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Disporre di conoscenze accurate e precise è un fatto fondamentale. Anzi, a volte si tratta di una questione di vita o di morte. Quando assumiamo un farmaco ci aspettiamo che qualcuno abbia prima dimostrato che esso è efficace per il nostro male e ci aspettiamo pure che chi ha progettato la nostra casa lo abbia fatto in modo da essere sicuri che resti in piedi e non ci crolli addosso all’improvviso.

Certo c’è una bella differenza tra il dimostrare che, per esempio, l’aspirina guarisce il mal di testa e il dimostrare che un palazzo regge o, ancora, dimostrare che due più due fa quattro. Magari, tra i milioni di persone che assumono un farmaco per il mal di testa ce n’è anche qualcuna che incorre in gravi conseguenze, come in genere riportano i fogli illustrativi (detti curiosamente bugiardini), fino talvolta alla morte. Per passare, il mal di testa è passato, ma forse è un modo troppo radicale per curarsi questo!

Stiamo scherzando naturalmente e non vogliamo spaventare nessuno ma, se ci pensiamo, sono tantissime le occasioni durante le nostre giornate in cui affidiamo la nostra incolumità a conoscenze che riteniamo sicure e affidabili. Da quando saliamo su un mezzo di trasporto per recarci a scuola o al lavoro, a quando impostiamo la radio-sveglia per il giorno seguente. Ma come facciamo a essere sicuri che, per esempio, l’automobile improvvisamente non ci farà saltare in aria? Immagino perché ci fidiamo dei costruttori che si presume abbiano realizzato l’auto secondo rigorosi criteri scientifici.

E il massimo del rigore possibile lo troviamo proprio nella matematica, nella quale le cose si dimostrano.

“I matematici sono ossessionati dal concetto di dimostrazione. Molti individui invece non le amano. Io li definisco “antidimostrativi”. I matematici sono al contrario filodimostrativi: indipendentemente dall’entità delle prove circostanziali a favore di un certo enunciato scientifico, il vero matematico non è contento finché l’enunciato non è stato dimostrato in ogni suo elemento, con stretto rigore logico e la massima chiarezza. Questa ossessione ha i suoi buoni motivi. Una dimostrazione è la garanzia inossidabile della validità di un’idea. Non c’è massa di prove che potrebbe sostituirla”. (I. Stewart, Com’è bella la matematica, Boringhieri,  p. 64)

Il  matematico Paul Erdos si riferisce alla matematica mediante l’ormai famosa espressione: “Il matematico è una macchina che trasforma il caffè in teoremi”.

La mia versione personale è un’espressione un po’ più romantica: il matematico è colui che avendo trovato una dimostrazione meravigliosa di un risultato lo dedica alla sua bella e guardandola negli occhi le sussurra: “Amore, un teorema è per sempre!”

Ma non tutti apprezzerebbero una  dedica del genere. Il fatto è che la matematica è anche una scienza dura, spesso incompresa se non detestata, specialmente dagli studenti.

“Mi sono accorto che, quando gli individui si domandano perché una cosa è necessaria, di solito è perché la temono e sperano di non doverci avere a che fare. Se uno studente sa costruire le dimostrazioni, non si domanda a che cosa servono. Chi è in grado di eseguire mentalmente moltiplicazioni lunghissime mentre fa la verticale, difficilmente si domanda che senso abbiano. Le persone che amano svolgere un’attività raramente si domandano se ne vale la pena; la amano e basta. Quando uno studente si domanda perché abbiamo bisogno delle dimostrazioni, forse ha qualche difficoltà a capirle, o a costruirne per conto suo. Spera che tu gli risponda:” Non preoccuparti. Le dimostrazioni non servono a niente. Io infatti le ho tolte dal programma, e non le chiederò all’esame…” ” (Ian Stewart)

E il problema è che sempre più spesso i docenti, a tutti i livelli di istruzione, rispondono (o devono rispondere loro malgrado) proprio in questi termini. Così, sono sempre più comuni programmi di corsi universitari di matematica che  riportano alcuni contenuti  con asterisco, nei quali l’asterisco denota i pochi argomenti di cui è stata fornita una dimostrazione. Non dovrebbe l’asterisco  semmai indicare i pochi argomenti che,  per motivi di tempo o di semplicità,  non sono stati corredati di dimostrazione?

In effetti, nello specifico della matematica, la tendenza generale sembra essere quella di una certa semplificazione degli insegnamenti che spesso si traduce nel privilegiare, a volte esclusivamente, gli aspetti tecnico-computazionali.  In questo modo i teoremi, per non parlare delle dimostrazioni, diventano una merce sempre più rara.

In particolare, questa tendenza sembra essere sempre più imperante anche e soprattutto nelle scuole secondarie superiori.  Mi è capitato di sfogliare dei libri di testo per le scuole superiori, piuttosto diffusi, che riportano la parola teorema soltanto dopo centinaia di pagine. Quale idea della matematica si vuole trasmettere?

“I matematici hanno bisogno delle dimostrazioni per ragioni di onestà. Tutte le aree tecniche delle attività umane hanno bisogno di un riscontro con la realtà. Non basta essere convinti che qualcosa funzioni, o che sia un buon modo di procedere, o addirittura che sia vero. Abbiamo bisogno di sapere perché è vero. Altrimenti non sappiamo proprio nulla” (I. Stewart. P. 69)

Inoltre, il gusto e il divertimento della matematica stanno proprio nell’argomentare, nel congetturare, nel capire perché qualcosa è vero e qualcos’altro no, nel produrre per l’appunto teoremi e dimostrazioni.

Cosa resta se togliamo  dalla matematica le dimostrazioni? Un’accozzaglia di calcoli e formule senza capo né coda e che bisogna imparare perché è così e basta. Per me (forse anche per gli studenti?) sarebbe una noia mortale.

Ian Stewart propone nel libro  citato di non  chiamare matematica il contenuto di certe lezioni scolastiche: “Chiamarle “matematica” svilisce il pensiero matematico; è un po’ come chiamare “composizioni” i basilari esercizi sulle scale musicali” (Ian Stewart p.39).

Allora chiamiamole aritmetica, calcolo ecc. confidando nel fatto  che se gli studenti si annoiano a morte è perché la matematica è tutt’altra cosa.

 

Luca Granieri (Università degli studi di Napoli “Federico II”)

Immagine di Freepik

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