“Far di conto” è attività comune alla matematica e all’economia. Lo sa bene Claudia La Chioma, classe 1976, dottorato in matematica applicata alla Finanza, che al momento di questa intervista (2009) lavorava per Unicredit dopo… aver pubblicato un articolo scientifico sui numeri primi con Matteo Arpe. Attualmente Claudia è Risk Manager presso Banca del Mezzogiorno – MedioCredito Centrale
INIZIO INTERVISTA
Da dove nasce la passione della matematica?
mi sono iscritta a Matematica all’università di L’Aquila perché… era la cosa più naturale. La passione per la Matematica è innata: ricordo sparsi per casa i libri di mia madre, insegnante di Matematica di scuola superiore. Io ero affascinata dal simbolo di integrale, questo serpentello dritto, dietro al quale si allineavano tutti i numeri in maniera ordinata, rispettosa… quando poi mi sono trovata a studiarlo sembrava già un vecchio amico.
Ci racconti il suo percorso universitario.
Forse per questa “familiarità” mi sono sempre più sentita portata verso l’Analisi e anche la scelta della materia nella quale scrivere la tesi è stata quasi ovvia, così come lo è stato la prosecuzione degli studi e della ricerca con il dottorato. Il prof. Marcati e il suo gruppo mi hanno accompagnato in questo mondo essendo sempre un punto di riferimento. Gli anni universitari sono trascorsi tranquillamente e velocemente, quasi troppo. Ricordo con particolare affetto un esame del primo anno che in tutta la facoltà era considerato uno scoglio insormontabile: Algebra. Dopo un po’ di titubanza trovai il coraggio per frequentare costantemente lo studio del prof. Baccella per chiedergli continui chiarimenti. In quelle occasioni ho cominciato a capire la bellezza del lavoro in collaborazione, seppure in embrione. Capire come due cervelli che lavorano insieme possono raggiungere livelli di astrazione non immaginabili in altro modo. Dopo quest’esperienza ho apprezzato molto di più l’Algebra. e di questo non smetterò mai di ringraziare il professore.
E il post-universitario?
Fino al momento della Laurea ero abituata ad un ambiente universitario molto raccolto, quasi familiare, tutto il contrario di quello che ho poi trovato a La Sapienza durante il dottorato. In quel momento però ho avuto la fortuna di essere in contatto con il prof. Natalini che mi ha permesso di respirare l’aria della ricerca all’interno del CNR, in un istituto più raccolto, e di proseguire lì gli studi di dottorato. Abbiamo scelto un argomento che in quegli anni richiedeva molti contributi da parte dei ricercatori ed era in espansione: le applicazioni della Matematica alla Finanza. In quei quattro anni ho avuto la possibilità di conoscere persone molto importanti, anche vincitori di Medaglie Fields, e di discutere con loro, quasi da pari a pari, tematiche molto in voga. Il primo contatto con il mondo dei cosiddetti pratictioner l’ho avuto quando il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiese all’IAC-CNR di creare un modello per l’emissione ottimale del debito pubblico. Il lavoro coinvolse tutto l’istituto. Io contribuii in parte sul modello sull’evoluzione dei tassi di interesse, argomento che cominciai a studiare in quel periodo, insieme al prof. Piccoli. Negli ultimi anni di dottorato ho cominciato a fare il giro d’Italia per i concorsi da Ricercatore, ma la fila di persone in attesa di un posto era davvero lunga ed io ero sempre la più giovane. Così, dopo quattro anni a Roma sono andata in Norvegia, ad Oslo, a lavorare presso il CMA (Centre of Mathematics for Applications) con il prof. Karlsen, che avevo conosciuto sempre all’IAC. Lì sono stata per sei mesi con una borsa di ricerca europea che faceva parte di un progetto per la mobilità dei ricercatori in Europa il cui scopo era appunto favorire il contatto tra ricercatori di varie nazioni e quindi la ricerca stessa.
Che differenza c’è fra il mondo della ricerca italiano e quello norvegese?
