Un “nastro di Moebius” è un affascinante oggetto matematico che rappresenta ò’esempio per eccellenza di superficie “non orientabile”. Le superfici che nella vita quotidiana siamo abituati a osservare hanno sempre due facce, per cui percorrendo idealmente uno delle due non raggiungiamo mai l’altra. Per queste superfici, dunque, è possibile stabilire convenzionalmente un lato “superiore” o “inferiore”, ossia un “orientamento”. Per una superficie non orientabile questo non è vero: percorrendo il nastro di Moebius lungo una faccia a scelta, dopo un giro ci ritroveremo sull’altra.
Il nastro di Moebius si può facilmente tenere tra le mani: basta prendere una piccola striscia di carta, torcerla una volta e fissare insieme le estremità. Nel 1977, i matematici Charles Weaver e Benjamin Halpern posero una questione: dato un certo spessore, qual è la lunghezza minima di una striscia affinché si possa ottenere un nastro di Moebius?
Richard Schwartz, un matematico dell’Università di Brown, sembrerebbe aver trovato una soluzione elegante a questo problema.
Halper e Weaver stabilirono un limite: il rapporto tra la lunghezza e la larghezza della carta doveva essere maggiore della radice quadrata di 3. Per realizzare una striscia di Moebius lunga un centimetro, per esempio, doveva essere ampia almeno 1,73 (un’approssimazione della radice di 3) centimetri. Purtroppo, però, non riuscirono a fornire una dimostrazione di questa condizione che, quindi, passò alla storia come “Congettura di Halpern-Weaver”.
Schwartz ha deciso di trattare il problema in dimensione 2, nella speranza che fosse matematicamente più semplice da affrontare, e, a quanto di legge sul preprint pubblicato su arXiv, è riuscito a dimostrare la congettura.
Il matematico aveva già provato tecniche di risoluzione del problema. In particolare, un lavoro del 2021 si era mostrato molto promettente, anche se non conclusivo, e, proprio riuscendo a emendare quella dimostrazione, Schwartz è arrivato alla soluzione. L’errore della dimostrazione del 2021 era in un lemma che coinvolgeva un “modello a T”, che nella sua strategia dimostrativa svolge un ruolo cruciale.
Per la formulazione di questo lemma, Schwartz notò che le strisce di Moebius rientrano tra le ‘superfici rigate’, ossia sono ottenibili dall’unione di rette che si “adagiano” su di esse. Immaginando di disegnare queste linee rette in modo che taglino il nastro di Moebius e intercettino il confine alle due estremità, il matematico ne trovò due, perpendicolari tra loro, che formavano uno schema a T su ogni nastro di Moebius.
Il passo successivo è stato quello di impostare e risolvere un problema di ottimizzazione che prevedeva di tagliare un nastro di Moebius ad angolo (anziché perpendicolarmente al confine) lungo un segmento di linea che si estendeva per tutta la larghezza della banda e di considerare la forma risultante. Per questo passaggio, nell’articolo del 2021, Schwartz ha concluso erroneamente che questa forma era un parallelogramma. In realtà si trattava di un trapezio e Schwartz se ne è accorto questa estate, portando il caso in dimensione due. Rifacendo i calcoli in base a questa nuova informazione, è venuta fuori la conferma della congettura.