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Sono più di cinquanta i premi Nobel che, finora, hanno firmato la petizione “Global Peace Dividend” lanciata dai fisici Carlo Rovelli (Centre de Physique Théorique, Aix-Marseille Université) e Matteo Smerlak (Max Planck Institute for Mathematics in the Sciences). A loro si sono uniti vari scienziati, tra cui il premio Nobel Giorgio Parisi, presidenti di Accademie delle Scienze, leader politici e ONG, e anche celebrità come l’attrice Juliette Binoche, il cantautore e bassista dei Beatles Sir Paul McCartney, e il regista di “Don’t look up”, Adam McKay. Raffaella Mulas ha intervistato uno dei promotori della petizione.
 
Per raccogliere migliaia di firme da ogni parte del mondo, a Rovelli e Smerlak è bastata un’idea tanto semplice quanto potente: ridurre le spese militari di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, del 2% ogni anno per cinque anni, e investire i soldi risparmiati per far fronte a emergenze globali come pandemie, cambiamento climatico e povertà estrema.
 
Ne hanno parlato Nature e Forbes, The Guardian e Le Parisien, El País e Die Zeit, e tanti altri. Noi di MaddMaths! siamo andati a bussare l’ufficio di Matteo Smerlak, al Max Planck Institute di Lipsia, per saperne di più.
 
Matteo, mi racconti dove, quando e come è nata questa idea?
 
È stato Carlo Rovelli ad avere l’idea originale, prima della COP26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. All’epoca era in Scozia e, come molti, era frustrato dagli insufficienti finanziamenti per il clima. Ma mancano davvero, nel mondo, le risorse necessarie a investire in energia verde e mitigare le conseguenze del cambiamento climatico? No: nel 2020, a livello globale, per scopi militari sono stati spesi quasi 2 trilioni di dollari. Cioè, 20 volte in più dell’impegno finanziario sul clima di 100 miliardi di dollari l’anno che i paesi ricchi non sono riusciti a rispettare.
 
La necessità di investire nella lotta per le emergenze planetarie è chiara e riconosciuta, e le risorse per farlo sono ampiamente disponibili. Ciò che serve, quindi, è una spinta ad aiutare i paesi a sfuggire alla corsa globale agli armamenti e a reindirizzare una frazione delle loro spese militari per difendere l’umanità dalle sue minacce esistenziali. Da ciò deriva l’idea di un appello a trattative internazionali per reindirizzare una frazione della spesa militare verso il clima, la salute e la prosperità.
 
Carlo ed io ci siamo incontrati in Canada nell’ottobre 2021, e abbiamo iniziato a lavorare insieme per perfezionare e promuovere questa idea. Abbiamo concordato un obiettivo di riduzione del 2% l’anno, abbiamo scelto insieme il nome “Global Peace Dividend” e abbiamo preparato una strategia per raccogliere consensi.
 
Come è arrivato, poi, l’enorme successo che la vostra petizione sta avendo?
 
Abbiamo scritto ai premi Nobel chiedendo loro di firmare il nostro appello, e molti di loro lo hanno fatto con entusiasmo. Quando ci siamo resi conto che ci stavamo avvicinando a 50 firmatari Nobel, abbiamo pianificato una campagna mediatica: con l’aiuto dell’agente di Carlo, Emanuela Minnai, abbiamo contattato giornali e agenzie di stampa di tutto il mondo. Molti di loro hanno scelto di parlare del nostro appello, dal 14 dicembre.
 
Da allora, abbiamo continuato a chiedere supporto per l’iniziativa: a gruppi di controllo degli armamenti, a leader climatici, a politici, a celebrità, ecc. Oggi, i capi della UCS (Unione degli Scienziati Preoccupati), del Bulletin of the Atomic Scientists, del PRIF (Peace Research Institute Frankfurt), della Rete Italiana Pace e Disarmo, del Council for the Livable World, ecc, si sono uniti ai Nobel nel firmare il nostro appello. Una domanda al governo britannico è stata presentata anche dalla leader del partito verde Natalie Bennett, e altre iniziative legislative sono in discussione nei consigli regionali in Italia.
 
Quali saranno i prossimi passi e qual è il futuro di questa iniziativa?
 
Il nostro obiettivo è quello di catalizzare un accordo internazionale sulla spesa militare e sulle emergenze planetarie. Per arrivarci, miriamo a costruire una coalizione di organizzazioni e cittadini in tutto il mondo a difesa di un accordo globale. Non è un obiettivo facile, ma vale la pena difenderlo e, con abbastanza energia, potrebbe persino funzionare.
 

Intervista a cura di Raffaella Mulas

Immagine di copertina: BROTHERHOOD II, Le Closier, www.leclosier.com

Chi volessere firmare la petizione può andare su questa pagina

 

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