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Massimo Gubinelli (1974) si è laureato in fisica e nel 2003 ha ottenuto il dottorato in fisica teorica a Pisa. Durante il periodo del dottorato si avvicina a un gruppo di matematici che studiavano problemi che lo appassionavano. Da questa frequentazione nascono diverse collaborazioni che hanno progressivamente spostato i suoi interessi di ricerca dalla fisica teorica a problemi più strettamente matematici. È stato nominato per cinque anni Membro Junior dell’Istituto Universitario Francese, onorificenza che spetta solo a otto matematici sotto i 40 anni che lavorano in Francia.

Sei laureato in fisica, come ti sei avvicinato alla matematica?

In realtà ho fatto anche un dottorato in fisica teorica, a Pisa. Durante il periodo del dottorato mi sono avvicinato a un gruppo di matematici che stavano studiando problemi che mi appassionavano. Si trattava di descrivere il comportamento statistico dei fluidi turbolenti attraverso delle strutture geometriche coerenti, insomma immaginare che la complessità del movimento di un fluido molto caotico potesse essere spiegata come un collage di strutture molto ordinate ma disposte in maniera casuale, tipo vortici o simili. Dalla frequentazione di quel gruppo sono nate delle collaborazioni che hanno progressivamente spostato i miei interessi di ricerca dalla fisica teorica a problemi più strettamente matematici. In realtà i due campi di studio sono molto vicini e a voler essere onesti non esiste una suddivisione molto netta tra una ricerca seria in fisica teorica e una in matematica. Diciamo che è l’accento messo più sui modelli o più sugli strumenti per studiarli che, dal mio punto di vista, fa un po’ la differenza tra fare della fisica teorica e fare della matematica (o della fisica matematica).

Qual è il tuo campo di studi?

In questi ultimi anni mi sono occupato delle interazioni tra analisi e probabilità. Per esempio lo studio delle equazioni differenziali o alle derivate parziali in presenza di rumore o di segnali molto irregolari, per i quali gli approcci standard dell’analisi non funzionano molto bene e per i quali vengono alla luce fenomeni inaspettati. Più recentemente mi sono anche interessato a quello che succede quando il rumore facilita la dimostrazione di certi teoremi sulle equazioni differenziali, invece di renderli più complicati. Questo succede perché il rumore perturba l’evoluzione del sistema descritto dall’equazione in modo tale da renderla meno soggetta alle sue singolarità intrinseche. Insomma “sfuoca” un po’ la situazione che quindi sembra più regolare di quello che ci si aspetta. Questi comportamenti sono contro-intuitivi (almeno per un intuito analitico) e quindi è sempre abbastanza divertente metterli alla luce, e soprattutto richiede spesso un punto di vista originale sul problema.

Qual è il risultato che ti ha dato più soddisfazioni finora?

Nessuno. I risultati finiti di solito non mi danno molta soddisfazione. Mi appassiona cercare di capire un problema e sopratutto farlo in maniera semplice o legarlo in maniera inaspettata ad altri problemi. Insomma, passeggiare nel paesaggio matematico. Capita che quando arrivi da qualche parte la cosa più interessante, il viaggio che ti ci a portato, sia già finita. Allora guardi intorno per cercare di ripartire in una nuova direzione. Mi piace pure viaggiare leggero, che nel contesto vuol dire cercare di usare sempre strumenti abbastanza semplici disponibili nel campo di ricerca in cui mi sto muovendo. Di solito ci sono in giro persone molto più brave di me a rendere dei risultati nella loro piena generalità. Io cerco di descrivere quello che trovo nel caso più semplice per evitare che i dettagli tecnici oscurino il cuore del risultato.

C’è un risultato scientifico a cui stai puntando, in questo momento?

Sì, ultimamente con alcuni colleghi e amici e un paio di miei studenti stiamo lavorando a una teoria abbastanza entusiasmante per studiare delle equazioni alle derivate parziali con dei rumori molto singolari. Equazioni che fino a poco tempo fa non si sapeva come gestire e che venivano scritte in modo formale o in modo approssimato. Abbiamo un quadro più chiaro di quello che bisogna fare e del senso da dare a queste equazioni. Si tratta di capire in che modo le caratteristiche microscopiche dei modelli che queste equazioni descrivono abbiano degli effetti macroscopici e come descrivere questi effetti nel modo più efficace. Ci sono ancora molti problemi da risolvere ma si intravede l’inizio di un percorso promettente e questa è la situazione che preferisco, quella in cui si sta svegli fino a tardi per esplorare un’idea, pieni d’entusiasmo.

Come sei finito a Parigi?

Per ragioni familiari, in realtà. Sono stato sposato con una parigina e abbiamo due bimbi piccoli. Vivere a Parigi ci è sembrata la cosa più semplice da fare nel momento in cui si doveva decidere se stabilirsi in Italia o in Francia. I francesi mi hanno ben accolto e sono riuscito a trovare subito un posto all’Università, prima a Paris Sud e ora a Paris Dauphine, università in cui lavoro dal 2008. Parigi è un luogo ideale per fare matematica ma qualche volta mi manca l’atmosfera di Pisa, la città in cui ho studiato, che resta a mio avviso un ottimo compromesso tra vitalità scientifica e qualità della vita.

Quali sono i tuoi “dream problems”?

Piuttosto che dream problems io ho campi di ricerca che mi piacerebbe poter approfondire, se ne avessi il tempo e l’energia. Il sogno insomma è piuttosto lo spazio e le risorse che si vorrebbero avere. Mi piacerebbe per esempio capire meglio la geometria non-commutativa di Alain Connes o i lavori di un logico matematico che reputo molto interessante e che si chiama Jean-Yves Girard. Magari un giorno troverò un pretesto per far diventare queste mie curiosità parte della mia attività di ricerca vera e propria. Ma per ora mi limito a lavorare sulle due o tre cose in cui riesco meglio.

A parte la matematica, come passi il tempo? Cosa fai quando non fai matematica?

Da quando ci sono i bimbi ogni istante che non dedico a loro o all’attività di insegnamento cerco di raggranellarlo per fare della ricerca e riempire quaderni di calcoli ragionevoli (di solito poco). Una passione a cui dedico molto tempo ma in maniera discontinua è la programmazione. Collaboro per esempio allo sviluppo di un software per scrivere dei documenti tecnici (e in particolare dei bei testi matematici) che si chiama TeXmacs (www.texmacs.org). Ovviamente ne parlo nella speranza di fare un po’ di pubblicità subliminale. Programmare e in generale praticare e studiare i linguaggi di programmazione mi appassiona molto (per esempio linguaggi come Haskell o Coq). Quando un conto non torna lascio perdere e vado a nuotare oppure me ne vado in giro per Parigi a passeggiare. La città è piena di percorsi inaspettati e mi piace perdermi nella folla.

 

Intervista raccolta da Maya Briani

Roberto Natalini [coordinatore del sito] Matematico applicato. Dirigo l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr e faccio comunicazione con MaddMaths!, Archimede e Comics&Science.

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