Tommaso Lorenzi, classe 1984, è attualmente in forze all’Università di Saint Andrews e si occupa di modelli matematici che descrivono la dinamica evolutiva di sistemi biologici (per esempio popolazioni di cellule, gruppi di individui o intere specie viventi). E’ vincitore del premio INdAM-SIMAI-UMI 2014 per la miglior tesi di dottorato in matematica applicata.
Come sei arrivato alla matematica applicata alla biologia? Ci racconti un po’ il tuo percorso di studi, come sei arrivato all’Università di St Andrews?
Da studente presso il Politecnico di Torino decisi di seguire un corso tenuto da Nicola Bellomo sulla modellizzazione matematica di sistemi complessi viventi. Rimasi molto colpito dalle idee presentate in quel corso, al punto che la matematica applicata ai sistemi viventi divenne l’oggetto della mia tesi di laurea e, in seguito, quello della mia tesi di dottorato.
Da dottorando lavorai sotto la supervisione di Marcello Delitala, il quale era allora coordinatore del progetto FIRB che finanziò la mia borsa di dottorato. L’immensa disponibilità di Marcello unita ai generosi fondi del progetto FIRB da lui coordinato mi permisero di viaggiare molto. Tra gli altri, potetti trascorrere un periodo di ricerca di sei mesi presso l’Université Pierre et Marie Curie, a Parigi, dove ebbi modo di lavorare con Benoît Perthame. Oltre a essere un matematico di fama internazionale nel campo dell’analisi delle equazioni alle derivate parziali applicate alle scienze biologiche e biomedicali, Benoît ha rivestito un ruolo chiave nella mia crescita scientifica e accademica. Fu proprio durante i mesi trascorsi a Parigi che decisi, all’interno dell’ampio spettro di sistemi viventi a cui la matematica può essere applicata, di concentrarmi sui sistemi biologici.
Dopo il conseguimento del dottorato nel 2013, trascorsi un periodo di ricerca di poco più di due mesi presso il Department of Ecology and Evolutionary Biology della Princeton University, dove lavorai nel gruppo di Iain Couzin. Come il suo impressionante curriculum vitae testimonia, Iain è una figura di spicco tra gli scienziati che si occupano dello studio di comportamenti collettivi nel regno animale; lavorare nel suo gruppo fu un’esperienza straordinaria. Nello stesso anno vinsi una borsa di post-dottorato della Fondation Sciences Mathématiques de Paris che mi permise di continuare l’attività di ricerca precedentemente intrapresa con Benoît e i suoi collaboratori. Nel 2014, ottenni poi una seconda borsa di post-dottorato, questa volta sponsorizzata dalla Fondation Mathématique Jacques Hadamard, la quale sancì l’inizio di una fruttifera collaborazione con Laurent Desvillettes, matematico di primo livello noto innanzitutto per i suoi contributi alla teoria delle equazioni cinetiche, il quale era allora all’École Normale Supérieure de Cachan.
Nel 2015 si aprì una posizione da ricercatore nel gruppo di Biologia Matematica guidato da Mark Chaplain presso la University of St Andrews. Tenuto conto del fatto che Mark è uno dei massimi esperti di oncologia matematica, oltre a essere una persona deliziosa, e che la University of St Andrews è la terza più antica università del mondo anglosassone, decisi di presentare la mia candidatura. Come potete intuire, le varie tappe del processo di selezione andarono a buon fine e ottenni quella posizione. Potrei limitarmi a raccontare questa parte della storia, portandovi così forse a pensare “Caspita, un percorso tutto in discesa”. A dire il vero, prima di ottenere questa posizione, nello stesso anno concorsi sia per una posizione da ricercatore presso il Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) sia per una posizione di ricerca presso l’Institut National de Recherche en Informatique et en Automatique (INRIA). Nel primo caso mi classificai secondo e vi era una sola posizione disponibile; nel secondo caso arrivai terzo in graduatoria e le posizioni disponibili erano due. Come si può immaginare, lì per lì la situazione mi sembrò malauguratamente ironica. In quel frangente, mi furono di grande aiuto i consigli datimi da Luigi Preziosi del Politecnico di Torino e Anna Marciniak-Czochra della Universität Heidelberg, con i quali iniziai a collaborare proprio durante quell’anno. Haec fabula docet, se vi doveste trovare nel limbo di un post-dottorato e steste mirando a una posizione accademica più stabile, non scoraggiatevi davanti ai primi insuccessi e circondatevi di matematici con più esperienza che vi sappiano dare buoni consigli!
Quale è il tuo campo di studi?
Mi occupo di modelli matematici che descrivono la dinamica evolutiva di sistemi biologici, siano essi popolazioni di cellule, gruppi di individui o intere specie viventi. In particolare, la mia attività di ricerca si concentra sullo sviluppo, l’analisi qualitativa e la simulazione numerica di modelli formulati in termini di equazioni alle derivate parziali. Il mio interesse per questi modelli nasce dal fatto che permettono di fornire risposte precise a domande biologiche concrete per mezzo di risultati matematicamente eleganti. In tal senso, uno degli aspetti che più mi appassiona di questo campo di studi è il suo essere al contempo intradisciplinare, in quanto richiede la cooperazione tra modellisti matematici e analisti applicati, e interdisciplinare, nella misura in cui l’interazione tra matematici e biologi gioca un ruolo di primo piano.