Ad Oslo ho trovato un ambiente molto diverso da quello italiano, sia dal punto di vista sociale che da quello universitario. Non cambierei mai il sole, il clima e il calore degli italiani con la cordialità norvegese, però in Norvegia il singolo cittadino è molto più coccolato dallo Stato. Ci sono molte borse di studio per gli studenti, non solo alla prima laurea, ci sono asili per i bambini delle ragazze madri e per le lavoratrici, esistono i permessi di paternità (e sono utilizzati dai padri!), le donne sono equiparate agli uomini nel lavoro e si garantisce che in qualsiasi ufficio ci sia equilibrio le donne e uomini. Tuttavia, per sei mesi l’anno si vive di notte, o quasi, e per i rimanenti si vive con la luce del sole sempre accesa. E può diventare alienante, dopo l’entusiasmo dei primi tempi. In tutto questo, il lavoro che ho svolto nel dipartimento di Matematica è stato proficuo. La cosa che più mi ha colpito è che in Norvegia le risorse sono apprezzate, trattate con grande attenzione e ritenute davvero preziose. Per ogni piccolo risultato ottenuto c’era un riscontro positivo, totalmente inaspettato se confrontato a come ero abituata. Inoltre prima della fine del mio contratto ho ricevuto la visita che più mi ha sorpreso durante quei sei mesi: il direttore amministrativo del dipartimento, d’accordo con il preside, venne ad offrirmi una posizione proprio al CMA. Mi comunicò che nel dipartimento il mio lavoro era stato molto apprezzato, era dispiaciuto del fatto che inizialmente poteva offrirmi solo una borsa di ricerca ma a breve avrei potuto avere altre opportunità. Mi disse che volevano una risorsa con le mie caratteristiche e che per questo mi offrivano quella posizione. Dopo la nostra discussione, affinché rimanesse traccia di quella discussione, mi scrisse una email in cui era ripetuto quanto avevamo discusso. Era una cosa cui non ero abituata e mi rese molto orgogliosa, mi fece molto piacere: in fondo come ricercatrice non ero proprio male. Purtroppo per la Norvegia io avevo troppa voglia di tornare in Italia. Già dai primi tempi di incertezza in Italia avevo cominciato a guardarmi intorno e avevo fatto domanda per diventare Ufficiale in Ferma Prefissata nell’Arma dei Carabinieri e al rientro da Oslo andai direttamente a Velletri, per cominciare il tirocinio.
Com’è stata l’esperienza nei carabinieri?
Già dall’anno della laurea avevo pensato ad arruolarmi nell’Arma: proprio nel 1999 avevano aperto l’arruolamento femminile, ma a partire dall’Accademia. Ero molto combattuta: andare a fare un lavoro utile per la società, che avesse un riscontro concreto e che facesse del bene agli altri, ricominciando però con gli studi universitari, oppure proseguire già nella strada della ricerca, che mi sembrava più connaturata e nel percorrere la quale mi divertivo molto? In quel momento avevo preferito la ricerca, ma a distanza di quattro anni ho avuto una nuova possibilità e questa volta ho deciso di coglierla al volo. Dopo il giuramento sarei stata assegnata al gruppo dei RIS e sarei tornata agli studi degli ultimi anni di università. Nel frattempo però un’altra opportunità che si era aperta durante la mia permanenza ad Oslo si è concretizzata: un lavoro presso il gruppo dei Quantitativi nella Finanza di Capitalia. I Tenenti Narducci e Coassin mi hanno aiutato a scegliere serenamente la mia strada.
Com’è avvenuto l’ingresso nel mondo delle banche?
Sono stata contattata dai ragazzi del team quantitativo a seguito dell’esperienza con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Inoltre in quegli anni studiavo i processi di Lévy che venivano molto utilizzati nel pricing degli strumenti complessi nel mercato azionario, così dopo qualche colloquio e una non breve attesa sono stata assunta. Per poter cogliere però quest’occasione avevo dovuto lasciare i Carabinieri, essendo molto combattuta internamente e non senza un grande dispiacere. A volte penso ancora cosa sarebbe stata la mia vita se quel giorno avessi preso una decisione diversa.
Ci racconti l’incontro con Matteo Arpe. A quali risultati ‘scientifici’ ha portato?
