Intervento di Giuseppe Zampieri
Liceo Scientifico Enrico Fermi – Padova
Lo stato delle cose
Il dibattito in corso sulla seconda prova dell’Esame di Stato sta diventando un interessante luogo di scambio di idee, punti di vista, culture, stati emotivi talora piuttosto intensi. Mentre gli insegnanti dibattono e polemizzano da tempo, alcuni genitori stanno iniziando lentamente ad accorgersi che all’orizzonte si sta profilando quella che viene presentata come una minaccia: una seconda prova di fisica. Gli organi di stampa prima o poi se ne accorgeranno, come pure i rappresentanti politici. Non è difficile immaginare, tra non molto, un dibattito esteso a tutte le componenti interessate, con qualcuna di troppo. Tutti i problemi sono anche un’opportunità. In tale ottica intendo proporre qualche osservazione.
Che la scuola e l’Esame di Stato divengano argomento di discussione sarebbe un bel segno. Un segno di interesse, di proiezioni verso il futuro. Porsi delle domande fa sempre molto bene. Specie in una società come la nostra, ingessata ed irrigidita su posizioni che appaiono spesso datate. Ripensare il senso del processo educativo ed in particolare del percorso di educazione alla scienza è un elemento di grande novità nel panorama culturale italiano. Vedremo se sarà così.
Le Indicazioni Nazionali
Le Indicazioni Nazionali del 2010 facevano prevedere come ovvia conseguenza un cambiamento parziale ma progressivo della prova d’esame finale del corso di studi superiore. Il cambiamento di paradigma prevedeva che il baricentro del lavoro didattico educativo si spostasse progressivamente dall’acquisizione di conoscenze alla costruzione di competenze che consentano ad un ragazzo d’orientarsi nel mondo, nell’ambiente sociale e culturale, di interagire con la realtà in modo da comprenderla, e riuscire quindi ad inserirsi in essa, nei processi sociali e soprattutto nel mondo del lavoro. Lavoro che non si sa più bene né cosa sia, né quale sia.
Osservo quindi che da tempo si sapeva che “l’umore del tempo” stava cambiando. Non si può però dire che sia seguito un chiaro indirizzo politico dalle Istituzioni. Cambiamenti paradigmatici di questa natura richiedono tempi lunghi, riflessioni, richiedono un indirizzo chiaro e deciso. Considerando che proprio l’indirizzo politico ha una vita media di poco più di un anno e due mesi sembra chiaro che una seria programmazione e progettazione culturale sia quantomeno difficoltosa.
Le IN si inserivano nel solco della richiesta d’autonomia da parte delle scuole, delle istituzioni locali. La crisi di quest’ultime di questi anni ed il disinvestimento nell’istruzione fatta dalle stesse ha lasciato da sole le scuole, che in questa situazione dovrebbero ora gestire le richieste che provengono da più parti. Le IN che sembravano venire incontro alle richieste d’autonomia didattica si rivelano ora un oggetto che pone problemi alle scuole stesse, forse per la libertà progettuale lasciata in parte alle scuole, libertà non ben definita nei contenuti e proposta di fatto più nelle intenzioni che nella sostanza.
Le IN per le discipline scientifiche invitano i docenti a collaborare in un’ottica di “integrazione delle scienze”, propongono l’elaborazione di percorsi nella prospettiva d’uno sviluppo delle competenze. Di fatto però non è chiaro come questi percorsi si costruiscano e come affianchino o integrino le prassi didattiche quotidiane. L’insegnamento per competenze non ha mai, veramente, preso piede nella formazione liceale, ha incontrato forse meno difficoltà nel mondo dell’educazione tecnica. Nei Licei, di qualsiasi genere, si è stretti fra la necessità di un insegnamento basato sulle conoscenze, e le spinte a tradurre le conoscenze apprese in competenze. Quest’ultime dovrebbero permettere la risoluzione di problemi che si presentano in varie situazioni. Si giunge così alla necessità di formare studenti che:
- siano in grado di pensare proponendo percorsi di astrazione e generalizzazione.
- siano in grado d’analizzare una situazione reale.
- riescano a modellizzare questa situazione.