Quale è il risultato che ti ha dato più soddisfazioni finora?
Durante il periodo trascorso a Parigi ho lavorato a stretto contatto con un gruppo di biologi cellulari dell’Hôpital Saint-Antoine per formalizzare, in termini di equazioni alle derivate parziali, i processi evolutivi a cui le cellule tumorali vanno incontro quando esposte ad agenti terapeutici di varia natura. Gli approcci modellistici e i metodi analitici sviluppati sono stati forieri di risultati matematici che, sotto un profilo biologico, hanno poi permesso di meglio comprendere i principi alla base dell’emergere della resistenza ai farmaci chemioterapici, fenomeno che rappresenta una delle principali cause di recidiva in pazienti affetti da patologie tumorali. A sottolineare la rilevanza biologica dei risultati ottenuti il fatto che parte di questi è successivamente confluita in un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista di oncologia Cancer Research. Nel complesso, ciò mi pare una chiara esemplificazione di un’idea di cui sono fermamente convinto, ovvero che l’innovazione in ambito matematico e il progresso in campo biologico vanno, sempre più spesso, di pari passo.
C’è un risultato scientifico a cui stai puntando, in questo momento?
Io e i miei colleghi di St Andrews stiamo lavorando a un modello matematico, formulato in termini di equazioni alle derivate parziali, che possa essere di supporto a una miglior comprensione dei principi evolutivi che rendono possibile la coesistenza, all’interno della stessa massa tumorale, di cellule maligne caratterizzate da proprietà fenotipiche diverse. Tale eterogeneità fenotipica pone infatti seri problemi alla corretta diagnosi e all’effettivo trattamento dei tumori. Gli ultimi risultati analitici e numerici che abbiamo ottenuto sono promettenti e sanciscono una connessione tra la variabilità fenotipica delle cellule tumorali e alcune ricorrenti proprietà fisico-chimiche dei tumori solidi.
Hai vinto il premio Indam-Simai-Umi. Raccontaci come è andata.
Che dire, ho fatto domanda e le cose sono andate per il verso giusto. Conservo una serie di piacevoli ricordi del giorno della premiazione, tanto da un punto di vista scientifico quanto da un punto di vista umano. Per di più, la mia ultima volta a La Sapienza, dove la premiazione si è tenuta, fu proprio durante il primo anno di dottorato; tornarci in queste nuove vesti ha in qualche modo suggellato la conclusione della prima fase del mio percorso accademico.
Quali sono i tuoi “dream problems”?
Discernere il ruolo giocato dai tratti comportamentali nel corso dell’evoluzione delle specie è oggi un’importante sfida aperta cui le scienze biologiche sono confrontate. Il superamento di questa sfida costituisce un passo cruciale verso una più profonda comprensione di molti fenomeni collettivi osservati nelle società animali e umane, e avrebbe perciò ricadute pratiche di vasta portata. Negli ultimi anni, alcuni progressi sono stati compiuti in questa direzione proprio grazie all’impiego di modelli matematici. Tuttavia, pur permettendo di ottenere risultati interessanti sulla base di simulazioni numeriche, tali modelli si sono rivelati di scarsa trattabilità da un punto di vista analitico. Questo aspetto pone seri limiti alla robustezza delle conclusioni biologiche che sono state finora raggiunte. Pertanto, in un futuro prossimo vorrei attaccare lo stesso problema biologico usando come strumento modellistico le equazioni alle derivate parziali, in modo da poter integrare risultati computazionali con risultati analitici rigorosi, così da giungere a conclusioni biologiche di maggiore stabilità strutturale. Il perseguimento di questo obiettivo richiederà lo sviluppo contestuale di nuove strategie modellistiche e di metodi analitici, e numerici, adeguati; ciò rende il problema in oggetto interessante e sfidante anche da un punto di vista puramente matematico.
A parte la matematica, come passi il tempo? Cosa fai quando non fai matematica?
Trascorro parte del mio tempo libero leggendo – ho una vera e propria affinità elettiva con la produzione saggistica e narrativa di Umberto Eco – e ascoltando musica classica – ho un attaccamento particolare alle Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach. Amo anche andare per mostre e musei; sono immensamente affascinato dalla complessità dei trittici di Hieronymus Bosch e dal chiassoso silenzio comunicato dalla produzione artistica di Jean-Michel Basquiat. Inoltre, faccio molto sport. Trovo particolarmente stimolanti le forme di attività fisica che mi permettono di quantificare in modo diretto i progressi compiuti, per esempio in termini di tempo, distanza o carico; per questo motivo, alterno regolarmente la corsa e il nuoto all’allenamento in palestra. Amo fare trekking e nell’estate del 2012 ho realizzato un sogno nel cassetto scalando il monte Kilimanjaro. Infine, dal momento che, oltre a essere la mecca dei golfisti, St Andrews è un’ottima meta per il surf, malgrado il clima non proprio tropicale, fare surf è tra i miei propositi per il nuovo anno.
[intervista raccolta da Maya Briani]