In ogni caso il mio primo giorno in Capitalia è stato molto particolare: l’Amministratore Delegato, Matteo Arpe, aveva letto il mio curriculum e mi aveva fatto convocare nel suo ufficio per discutere un progetto sul quale voleva lavorassi. Sembrava uno scherzo. Io all’epoca non avevo idea delle gerarchie della banca e nessuno dei colleghi sembrava credere che fosse possibile. Mi sono accorta che era vero quando sono entrata nel suo studio e abbiamo cominciato a parlare. Era un mondo proprio diverso da quelli cui ero abituata: uno studio immenso in uno dei palazzi storici di Roma, la stanza affrescata, con arredi antichi che contrastavano con la modernità dei pc con le schermate di Bloomberg sui mercati. E poi le foto dei figli. Ho lavorato con lui per circa tre mesi a stretto contatto: abbiamo lavorato su di una sua intuizione sui numeri primi dopo la lettura di un libro, tra i best sellers di quell’anno. Il ricordo più bello di quel periodo non è circostanziabile ad un momento, ma a una serie di episodi in cui le intuizioni di Matteo Arpe erano quelle tipiche di un ricercatore. A seguito di quella collaborazione è stato scritto un articolo con alcuni risultati sulla sequenza dei numeri primi.
E poi, dentro Capitalia, il suo lavoro come è continuato?
Dopo Arpe, sono tornata a lavorare nel team dei quantitativi: il nostro lavoro era a servizio dei desk di front office, principalmente, e poi a qualsiasi altro ufficio lo ritenesse necessario. Dalle loro richieste venivano sviluppati i primi prototipi in Matlab che venivano testati a fianco dei trader e aggiustati secondo le loro indicazioni e di quelle del mercato. Quando il modello risultava soddisfacente veniva implementato nei sistemi della banca in modo che fosse integrato con i sistemi di tesoreria, controllo di gestione e segnalazione. Il team era costituito da uno “zoccolo duro” di quattro matematici e un informatico, ai quali poi si aggiungevano altri ragazzi, quasi sempre matematici, ma abbiamo anche avuto un fisico teorico, per periodi di stage dopo il master. Un gruppo davvero affiatato al quale sono tuttora molto legata. Nei primi mesi del 2007 e in concomitanza della fusione con UniCredit ho cominciato a studiare la modellistica del mercato del credito e così… mi sono trasferita a Milano.
Attualmente, di cosa si occupa?
Attualmente lavoro in un team di Credit Portfolio Management all’interno dell’unità Group Credit Treasury della Holding. La principale attività del team consiste nella gestione del rischio di credito del banking book della banca. Per poter svolgere quest’attività è necessario un tool per il monitoraggio del profilo di rischio del portafoglio, una profonda conoscenza del mercato del credito e delle direttive comunitarie sulla misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali (Basilea II) e sulle metriche dell’erogazione del credito. In questi due anni ho partecipato alla strutturazione di alcune operazioni e alla chiusura di un’operazione, mentre negli ultimi tempi mi sto occupando principalmente di attività progettuali per l’implementazione nei sistemi interni di un modello di portafoglio e dell’automazione di alcune procedure per la riduzione del rischio operativo nelle attività connesse alle attività di segnalazione cui è tenuta la banca.
Qual è il contributo effettivo, le potenzialità, della matematica nei confronti del mondo dell’economia? Secondo lei, l’attuale crisi avrebbe potuto essere in qualche modo ‘ammortizzata’ dalla matematica?