Le criticità che stanno venendo al pettine
L’esame di Stato è uno dei pochi passaggi di verifica comune e condiviso presente nel sistema scolastico italiano. Con tutti i difetti che potremmo qui elencare ha tuttavia il pregio d’essere lo stesso in tutto il Paese, di essere un riferimento comune per l’attività didattica, di fungere da riferimento per le scelte didattiche future. L’Esame di Stato è ben diverso da una delle tante Olimpiadi di tutti i generi; è democratico visto che si rivolge in egual modo a tutti gli studenti. La scuola di Barbiana, la stessa Castelnuovo, ci ricordano però che non c’è nulla di peggio dell’uguaglianza proposta a coloro che hanno preparazioni diverse e che provengono e vivono in realtà diverse. Questo è forse uno degli aspetti critici che portano al diffuso disagio tra gli insegnanti. La preparazione degli studenti, in questo caso per le scienze fisiche, sembra essere molto diversa da luogo a luogo e per aggiunta lontana dalle richieste finora proposte nelle simulazioni. L’obiettivo di una preparazione diffusa e abbastanza simile degli studenti sul territorio nazionale era una delle sfide importanti proposte dalle IN: in una prospettiva di libertà di insegnamento e di scelta dei percorsi didattici (che son cosa diversa dai percorsi curricolari a mio parere), nel solco dell’autonomia scolastica, pervenire ad una preparazione comune alla stragrande maggioranza degli studenti era e rimane un aspetto cruciale. In seconda battuta (anche se sarebbe l’obiettivo più importante) il percorso delle IN dovrebbe consentire agli studenti di affrontare le sfide dell’istruzione universitaria e del mondo reale. Una proposta “difficile”, il paradigma scelto per la sua attuazione è stato quello delle competenze. Da qui vengono anche le altre criticità con cui ci si scontra oggi:
Può Fisica essere la seconda prova d’esame? Probabilmente sì se la si vede in una prospettiva di insegnamento “integrato” delle discipline matematiche e scientifiche. La fisica moderna è nata riconoscendo la centralità e l’importanza del linguaggio matematico. La comunicazione dell’UMI sembra porsi in questa prospettiva. Sembra affermare che è possibile pensare a Fisica come seconda prova proponendo un percorso di lavoro, elaborazione seria e condivisa, collaborazione. Di contro per molti non può esserlo per molte ragioni, in parte anche condivisibili, che tuttavia hanno un sapore amaro…
Dubbi e riflessioni. Il caso del “no”…alla prova di fisica
…Il sapore del “no” tout court che talora percorre i luoghi del dibattito, a tutti i livelli. In questo “no” tuttavia si concentrano alcuni aspetti interessanti.
- Si rimanda ancora una volta una scelta. Cosa sicuramente possibile, è tuttavia una scelta che riflette anche una realtà didattica molto molto frammentata. Si sa che l’insegnamento della fisica è stato sempre ancillare a quello della matematica, basti considerare il monte ore dedicato alla disciplina. Ora ci si scontra con la necessità di considerare “seriamente” la disciplina, da parte di tutti.
- Si ritiene che non sia praticabile la scelta d’una seconda prova di fisica: questo non mi trova d’accordo. Tutto è fattibile. Che solo si voglia e si affronti il problema. Lo strumento principe per affrontarlo è il dialogo e la comunicazione tra gli insegnanti, le associazioni che si interessano di didattica delle discipline scientifiche e matematiche, la struttura organizzativa del MIUR. La comunicazione ed il dialogo sono fondamentali.
Il “no” è anche rivelatore di vecchie ed ancora vive divisioni culturali all’interno delle discipline scientifiche. I matematici puri, vedono male la scelta di proporre fisica come seconda prova; che fine fa, dicono, tutto il lavoro di insegnamento in matematica? Direi che finisce nella costruzione di una competenza, quella di essere in grado di interpretare la realtà con processi formali che conducano all’astrazione e che generalizzino determinati problemi. In tal modo, grazie all’astrazione ed alla generalizzazione ci si connette direttamente a tutte le discipline scientifiche. Al riguardo oltre al citatissimo Galileo considererei di rivedere come R.P. Feynman inizia le celeberrime “Lectures on Physics”. Parla di Fisica e delle altre discipline cui la Fisica è legata e delle quali il pensiero fisico non può fare a meno.
Il “no” evidenzia anche la necessità di rinnovare la didattica della matematica (o delle matematiche) e della fisica senza ignorare le scienze della vita. Osservo che mentre UMI lavora da anni e ad altissimo livello sulla didattica della Matematica, non mi pare esista un corrispettivo nel mondo della Fisica. Forse è tempo che tante iniziative presenti in tutta Italia, gruppi di ricerca in didattica della Fisica spesso sostenuti dalle Università, gruppi istituzionali, trovino un contenitore che abbia un ruolo analogo a quello dell’UMI per la matematica.
Il “no” costringe anche a toccare con mano la notevole difficoltà insita nell’elaborazione di una prova d’esame di Stato. Non si tratta di lavorare sulle eccellenze o sulla divulgazione. Si tratta di proporre una prova che sia comprensibile, affrontabile da insegnanti e studenti che hanno lavorato su un curriculum definito, che consenta una valutazione coerente ed abbastanza uniforme sul territorio nazionale. C’è un lavoro da fare, una parte di questo lavoro è stato intrapreso con la partecipazione diretta dell’AIF. E’un lavoro importante, difficile, a mio parere può solo arricchire la pratica didattica quotidiana. Sempre che lo si veda in una prospettiva di collaborazione e costruzione.
Il “no” invita quindi a ripensare molti aspetti della didattica. Non sono quindi d’accordo con l’idea di “rimandare” il tutto. Ciò significherebbe rinunciare alle possibilità sopra descritte, rinchiudersi forse nell’idea che una seconda prova di fisica non sia possibile.
Concludo osservando che il valore costruttivo del dibattito dovrebbe essere accolto dalle istituzioni che si occupano del sistema educativo, penso lo sarà sicuramente.