamente cambiare il modo in cui il cervello funziona. Se ti trovi in una certa situazione e dici: «So che posso farcela», ma non ci riesci e ti va male, il tuo cervello reagirà e farà delle cose veramente buone. Ma se dici: «Non penso di potercela fare» il cervello farà altrettanto. Stiamo cercando di convincere insegnanti e studenti a credere nel loro potenziale e a sentirsi entusiasti. La scienza del cervello ha il potere di cambiare completamente la relazione col lavoro.

(*) ilainaIlaina Edison è amministratore delegato di Extend Fertility, la prima organizzazione mondiale di congelamento degli ovuli. Infermiera professionale con un MBA, ha più di 25 anni di esperienza nel guidare la gestione e la trasformazione delle organizzazioni sanitarie. Lo spirito della Extend Fertility celebra le donne forti che rompono le barriere, respingono le norme di genere comunemente accettate e creano percorsi nuovi e audaci. In questa rubrica Ilaina Edison parla con loro, a tu per tu, per scoprire ciò che le muove e le motiva.

Roberto Natalini [coordinatore del sito] Matematico applicato. Dirigo l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr e faccio comunicazione con MaddMaths! e Comics&Science.

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