Il ruolo della matematica è davvero difficile da misurare e, soprattutto, da remunerare. Della matematica si potrebbe dire “due volte nella polvere / due volte sull’altar”… anzi, questo ciclo potrebbe essere infinito. Dalla mia esperienza ritengo fondamentale il contributo della Matematica nel mondo dell’economia e della finanza. Il contributo della Matematica è richiesto anche dagli stessi regolatori che richiedono misure sempre più affinate dei rischi che la banca prende in carico nella sua operatività. Il rischio di cadere nella polvere è quello che la scienza ha sempre incontrato nella sua storia: ogni riduzione della realtà a formule è sempre la riduzione ad un modello, con delle ovvie semplificazioni. L’utilizzatore poi deve saper interpretare i risultati del modello avendo bene in mente quali sono le ipotesi in cui è stato disegnato il modello in esame. Purtroppo a volte la velocità dei mercati non va molto d’accordo con il perfezionismo del ricercatore che vorrebbe consegnare un risultato affinato e il più possibile aderente a tutte le richieste fatte. Le semplificazioni cui si attengono alcuni modelli ne permettono l’utilizzo nei momenti di stabilità dei mercati, ma nei momenti di stress, come quello che si è recentemente vissuto, proprio le variabili che erano state trascurate risultano fondamentali. Ritengo quindi che si dovrebbe lasciare un po’ più spazio ai matematici per sviluppare i modelli con la meticolosità che richiedono, avendo precedentemente rilasciato modelli utilizzabili che costituiscano una buona approssimazione alla realtà. Il lavoro di confronto, di affinamento e di conoscenza dovrebbe essere progressivo e continuo e non si dovrebbe mai interrompere il colloquio tra i sistemi di front e i quantitativi.
E’ soddisfatta di come sta ‘applicando’ le sue conoscenze matematiche?
In questo ultimo periodo sto utilizzando le mie conoscenze per supportare l’operatività quotidiana del mio gruppo ovviando alla mancanza di strumenti quantitativi consolidati. Il mercato del credito e le metriche ad esso collegate si stanno sviluppando negli ultimi anni e dalle direttive comunitarie giungono delle indicazioni che devono essere trasformate in metriche vere e proprie. In questa attività riesco ad applicare i miei studi. Se sono soddisfatta? E’ una domanda molto impegnativa…
Essendo nata a L’Aquila, cosa ne pensa della situazione attuale dell’Ateneo aquilano?
Conoscendo profondamente il carattere degli aquilani, caparbi e determinati, credo che le attività dell’università non subiranno alcuna interruzione. Dovranno affrontare molte difficoltà logistiche, ma salendo sulle spalle della scienza (permettetemi questo gioco: le prime riunioni di ateneo si sono tenute proprio nella facoltà di scienze dove ho studiato perché le strutture avevano retto al terremoto), riusciranno a risorgere. Mi auguro che gli studenti fuori sede che hanno cominciato a muovere i passi della loro vita adulta a L’Aquila, che hanno conosciuto la preparazione dei nostri professori, la qualità dell’insegnamento, ma anche le bellezze della città, il carattere dei cittadini, la purezza dell’aria, la città a misura d’uomo, ma anche gli stessi aquilani che da bambini hanno passeggiato sotto i portici, hanno giocato al Parco del Sole e hanno attraversato la Porta Santa non abbiano paura a tornare in città per proseguire gli studi. L’Aquila secondo me diventerà la culla per sviluppare nuove tecniche di costruzione, un cantiere a cielo aperto dove poter studiare sul campo anche la geologia. I giovani potranno davvero fare il futuro. E quello che potranno imparare in questi luoghi li renderà ambasciatori di conoscenza e sviluppo in altri luoghi d’Italia che hanno le stesse caratteristiche a rischio della nostra terra. Andando a lavorare lontano da casa ho sempre sentito il richiamo alle origini, ma mai più di ora vorrei essere di aiuto costruttivo, vorrei fare anche io per aiutare la città a rinascere così come la ricordo.
Cosa consiglierebbe ai matematici che vogliono entrare nel campo economico?
Beh, che dire, io ci sono entrata quasi per caso… anche se avevo scelto un indirizzo di studi, nel dottorato, verso la finanza. Direi che l’unico vero consiglio, che indirizzo anche agli insegnanti e non solo agli studenti, è di favorire il contatto con il mondo del lavoro, confrontarsi con chi è davvero sul campo. Tenersi sempre aggiornati su quello che succede nel mondo dell’economia, cominciando dal leggere Il Sole 24 Ore: il mondo che si svolge sui mercati è un mondo che si evolve ad una velocità impressionante e per viverlo e per capirlo non basta studiarlo sui libri. In ogni caso credo che il metodo, il rigore, ma anche la creatività che si impara in un corso di laurea in matematica permette ai suoi laureati di affrontare qualsiasi difficoltà e qualsiasi interlocutore. Un unico consiglio: non sperate sempre che un economista vi capisca 😉 per i matematici il rigore conta per primo, per gli economisti conta prima l’istinto 🙂